Eckhart: l’anima e la sua luce

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Eckhart Luce dell'anima copertina

Il filosofo Marco Vannini è il curatore del volume Meister Eckhart, La luce dell’anima (Lorenzo de’ Medici Press, Firenze 2024). In continuità all’intervista Sulla religione vera (qui), Giordano Cavallari gli pone domande sulla concezione mistica cristiana eckhartiana e quindi sulla sua attualità.

  • Marco, questo volume cosa aggiunge alla conoscenza di Eckhart, in italiano?

Di nuovo presenta solo tre sermoni, finora inediti in italiano, mentre l’Introduzione, completamente nuova, oso sperare aggiunga o precisi qualcosa sul pensiero del Meister.

  • Ti sottopongo alcune citazioni dai sermoni di questo volume e ti chiedo, brevemente, di commentarle. «Chi vuole penetrare nel fondo di Dio […] deve prima penetrare nel fondo proprio […] giacché nessuno conosce Dio se prima non conosce sé stesso».

La teologia è prima di tutto un’antropologia, ovvero frutto del modo in cui pensiamo e ci pensiamo. Lo sapeva già Senofane: gli etiopi si raffigurano gli dèi scuri di pelle, i traci invece biondi, ecc. Occorre perciò prima di tutto far chiaro in noi stessi. «Conosci te stesso», ammoniva la sapienza greca, e i cristiani aggiungevano: «e conoscerai te stesso e Dio».

Questa affermazione è ripresa, quasi alla lettera, oltre che da Eckhart, da san Giovanni della Croce.

  • «L’uomo conosce in una luce vera in cui non è tempo né spazio, senza qui e senza ora»

C’è una realtà dell’uomo posto nel tempo, nella corporeità, nella molteplicità; ma c’è anche una diversa (e più vera) realtà, che lo pone non nel tempo ma nell’eterno, non nel corpo ma nello spirito, non nel molteplice ma nell’Uno.

  • «Quando Dio parla nell’anima, Lui e lei sono uno»

È uno dei punti più importanti – e difficili – di Eckhart, quello di sostenere che «l’anima e Dio sono una cosa sola», un tema cui ho dedicato un libro proprio con questo specifico titolo (2020). Un concetto che può apparire blasfemo, ma che è invece specificamente cristiano, quello della unitas spiritus, come dice san Paolo: «Chi si unisce al Signore, è con lui un solo spirito» (1 Cor. 6,17).

  • «La verità pone in una sola conoscenza e distacca dal molteplice»

Il molteplice è la alienante regio dissimilitudinis di cui parla sant’Agostino, ovvero il turbinare di sensazioni, volizioni, pensieri, in cui si smarrisce il nostro psichismo. La luce, la pace, sono nell’ Uno.

  • «L’uomo dimora con Dio in una sola luce e perciò non vi è in lui né sofferenza né successione»

Siamo sempre nello stesso tema. Questa frase allude alla beatitudine dello stare nell’ Uno, nell’eterno presente, fuori dalla dimensione alienante del tempo. «Quanto in Dio, tanto in pace», scrive perciò il Meister.

  • «La persone vergine […] come Gesù è distaccato, libero e intatto in sé stesso»

Eckhart interpreta la verginità in senso spirituale, come distacco dall’egoità, dall’ amore di sé stesso.  È la condizione che Gesù richiede a chi vuole seguirlo: «Chi vuole seguirmi, rinneghi sé stesso», abneget se ipsum, dice il latino della Vulgata.

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  • Ora, qualche domanda per capire meglio. La prima: quale idea della Trinità ha Eckhart?

Su questo punto non c’è uno specifico pensiero di Eckhart, che si si rifà al De Trinitate di sant’Agostino, con la teoria della Trinità impressa nelle facoltà dell’anima. Ma non si deve chiedere ad Eckhart una teologia, cioè un parlare di Dio, che è sempre frutto della nostra appropriazione: occorre andare oltre ogni immagine di Dio, verso il fondo dell’anima nostra, perché è lì e solo lì che si trova il divino.

  • Cos’è il «distacco» per Eckhart e come si consegue?

Il distacco è la chiave di tutto. Essenza stessa del pensiero, della filosofia fin dalla sua origine greca, e poi del cristianesimo, che, nella sua mistica, prosegue la filosofia classica, come ha dimostrato Pierre Hadot. Si consegue rivolgendo l’anima alla verità, all’Assoluto, e quindi onestamente scoprendo che tutto ciò che siamo e pensiamo è relativo, sottomesso allo spazio e al tempo. Così si fa il vuoto nell’anima nostra, che diventa recettiva alla luce eterna.

