Dilexit nos: il cuore di Dio e dell’uomo

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Sono bastate poche settimana all’enciclica Dilexit nos. Sull’amore umano e divino del cuore di Gesù Cristo (24 ottobre) per scomparire dall’attenzione mediale. La quarta enciclica di papa Francesco è archiviata come troppo devota, interna, noiosa, popolare e stravagante.

È sfuggito ai più il legame espressamente annotato fra il documento e le due encicliche sociali, Laudato si’ e Fratelli tutti (n. 217) e il parallelo con altri testi come quello sulla “santità della porta accanto” (esortazione apostolica Gaudete et exultate) e il riferimento alla gioia espresso fin dal titolo di molti altri scritti pontifici. Essa è organica ad un magistero che si espone sul versante sociale in ragione di un rinnovato fondamento sulla fede del popolo di Dio, che spinge la teologia ad uscire dalla sponda scolastica per inglobare la dimensione spirituale e mistica, che apprezza la storia comune superando il quadro della cristianità.

Un indirizzo che trova conferma nella ripresa della devozione al sacro Cuore non per restaurarla, ma per innovarla. Prendendo seriamente l’ammonimento di K. Rahner di non rimuoverla come una formula ormai vuota: «Dovremmo domandarci se un simile stanco lasciarsi ricadere in una primitività spirituale che si richiama erroneamente ai tempi antichi, allorché non esisteva alcuna devozione al cuore di Gesù, non sia appunto qualcosa che può e deve essere superato con decisione e con speranza sul piano spirituale».

E il teologo G. Moioli aggiungeva: «La riscoperta del volto autentico di Dio e dell’uomo, sottesa alla devozione al cuore di Cristo, conduce alla riscoperta del senso della misericordia, dell’azione misericordiosa di Dio; ed è via alla riscoperta della visione cristocentrica della realtà […] La devozione al cuore di Gesù è stata più che una devozione; era la scoperta di una chiave di lettura del cristianesimo».

Tenendo ferma la dimensione corporea e affettiva del credere il culto al sacro Cuore, al di là dei suoi limiti storici, rappresenta un compendio della fede e mostra l’amore (trinitario) di Dio che nessuno ha mai visto. In mezzo alla «disperazione del presente e del futuro, la Chiesa rimane colei che spera universalmente, colei che oggi spera addirittura in maniera più radicale che non nel suo passato» (K. Rhaner).

Cinque capitoli e le eccedenze

La lettera enciclica è divisa in cinque capitoli (l’importanza del cuore; gesti e parole d’amore; questo è il cuore che ha tanto amato; l’amore che dà da bere; amore per amore) e in 220 numeri. Dopo una introduzione sulla simbolicità del cuore (nucleo di ogni essere, centro intimo dell’anima e dell’intera persona) si apre una cristologia costruita a partire dal cuore: gesti, sguardi e parole. Col terzo capitolo si ricostruisce la teologia e l’esperienza spirituale cresciuta attorno alla devozione: dalle immagini all’eucaristia; dai padri ai mistici, dal magistero alle pratiche.

«La devozione al cuore di Cristo è essenziale per la nostra vita cristiana in quanto significa l’apertura piena di fede e di adorazione al mistero dell’amore divino e umano del Signore, tanto che possiamo affermare ancora una volta che il sacro Cuore e una sintesi del Vangelo» (n. 83). La novità è nel consistente riferimento trinitario («È lo spirito che aiuta a cogliere la ricchezza del segno del costato trafitto di Cristo, dal quale è scaturita la Chiesa» (n. 75).

Il quarto capitolo è introdotto dal riferimento biblico fondamentale, la trasfissione del costato di Gesù (Gv 19,31-37) e alle sue risonanze bibliche, patristiche, mistiche (Bernardo, Bonaventura, Giuliana di Norwich, Francesco di Sales ecc.) e moderne, in particolare santa Margherita Maria Alacoque. Importanti le novità introdotte nel culto e nella spiritualità da Teresa di Gesù Bambino, da Charles de Foucauld e dai contemporanei come san Pio da Pietrelcina, Faustina Kowalska e dai fondatori delle famiglie religiose che si richiamano al sacro Cuore.

L’ultimo capitolo è una ripresa degli elementi spirituali della devozione (offerta, integrità, missione) e, in particolare, della dimensione della riparazione soprattutto nella sua rilevanza sociale («Insieme a Cristo, sulle rovine che noi lasciamo in questo mondo con il nostro peccato, siamo chiamati a costruire una nuova civiltà dell’amore» (n. 183).

