Due ulteriori considerazioni su Medjugorje

di:

statua mariana

I commenti che sono stati formulati nei confronti dell’ultima nota del Dicastero della Dottrina della Fede sul fenomeno di Međugorje (tra cui su Avvenire quello di PierAngelo Sequeri e, rilanciato qui su SettimanaNews, quello di Andrea Grillo) hanno finora ben rappresentato tanto i possibili apprezzamenti quanto le possibili perplessità, o le decise contestazioni.

A costo di qualche ripetizione vorrei aggiungere qualche considerazione, malgrado l’ovvia difficoltà di valutare fatti ancora in corso. Non mi riferisco ai fenomeni di Međugorje (che si può prevedere che dureranno ancora decenni), ma al pronunciamento del Dicastero, che, come ormai pare abituale, presumibilmente si appresta ad essere completato con una lunga serie di interviste, articoli, spiegazioni, per chiarire, interpretare o disinterpretare, con un risultato finale che può essere alquanto o anche molto diverso da quanto una prima lettura aveva suggerito (un primo intervento è avvenuto appena qualche giorno dopo).

Un cattolicesimo travagliato

La prima considerazione che vorremmo fare è questa: anche mettendo completamente tra parentesi la questione della soprannaturalità dei fenomeni di Međugorje (cosa che il pronunciamento del Dicastero vuole fare: su ciò torneremo), anche mettendo completamente tra parentesi la questione del legame tra i fenomeni di Međugorje e la «spiritualità» di Međugorje (anche questo il pronunciamento pare, più debolmente, di voler fare), rimane un fatto: la questione Međugorje pone sul tappeto il travaglio di un cattolicesimo (e fatte le dovute proporzioni, di un cristianesimo) fortemente differenziato, a volte in modo conflittuale, tra espressioni, teologie e sensibilità diverse.

Il Codice dei Canoni delle Chiese Orientali definisce in questo modo il «rito»: «Il rito è il patrimonio liturgico, teologico, spirituale e disciplinare, che si distingue grazie alla cultura e alle circostanze storiche dei popoli, e che si esprime con la maniera propria a ciascuna Chiesa sui iuris di vivere la fede» (can. 28, § 1). Si può ben dubitare che l’elenco di cinque tradizioni immediatamente seguente classifichi esaurientemente le diversità orientali, ma perlomeno viene fatta una decisa constatazione di principio, che sancisce differenze le quali, proprio perché riconosciute, sono disinnescate nella sempre potenziale carica distruttiva.

Credo che si possa dire che la chiesa occidentale (quella di cui, dopo la parentesi di papa Ratzinger, Francesco è ridiventato «patriarca») è solo sotto la finzione di un sostanziale unico «ritus» così inteso: le differenze sono, a tutti i livelli, profondissime, e non coagulate spazialmente: nella stessa parrocchia possono essere ospitate aggregazioni (o, ovviamente, singole persone!) con patrimoni ideali differentissimi e per le quali la fede cristiana si esprime in maniere differentissime e, almeno in un certo senso, incompatibili (per sincerarsene basta chiedere a un credente dell’aggregazione X se parteciperebbe volentieri a una celebrazione «animata» dall’aggregazione Y, ammesso che vi possa entrare: alcune risposte sarebbero positive, altre quasi inorridite).

Pronunciarsi sul cattolicesimo «di rito međugorjano» (ci si perdoni l’espressione che ha qualcosa di lieve) significa quindi anche prendere posizione su una certa forma di espressione della fede, per alcuni tratti molto «moderna» (per esempio dal punto di vista del dialogo interreligioso, o della preoccupazione per la pace nel mondo), ma per altri, quelli più evidenti, molto «tradizionale», rituale, popolare, semplice. Ma che posto ha o deve avere oggi questa popolarità semplice?

Cosa non ha funzionato

Per chi ha un minimo di comprensione e simpatia per il travaglio vissuto dalla Chiesa cattolica nel Novecento, può avere il sapore di una sconfitta costatare che il «rito međugorjano» ha di gran lunga più successo, puta caso, dei libri di Schillebeeckx (tutti fuori commercio da tempo).

Può avere il sapore di una sconfitta vedere che dopo il ripensamento travagliato di natura e soprannatura, di natura e miracolo, dopo De Lubac e Rahner, tante persone cercano solo qualcosa che interrompa le regole della natura e incrini il guscio di questo mondo.

Può avere il sapore di una sconfitta vedere che a più di sessant’anni da Sacrosanctum Concilium il numero delle parrocchie che ne rispetta il paragrafo 100 (quello che raccomanda lodi e vespri per i laici) è grosso modo zero, almeno in Italia, e che il Salterio degli illetterati, in cui i 150 difficili Salmi sono sostituiti da 150 facili Ave Maria, continua a essere la preghiera più popolare.

