Il dibattito sulle «croci di vetta» avviato dal Club Alpino Italiano (CAI) e richiamato sulle nostre pagine da Paolo Cognetti (qui) è rimbalzato nelle associazioni alpine nell’ambito tedesco (Baviera, Austria, Tirolo).
Sono stimate in circa 4.000 le «croci di vetta» presenti sull’arco delle Alpi. Andreas Ermacora, presidente dell’associazione alpina austriaca, si è detto d’accordo per una sorta di moratoria delle croci sulle Alpi e sul fatto di riconoscere alle vette una specie di «neutralità» simbolica.
Più coinvolto il presidente dell’Associazione alpina tirolese, Friedrich Macher, che censisce un’ottantina di «croci» nel suo ambito di competenza, di cui difende la presenza e il significato.
Il responsabile dell’Associazione alpina tedesca, Roland Stierle, ritiene che il dibattito sia scarso sul suo versante e osserva «Per me (la croce) è un bene culturale, ma io non consiglierei di erigere nuove “croci di vetta”. In Baviera e in Germania c’è una croce praticamente su tutte le cime. Penso siano sufficienti».
Croce ed esperienza spirituale
La proprietà delle croci è, in gran parte, delle comunità locali, delle Chiese, delle amministrazioni territoriali, delle associazioni turistiche. Il significato della loro presenza è definito da F. Macher come indicazione della vetta, non sempre immediatamente percepibile, e come luogo del «libro di vetta» che è strumento di cultura e riflessione, ma anche riferimento nel caso di un intervento urgente del soccorso alpino. «Il significato per il singolo alpinista è ovviamente soggettivo. Ma non ho mai incontrato persone davanti a una “croce di vetta” che non conoscessero momenti contemplativi e una particolare testimonianza di fede del manufatto».
Sullo stesso tono, il commento del redattore del Dolomiten (quotidiano tedesco dell’Alto Adige) che, pur denunciando il rigonfiamento retorico della questione, dice: «È gratificante che un segno cristiano trascurato torni brevemente a illuminare la coscienza. Dopotutto la croce significa qualcosa per molte persone». Nettamente contrari alle croci in nome del pluralismo religioso l’alpinista Reinhold Messner e lo scrittore Enrico Camanni.
Paolo Cognetti ha scritto per noi: «Non è certo la croce a farmi vivere l’esperienza spirituale: è la montagna stessa». Con qualche ironia in un breve commento su Sonntag, settimanale diocesano di Vienna, il commentatore chiede un pizzico di compostezza e di umorismo, invocando sulla vetta un nuovo simbolo religioso, praticamente universale, e cioè una stazione di ricarica per i cellulari.
Parafulmini, pali e simboli
Suonano vuoti e retorici i proclami difensivi dei politici di destra: da Salvini a Santanché, da Sven Knoll (consigliere in Alto Adige) a Norberet Totschning (ministro austriaco dell’agricoltura), a Markus Abzberger (destra tirolese).
Curiosa la storia delle «croci di vetta» ricordata da Claudia Paganini, professoressa di filosofia a Monaco di Baviera e alpinista. Le prime croci appaiono non sulle vette ma nei luoghi più facilmente interessati ai fulmini. I pastori le usavano come parafulmini per salvare pecore e mucche.
Solo in seguito alla conquista delle vette da parte di alpinisti britannici sono apparsi segni sulle cime. Ed erano pali per le bandiere. Questo avveniva a metà dell’Ottocento. Solo successivamente le comunità locali costituirono le prime associazioni alpine e sostituirono i pali con le croci: un segno religioso al posto di un’affermazione di potenza.
Per l’area di lingua tedesca è necessario anche ricordare che il nazismo tentò di togliere le croci dalle cime come prova del suo dominio ideologico. E come è successo per il sequestro delle campane, quando abitanti di diversi paesi della Baviera raggiungevano di notte i luoghi di raccolta per riprendersi le loro campane, così essi rimettevano le croci ogni volta che i nazionalsocialisti le toglievano.
Signore delle cime
Il peso antropico sulle montagne europee e sulle Alpi in particolare è molto forte. Gli esperti e gli appassionati consigliano di non costruire altri rifugi, di non aprire altre vie per le vette, di non aumentare ulteriormente la manipolazione umana della natura.
In tale quadro si inserisce anche la questione delle «croci di vetta». Non è casuale che, nel dibattito attuale, non si sia esposto alcun vescovo austriaco o tedesco. Sul settimanale cattolico Die Furche (10 agosto) è apparsa una riflessione del teologo Jan-Heiner Tück che ricorda come le croci abbiano ancora qualcosa da dire ai disattenti contemporanei, censurando come atto iconoclasta la proposta di smantellarle.
Si ricorda con simpatia un motto del vescovo alpinista Reinhold Stecher (Innsbruck), che diceva: «Sono molte le strade che portano a Dio. Una di questa va oltre le montagne». Ha tradotto il suo significato in un celebre canto corale (Signore delle cime) il compositore vicentino Bepi de Marzi.