Una domanda che torna anche in questo tempo di pandemia riguarda l’atteggiamento di Dio riguardo alla diffusione del male. Perché non interviene?
Quante volte ho sentito nascere in me questa domanda! Umana e legittima, ma senza risposta. Chissà quanti altri se la pongono o se la sono posta! Ho letto in questi giorni che un signore affrontò un giorno Madre Teresa di Calcutta: «Perché mai Dio non toglie un po’ del male del mondo? Lo potrebbe fare e farebbe un bene per tutti». E la Madre di rimando all’interlocutore: «E lei, che cosa fa per togliere un po’ di male dal mondo?».
La risposta, per quanto secca, non era impertinente ma vera e detta a proposito, in risposta all’eterno insolubile quesito del male nella creazione. Una risposta, guarda caso, che è ritornata di estrema attualità in questo momento mentre vediamo che, malgrado tutti gli interventi, la curva dei contagi continua ad essere pericolosamente alta e, se qualche speranza si mostra all’orizzonte, non devono venir meno l’attenzione e l’impegno di tutti.
Non potrebbe Dio far finire questo flagello del Covid-19 che sta mietendo vite umane, bloccando il lavoro e compromettendo il futuro della società e di tante famiglie? Quante preghiere pubbliche e private si alzano a lui in questi giorni nelle case! Lo stesso papa Francesco si è coinvolto in pubbliche suppliche davanti a una Piazza san Pietro e in una Basilica vuote! In fondo non sembra di chiedere troppo… Come mai Dio è così sordo o lento nel rispondere?
Non è questo il Dio rivelato da Gesù
Anche nei vangeli sono raccontate ripetutamente scene di paura in cui i discepoli invocano il Signore: «Siamo perduti!» (Lc 8,24) e il Signore, pur lamentando la loro poco fede, li ascolta e li esaudisce (es. Mt 14,22-36). Alla paura e all’invocazione dei discepoli nella tempesta sul lago di Tiberiade Gesù ha risposto calmando le acque e facendo cessare il vento, ma ha preso l’occasione per raccomandare ai discepoli una fede che non trovava in loro. Ma è intervenuto… E allora come mai oggi, in questi drammatici frangenti, mentre tutti siamo vittime della paura e lo preghiamo, Dio non risponde? Questo mette a dura prova la nostra povera fede.
Non c’è dubbio che facciamo bene a pregare, anche perché proprio Gesù ci invita a bussare per ottenere e a domandare per ricevere, ma dobbiamo anche ricordare una verità che troppo spesso tendiamo a dimenticare. L’abbiamo sentita al catechismo, ma è scivolata via e ora che ci servirebbe, non la ritroviamo facilmente.
Il cristianesimo ha superato e, potremmo forse dire, rotto quello schema ingenuo che è in noi, lo schema di una preghiera in base alla quale noi mercanteggiamo con Dio i suoi favori e contrattiamo con lui i beni della salute, una guarigione, la fortuna e anche qualche volta… la vincita al lotto al prezzo di scambio di qualche offerta da parte nostra, una somma di danaro in beneficienza, un “fioretto” – come si diceva una volta –, spesso una promessa di abbandonare una cattiva abitudine: «Se mi ridai la salute, non esagererò più con l’alcool…, se fai guarire mia moglie, farò un pellegrinaggio a Lourdes…”. Ma una religione così è avvilente per l’uomo oltre che indegna di Dio.
Anzitutto per l’uomo che viene ridotto ad essere una marionetta in balìa di poteri oscuri, nelle mani di un burattinaio che, al massimo, può ingraziarsi con prestazioni particolari, promesse e sacrifici.
Ma anche nei confronti di Dio quest’immagine è indegna, oltre che ingiusta. Dio finisce per essere un essere onnipotente ma sbadato che ha creato un mondo che non funziona bene, che egli sfugge e che egli non riesce più a governare secondo il progetto creatore, oppure un Dio che dimentica la sua creatura; peggio ancora, un Dio cattivo e crudele, insensibile per le sofferenze delle sue creature, una sorta di vampiro assetato del sangue dei suoi figli che deve essere placato dalla povera creatura che egli ha creato e di cui non si occupa più di tanto.