Il patrimonio del Cuore

L’enciclica raccoglie il patrimonio sedimentato nei secoli, a partire dal fondamento del costato trafitto: «Il costato trafitto è allo stesso tempo la sede dell’amore, un amore che Dio ha dichiarato al suo popolo con tante parole diverse» (n. 99).

«Nel cuore trafitto di Cristo si concentrano, scritte nella carne, tutte le espressioni di amore delle Scritture» (n. 101). La costruzione del culto liturgico si avvia in alcune diocesi francesi nel 1670 con una prima estensione (messa e ufficio) nel 1856 e l’universale consacrazione al sacro Cuore nel 1899. La canonizzazione di Margherita Maria nel 1920 e il sostegno del magistero (bolla di Pio VI nel 1794, enciclica Annum sacrum di Leone XIII nel 1899, Miserentissimus redemptor di Pio XI nel 1928 e Haurietis aquas di Pio XII nel 1956) non nascondono il dibattito molto acceso nei primi decenni fra “illuministi” e “devoti” che si espresse nel rifiuto di inserire la festa nel calendario liturgico nella bolla Unigenitus (1713, congregazione dei riti).

Eco dei chiarimenti di quei primi dibattiti sono visibili nell’affermazione che oggetto di adorazione non sono in nessun caso le immagini (nn. 50, 52). Esse, più o meno attraenti, sono soltanto «una figura motivante» verso il mistero (n. 57) come ricorda anche la nota 33. Papa Francesco non si sofferma sulle pratiche devote con cui la devozione si è espressa: adorazione, ora santa, primi venerdì del mese, recordatio mysteriorum, consacrazioni individuali, familiari e nazionali, apostolato della preghiera, intronizzazione ecc.

Si diffonde invece più a lungo nel ricordo dei molti santi e mistici che hanno alimentato la spiritualità del cuore di Gesù. Da Rufino ad Agostino, da Girolamo a Bernardo, da Guglielmo di Saint-Thierry a Bonaventura, da Lutgarda a Matilde, da Angela da Foligno a Giuliana di Norwich, da Caterina da Siena a Giovanni Eudes, da Francesco di Sales a Margherita Maria (1647-1690) e alle sue apparizioni. Queste ultime “interpretate” da Claudio della Colombiére, dalla tradizione gesuitica e dalle 43 congregazioni religiose che si richiamano a quella corrente spirituale.

Misericordia e solidarietà

La genialità della spiritualità del Cuore è legata all’intuizione che il volto autentico di Dio è la misericordia e che una fede matura ha bisogno di una alimentazione mistica e di un trasporto affettivo.

Da qui prendono forza alcuni atteggiamenti interiori come l’offerta, l’integrità e la compunzione. Quest’ultima è «l’insopprimibile desiderio di consolare Cristo» (n. 158), una buona tristezza che porta alla dolcezza e alla gioia. Cosi anche il “triplice amore” di cui parla il n. 85: l’amore infinito di Gesù, quello della dimensione spirituale della sua umanità e il suo amore sensibile. Così l’umile preghiera, l’integrazione fede e opere, fede e morale, fede a annuncio, iniziativa di Dio e libera risposta del credente. Riparazione è soprattutto solidarietà, costruzione di legami, perdono e riconciliazione.

Si tratta cioè di non «limitare la gloria espansiva della sua risurrezione» (n. 193), resistere alle “strutture di peccato”, «nutrire una speranza universale per tutti e interdirsi un’affermazione teoretica e dogmaticamente vincolante circa l’avvento effettivo di una perdizione definitiva di una parte della storia spirituale umana» (K. Rahner). Sdoganata da ogni ipotesi di “cristianità”, coltivata in passato, la devozione apre a un nuovo sguardo sia sulla storia (Fratelli tutti) sia sul rapporto con il cosmo (Laudato si’).

Limiti riconoscibili e denunce credibili

Laddove il filosofo e lo “scolastico” si ferma il cuore credente «capisce di essere il “tu” di Dio e che può essere un “sé” perché Dio è un “tu” per lui. Il fatto è che solo il Signore ci offre di trattarci come un “tu” sempre e per sempre» (n. 25). Stante la potenza della devozione rimane la constatazione del suo sfaldamento nella seconda metà del ‘900. Non entra nei documenti conciliari e neppure nei voti dei vescovi prima dell’assise. Un pregiudizio diffuso la considera residuale.

Troppo pesante il portato del dolorismo come condizione da perseguire e non solo da attraversare. L’ascetismo ha preso talora la forma di un atletismo spirituale che santa Teresina denuncia in una sua lettera: «Talvolta quando leggo certi trattati spirituali nei quali la perfezione è presentata attraverso mille ostacoli, circondata da una folla di illusioni, il mio povero spirito si stanca molto presto» (n. 141).