Può avere il sapore di una sconfitta vedere come l’esplosione di interesse per la Bibbia catalizzata dal Concilio Vaticano II ha prodotto sì eccellente produzione scientifica, ha prodotto sì eccellente divulgazione, ma che essa è ormai sfrattata negli scaffali da letteratura fantastica o devozionale di dubbio valore (ho scorso l’attuale classifica dei 100 libri più venduti di «religione»: risparmio il resoconto al lettore).

Può avere il sapore di una sconfitta (per citare un episodio che recentemente ha suscitato effervescenze polemiche) vedere che il recente sondaggio su X (già Twitter) sul valore della «sinodalità» – a quanto pare punta di diamante della realizzazione delle aspirazioni conciliari – ha ricevuto non solo l’88% di voti negativi, ma (ciò che è di gran lunga peggio) appena 7000 voti complessivi (per capirci: il solo account di lingua inglese del Papa su X ha più di 18 milioni di followers: segno, se non si fosse capito prima, che tra le sterminate schiere di ammiratori di Francesco l’interesse per la sinodalità è zero).

Può avere il sapore di una sconfitta costatare che le prime folle veramente impressionanti sono state raccolte da Francesco nel suo recente viaggio all’altro capo del mondo, laddove si può appunto immaginare che la fede sia vissuta in modo molto popolare e semplice (e laddove Francesco ha distrattamente nominato il Sinodo un’unica volta).

Cose differentissime tra di loro, certo, ma che spingono tutte chi vuole far storia o sociologia a chiedersi che cosa non ha funzionato, a chiedersi perché un cattolicesimo colto, critico, consapevole delle sue radici, partecipato, socialmente impegnato, quello cioè che si è cercato così spesso e così appassionatamente nel Novecento, non è riuscito affatto a diventare semplice e popolare: una domanda tanto più urgente oggi, quando la residuale contrapposta speranza che un heri dicebamus possa risolvere i problemi del cristianesimo appare sfarinarsi di fronte alla forza di una trasformazione della società e della cultura che in Occidente sta rapidamente svuotando tutte le chiese, e talvolta le menti e i cuori.

Esperienza o sacra rappresentazione?

Una seconda considerazione riguarda la separazione che il documento intende fare tra i «fenomeni» di Međugorje e l’«esperienza spirituale» che ivi si è sviluppata.

Cerco di non ripetere osservazioni critiche che già sono state fatte e che appaiono condivisibili. Vorrei solo sottolineare che se, da un lato, la distinzione è assolutamente lecita (Dio può trarre cose buone dal male, dice Tommaso per respingere l’obiezione all’esistenza di Dio che si fonda sull’esistenza del male), dall’altro, bisogna chiedersi se sia coerente, da una parte, porsi la domanda (e risolverla positivamente) sull’autenticità cristiana dell’«esperienza spirituale» dei pellegrini e dei devoti e, dall’altra, mettere completamente tra parentesi la domanda sull’autenticità dell’esperienza dei «presunti» veggenti.

Ciò che il lettore trae dalla lunghissima analisi del documento è che sicuramente costoro hanno mescolato del proprio: ma che questo sia avvenuto o no consapevolmente, e se sia avvenuto in pochi casi o in molti o in tutti, in fondo è indifferente: il messaggio è buono e questo sarebbe quel che conta. Sicuro?

Ci sarebbe chi, dall’altra parte (portando a testimone tutta la tradizione mistica cristiana!), direbbe che ciò non solo fa una differenza, ma è decisivo. Che un’esperienza sia reale o sia finta, o sia illusoria, nella logica della fede cristiana cambia tutto: i Vangeli lo testimoniano, e il fatto stesso che il documento intenda pronunciarsi sulla bontà di un’«esperienza spirituale» appunto lo conferma.

Nessuno esclude che perfino guardando un film di fantasia riconosciuto come tale si possa provare qualcosa di grande, addirittura cambiare la propria vita, «convertirsi». Ma questo non toglie nulla al dovere di far tutto il possibile per chiarire se ciò che sta avvenendo ormai da decenni a Međugorje sia un’esperienza o una sacra rappresentazione: questo è un problema completamente diverso da quello su una presunta inchiesta sulla «perfezione morale» dei veggenti, che ovviamente per qualsiasi essere umano ha risposta negativa.

Dichiarare secondaria e preteribile all’infinito la domanda sull’autenticità è di gran lunga peggiore che darvi una risposta sbagliata.