Facile a dirsi, forse più difficile a conseguirsi, anche perché è un cammino che non ha mai fine: in ogni istante occorre distaccarsi dalla egoità, che incessantemente tende a riaffermarsi.

  • Cos’è il male per Eckhart e come si vince?

Come insegna sant’Agostino, che sentì profondamente il problema, la parola «male» significa tante cose: dolore, male morale, male, per così dire, ontologico, ovvero realtà opposta al Bene. Lo specifico di Eckhart è combattere il pensiero del male sotto questo ultimo aspetto: pensare il male significa pensare che qualcosa non abbia una causa, e questo è assurdo. Il pensiero del male è perciò un pensiero sciocco, senza intelligenza.

Ovviamente, questo non significa affatto negare il dolore, o il comportamento sbagliato. Altrettanto ovviamente, il male morale si vince rivolgendosi al Bene.

  • Quali proposizioni o idee sono state condannate in Eckhart?

Innanzitutto, dico che le proposizioni condannate sono tutte estrapolate dal contesto. Nella sua difesa, Eckhart sostiene perciò che esse non sono affatto eretiche, ma si possono spiegare in modo assolutamente ortodosso.

Comunque, in primo luogo viene condannata la tesi dell’eternità del mondo, che infatti nel pensiero dell’Uno è da sempre in Dio. Poi sono condannate alcune proposizioni che sostengono che l’uomo buono è Figlio di Dio come il Cristo. Altre riguardano il pensiero del male, come sopra detto, altre ancora la presenza nell’anima di una componente increata, eterna. Altre sono di relativamente minore importanza.

Nella introduzione a questo volume, tu rilevi, oggi, oltre alle radici storiche di Eckhart nella tradizione platonica e neoplatonica cristiana, singolari convergenze con la mistica orientale (induista e buddhista). Come le spieghi?

Eckhart era convinto che la luce di Dio si effonda sempre e su tutti: pagani, cristiani, ecc. Quindi non abbiamo da rivendicare un privilegio, per cui noi abbiamo quello che gli altri non hanno o gli antichi non avevano.

Se anche non ci fosse la Scrittura, ci sarebbe comunque la creatura, ed «ogni creatura è piena di Dio, ed è un libro»: frase di una profondità e di una bellezza incomparabili. Ovvero la rivelazione non è nell’esteriore, ma nell’intimo dell’uomo: In interiore homine habitat veritas, come dice sant’Agostino.

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  • Così, la teologia di Eckhart non rende, in fondo, inutile la stessa teologia?

Beh, in un certo senso, paradossale, sì: rende inutile una pretesa scienza di Dio. Non si conosce Dio come Altro; si conosce Dio nel profondo dell’anima, diventando luce nella luce.

  • L’opera di Eckhart non può apparire come una gnosi in cui ciò che conta è lo sforzo dell’intellettuale, dell’umano, più della grazia?

No, non è così. La grazia ha un ruolo fondamentale, come si può ben capire anche da quel che si è detto sopra: la luce divina, che è la grazia, sempre si effonde e riempie l’anima che ha fatto il vuoto necessario per riceverla.

Il ruolo dell’intelligenza è grande, perché è l’intelligenza che distacca, in quanto riconosce sempre il relativo, la finitezza e, perciò, fa spazio all’Assoluto.

  • Non è un pensiero questo che, al di là delle intenzioni di Eckhart, allontana dal mondo e dalla buona politica?

Questa è una vecchia obiezione, da sempre mossa ai mistici: che compiano una sorta di fuga dal mondo. È sbagliato pensarlo; solo che il mistico opera in un modo profondamente diverso dal politico: questo sì.

  • Perché ritieni che Eckhart possa essere attuale nel nostro tempo?

È attuale come sempre lo è ciò che è vero, oggi come ieri.

Oggi si vive in un tempo di grande smarrimento, morale, culturale, esistenziale, naufragando fra mille proposte psicologiche, teologiche, ecc., per cui l’insegnamento del Meister, vòlto prima di tutto, come dicevamo, alla conoscenza essenziale, quella di noi stessi, mi sembra particolarmente rilevante.

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