Vi sono tracce di spiritualismo laddove la devozione si rifiuta alla riflessione e alla Parola. Per questo l’enciclica ammonisce: «Ciò non significa che ci sentiamo obbligati ad accettare tutti i dettagli di questa proposta spirituale dove, come spesso accade, all’azione divina si mescolano elementi legati ai desideri, alle preoccupazioni e alle immagini interiori del soggetto. Tale proposta deve essere sempre riletta alla luce del Vangelo e di tutta la ricca tradizione spirituale della Chiesa» (n. 121).

Registrare i limiti significa però apprezzare la dimensione critica della corrente spirituale. Nei confronti anzitutto di una teologia troppo dipendente da una razionalità positivista e strumentale. «Può sembrare che questa espressione di devozione non abbia un sufficiente supporto teologico, ma in realtà il cuore ha le sue ragioni. Il sensus fidelium intuisce che qui c’è qualcosa di misterioso che va oltre la nostra logica umana, e che la passione di Cristo non è mero fatto del passato» (n. 154). Essa denuncia l’insufficienza della lectio scholastica, dottrinale più che misterica e sapienziale. Denuncia i rigidismi del giansenismo anche nella forma dello gnosticismo contemporaneo (la fede solo come decisione e razionalità). Smentisce la pertinenza del gallicanesimo (autonomia dei vescovi nella nazione) oggi riconoscibile nel pericolo di un cattolicesimo etnico-nazionale.

Uno spessore critico che si esercita anche nei confronti della cultura diffusa. «Accanto all’anacronismo della dottrina cattolica rispetto alla cultura moderna, si deve infatti rilevare un diffuso anacronismo della cultura moderna rispetto alla coscienza di ogni uomo» (G. Angelini). La cultura sembra infatti ignorare ciò che qualifica la condizione umana come nascere e morire, temere e sperare, amare e odiare, godere e soffrire. L’esito è la riconduzione della coscienza a elemento clandestino e incomunicabile, della sua incondizionatezza a semplice parere personale. La corrente spirituale del cuore di Gesù rafforza il passaggio dalla fiducia circa le opere a quella che si esprime nell’affidamento.

È l’inaudita folgorazione circa la verità di Dio come cura irremovibile e grazia pre-giudiziale. L’inedito di Dio che Gesù tiene fermo dentro la religione e anche contro di essa ha una portata universale: si tratta della verità della creazione, mantenuta, a dispetto di Adamo, in suo favore (P. Sequeri). Essa è la radicale denuncia della strumentalizzazione che la paura di Dio riceve in vista di una religione rassegnata al suo dominio, più che capace di rappresentarne la cura. Anche nei decenni di “magra” il magistero ha difeso la specificità del culto, l’eccedenza ontologica del simbolico inscritta nell’immagine del cuore e la storicità dell’auto-espressione di Dio (M. Neri).

Teresina e De Foucauld

Di particolare interesse sono le “estensioni” della spiritualità del Cuore nell’esperienza di santa Teresina e di san Charles de Foucauld registrate dall’enciclica. Teresa vive «una devozione, fatto più di amicizia e fiducia che di sicurezza nei propri sacrifici» (n.135), relativizza il suo aspetto doloristico e prende come riferimento la Scrittura abbandonandosi «come un bambino nelle braccia del buon Dio» (n. 141).

Rispetto ad un umanesimo forzuto e prometeico trova la sua giustificazione e ragion d’essere nella “piccola via”, nel presentarsi davanti a Dio a mani vuote. Si è giustificati dalla fede perché l’amore di Dio trionfa sulla giustizia. Per questo la “piccola via” è una “via d’amore”. De Foucauld intuisce nel lungo silenzio di Gesù a Nazaret l’origine della vicinanza e il segreto della missione. «La sua amicizia con Gesù, cuore a cuore, non aveva nulla di devozionismo intimistico.

Era la radice di quella vita spogliata di Nazaret con cui Carlo voleva imitare Cristo e configurarsi a Lui» (n. 132). Il suo impegno missionario nasce dall’adorazione perché il tempo dedicato a parlare con Dio dev’essere più lungo del tempo dedicato a parlare di Dio. L’opera evangelizzatrice si produce per irradiazione, trasformando il testimone in fratello universale, anche oltre le appartenenze confessionali. Gli elementi apportati da Teresina e da De Foucauld arrivano direttamente a Fratelli tutti e chiudono il cerchio del magistero di Francesco.

Nell’enciclica si respira uno scarso interesse a “dimostrare” Dio, a riaffermarne l’essenza in ragione del suo essere. È il Dio dell’alleanza, della liberà e dell’amore. È il Dio della relazione che può patire e avere compassione. È il Dio affidabile, dell’amore umano e divino.

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