Diciamolo subito a chiare note: questo è un Dio pagano che non ha nulla da spartire con il Dio che Gesù ci ha rivelato. Il Dio di Gesù Cristo non è un vampiro che cerca il mio sangue, è esattamenteil contrario e, per restare nell’immagine, è semmai un “donatore di sangue” che offre il suo e liberamente si sacrifica per il bene di chi ha bisogno, uno che è pronto a dare anche la sua salute per la vita altrui e la pienezza della felicità, uno che non toglie nulla e non chiede nulla… ma dà tutto quello che ha: «Gesù Cristo mi ha amato e ha dato tutto se stesso per me», ha detto Paolo (Gal 2,20).
Il Dio che non risponde alla nostra preghiera non è un Dio che sta lontano, ma che sta con la donna e l’uomo di oggi soprattutto nel momento nella tempesta; un Dio che sembra magari dormire, ma che è nella barca coi discepoli, che condivide il loro pericolo e la loro paura, non un Dio che se n’è andato chissà dove nel suo paradiso dietro ai suoi interessi.
No, il Signore è un Dio che non ci abbandona nei momenti tragici, perché “sente” nella sua carne i nostri dolori, soffre con noi e piange con noi per il male che il mondo si procura o si tira addosso. Questa è la nostra fede, questo è il cristianesimo.
Due atteggiamenti da vivere
Da questo modo di vedere il nostro Dio e il suo rapporto con noi nascono ovviamente due atteggiamenti tipici della nostra fede: la fede appunto e l’amore.
La fede anzitutto. Certamente Dio può sedare la tempesta, e noi quindi facciamo bene a pregarlo, ma Gesù fa di più. Tende la mano a un Pietro impaurito per la sua poca fiducia, lo abbraccia e lo accoglie perché senta la sua compagnia. Come Paolo, così Pietro e ciascuno di noi, ha diritto di affermare: «Chi ci separerà dall’amore di Cristo?» (Rm 8,32-37)? Nulla e nessuno, risponde Paolo, neppure il Covid-19.
Di Pietro dice il vangelo (e lo dice per noi oggi!) che, finché l’uomo crede e si fida della parola di Gesù, finché lo guarda negli occhi, cammina sulle acque, ma quando incomincia a guardare le onde minacciose e comincia ad aver paura, sprofonda.
In secondo luogo, l’amore. Davanti al male del mondo Dio non si è ritirato, non ha detto “arrangiatevi”, ma si è tirato su le maniche e ha fatto quello che poteva: ha lasciato il suo mondo e la sua condizione divina ed è venuto fra noi a condividere la nostra povertà e vulnerabilità, ha consegnato se stesso e si è lasciato condurre dove gli altri hanno voluto.
La medesima carità divina che è stata concessa anche a noi nel battesimo ci spinga a fare quello che possiamo per gli altri, anche davanti al Covid-19. Lo stanno facendo esemplarmente tanti medici, infermiere e infermieri che rischiano (non solo a parole) la vita per amore dei malati. Forse noi non possiamo fare altrettanto, ma accettiamo di fare almeno quello che ci si chiede per non diffondere questo virus e per non permettergli di attaccare altri. Stiamocene a casa nostra: può costarci, certamente, ma non è poi una cosa impossibile: è un gesto di amore per il prossimo che Gesù ritiene fatto a se stesso.
Tavernerio, 27 marzo 2020
Testimonianze
- Giordano Cavallari, Nembro, un racconto.
- Seve Lazaro, Vittima o testimone?
- Piero Rattin, Dall’altra parte della barricata.
- Mariachiara Peron, La vita in quarantena.
Fede, carità; e speranza?
D’accordo.Dio in Gesu’ non si e’ ritirato; non ha fatto solo uno tzim tzum. Ma come la mettiamo con la creazione “buona”?
problemi veri, Giobbe li ha sentiti in modo drammatico; Amici di Dio vollero discolpare Dio, accusando Giobbe. Lui si difende e alla fine Dio difende il balsfemo giobbe!