Un esempio

Per esemplificare il problema, mi permetto di riportare per esteso un messaggio:

«Figli miei, vi guardo con amore materno e vi incoraggio a camminare con fede sulla via della luce. Siate testimoni di bontà, compassione e perdono in un mondo spesso segnato dalla sofferenza. Aprite i vostri cuori alla grazia divina, che può trasformare le vostre vite e renderle strumenti di pace. Abbiate fiducia nel disegno di Dio, anche quando non comprendete pienamente i Suoi misteriosi percorsi. Siate forti nella vostra devozione e perseveranti nella preghiera. Solo così potrete trovare la vera gioia e la serenità interiore. Vi benedico con affetto, figli miei, e vi incoraggio a rimanere saldi nella speranza».

Il messaggio è indubbiamente semplice, formulato in un linguaggio affettivo che è per così dire raddoppiato dalla sua tonalità materna. I contenuti espressi appaiono universalmente umani, ma dall’altra parte riecheggiano temi inconfondibilmente cristiani: la compassione, il perdono, la fiducia in Dio, la speranza.

Il punto di partenza della «grazia divina» toglie ogni impressione di autosalvezza e pone il testo in una notevole continuità, per esempio, con le sezioni esortative delle lettere paoline. C’è un bilanciamento tra dolore (il mondo nella sofferenza, le vie incomprensibli di Dio) e «vera gioia», bilanciamento che corrisponde non solo al linguaggio cristiano, ma anche al costante paradosso dell’esistenza umana.

Insomma, è un bel messaggio, nettamente migliore della media dei messaggi di Međugorje. Da dove proviene? Da Claude 3 Haiku, un motore di intelligenza artificiale generativa. Lo ho creato io per gioco, semplicemente chiedendo: «Puoi scrivere un messaggio di dieci righe come se provenisse dalla Madonna?». E, se devo dirla tutta, il motore prima si è schermito dicendo che «non [aveva] la capacità di impersonare figure religiose o divine». Troppo modesto: lo ha fatto benissimo.

Davvero non c’è nessuna differenza se dietro c’è un’esperienza e una vita vera (con tutte le ambiguità della vita, ovviamente), oppure il nulla, o una finzione? E se non ci fosse differenza, allora perché non dire che anche Claude 3 Haiku «può essere soprannaturale»?

Domande glissate

L’impressione del lettore avveduto è che i punti che avrebbero costretto ad affrontare il problema siano stati nel documento e nella sua presentazione semplicemente evitati, o intenzionalmente sottovalutati. Che dire per esempio dei dieci segreti scritti su un materiale inesistente sulla terra, consegnati dalla Madonna e invisibili a chiunque fuorché ai veggenti? Se ne può leggere una presentazione «scettica» o una presentazione «credente» (si tratta non di una qualche frangia marginale, ma dell’editore che pubblica la raccolta dei messaggi che il Dicastero stesso utilizza e cita): le due presentazioni sono sostanzialmente coincidenti.

Il credente di buon senso fa davvero molta fatica a interpretare tutto ciò come l’intrecciarsi tra soprannaturale e limiti della comprensione umana, e ipotizza solo tre possibilità: o davvero un miracolo straordinario (che può rientrare agevolmente nell’onnipotenza divina); o una grave turba di natura allucinatoria o delirante; o un’impostura, che in Italia è punita (benché assai lievemente) dall’art. 661 del Codice Penale. Su ciò non c’è nulla da dire? Senza il minimo dubbio il Dicastero avrebbe potuto esigere che questo oggetto fosse consegnato per analizzarlo, e avrebbe potuto obbligare i veggenti a dirne il presunto contenuto.

Tante altre sono le domande che paiono essere state glissate: coloro che hanno un interesse in proposito conoscono bene il sito di Marco Corvaglia, che con grande tempestività ha dedicato un’analisi alla nota del Dicastero, e non tarderanno a confrontare la documentazione approssimativa di questo con le analisi molto più dettagliate di Corvaglia. (Forse qualcuno pensa che chi si informa su Međugorje non arrivi a quel sito? «Ne traggo la lezione che in futuro nella Santa Sede dovremo prestar più attenzione a quella fonte di notizie», scriveva il 12 marzo del 2009 papa Ratzinger.).

Insomma: perché criteri di verifica che sono usati per altri presunti fenomeni soprannaturali qui sarebbero esclusi, o forse, come assurdamente talvolta si legge, ritenuti impossibili perché «le visioni sono ancora in corso» o «i veggenti sono ancora in vita»?

Credo che sia facile convenire che i tanti credenti cattolici (in primo luogo proprio quelli che a Medjugorje hanno avuto un’occasione spirituale vera) abbiano diritto a una risposta nel quadro della loro stessa fede.

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