L’esperienza spirituale di Henry Le Saux

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spritualità

Questa è altresì la mia speranza che maggiori armonie abbiano a tornare un giorno nella sinfonia dell’universo. L’armonia degli spiriti sarà il principio di una nuova storia del mondo (F. Hölderlin, Iperione).

Lo Spirito soffia nel mondo come e dove vuole, al di là degli schemi e dei dogmi. Questa convinzione spinge Le Saux a lasciare il monastero benedettino di St. Briac in Bretagna dove ha funzioni di professore di Patristica e Storia della Chiesa, per vivere in India una esperienza di monachesimo cristiano-indù. Scegliendo le pendici dell’Himalaya, si stabilisce nel 1965 in un eremo poco lontano dalle sorgenti del Gange, dove si spegne a 63 anni colpito da infarto. Era il 1973.

Il cambio di esperienza di vita lascia intravvedere un monastero divenuto stretto rispetto a prospettive più ampie di conoscenze umane e religiose. Importante tappa che segna l’uscita simbolica dal monastero della sua mente.

È necessario passare all’altra riva del sé, nelle profondità inaccessibili alla nostra coscienza, così scrive. Porto nel mio animo un mistero, il mistero stesso dell’essere e la mia angoscia su questa terra è di dargli un nome.

Anche l’inconscio è parte del mistero se la comunicazione è assente con il sé sconosciuto, ma cercando il nome per ciò che è ignoto, incrocerà per via la psicoanalisi e la citerà spesso negli scritti. Dalla nuova posizione completerà la sua esperienza di mistico, che svela ciò che è nascosto, con la consapevolezza che l’apparenza delle cose cela una luce più profonda e remota.

Nel suo accostare spiritualità occidentali ed orientali, intravede che la rinascita, credenza delle religioni d’Oriente, possa trovare espressione nella metanoia proposta dal vangelo. Proprio questo richiamo lo spinge verso la terra nuova, l’India, segno di un modus vivendi transumanato, distaccato da modalità di pensiero schematico, sensibile al superamento dell’apprendimento, specie trattasi di una dottrina, assente dell’autocompiacersi nell’esercizio delle virtù.

Le Saux si pone come discepolo- ricercatore dei grandi insegnamenti dell’India: valorizzazione della nudità simbolica, esclusione delle pompe verbali ed esteriori, scoperta della profondità soggettiva. Crede che il segreto dell’India così vivo e ardente si offra a chi apre gli occhi all’interno, a chi ha l’anima in sintonia con il mistero, immergendosi fino al fondo dell’esperienza spirituale indiana, luogo abitato anche dalle Scritture e dalla tradizione dei grandi mistici.

Sulla scia dei religiosi illuminati contemporanei, vive una fede attraversata dalla rivisitazione umana – presa di coscienza – priva della quale ogni religiosità può rivelarsi semplice pratica.

L’altra riva

Riflettendo sul passo evangelico in cui Gesù si dichiara la porta (Gv 10, 7) non il punto di arrivo di una esperienza religiosa, pensa ci sia un’altra riva a cui approdare: le profondità che sembrano inaccessibili. Quello diventa il suo obiettivo.

In una lettera del 1970 scrive che il bambino rifiuterebbe di staccarsi dal seno se ne fosse cosciente e la psicoanalisi parla del trauma di questo passaggio considerato anche un costo della relazione. Così l’esistenza di Le Saux diviene la metafora del passaggio con il relativo prezzo di ogni distacco. La via della meditazione nel silenzio, concentrando la coscienza, impedendone la dispersione, la riconduce all’attimo presente, alla sorgente, per svegliarsi al sé fuori dai condizionamenti; liberando il sé profondo della persona dai suoi attaccamenti, dalle identificazioni con i personaggi transitori di cui alternativamente assume i ruoli, da ciò che lega l’umano rendendolo schiavo.

Il punto centrale non può essere scoperto che dal soggetto; le Scritture, il guru, il maestro, indicano il cammino o dischiudono la porta del santuario, ma null’altro che il sé può penetrare nella profondità. La realizzazione è presente come possibilità nel fondo di ognuno, ed il risveglio una illuminazione di cui nulla può essere detto in quanto verità profonda dell’individuo. L’uomo può diventare un “in-sé” e questa interiorità gli conferisce la sua identità.

Le Saux intuisce indispensabile il passaggio dalla solitudine esistenziale alla nudità psicologica e spirituale. La distanza dalle regole prefissate e dagli steccati, lo stimola verso la libertà dell’amore che nel suo attuarsi saprà incontrare le diversità.

Il progetto umano e spirituale di Le Saux si articola nel coltivare la coscienza dell’essere. Spesso l’individuo si cerca nei riti culturali e religiosi, oppure nelle scienze, ma si scopre sempre al di là di essi, in quanto non gli rivelano la propria essenza.

I rishi delle Upanishad richiamano a scoprirsi come essere, a realizzare la coscienza dell’essere, che è all’origine di ogni conoscenza e luogo di esperienza dell’Assoluto. L’ombra che si ritrae e lascia il posto al vero rende possibile quel culto in Spirito e Verità di cui Gesù ha richiamato il primato. Il messaggio evangelico è l’eco stesso delle profondità del cuore, messaggio dell’amore, del dono, della relazione, della condizione divina dell’uomo: questa è la fede di Le Saux.

La rivisitazione della profondità che incontra il divino espressa dal monaco, rinvia echi a  quella rivelazione agostiniana del Dio intimo a me più di me stesso, in quanto esplorando il limite estremo della propria umanità nasce l’interrogativo sull’esistenza dell’oltre, come possibile luogo della Presenza di Dio. Oltre il confine dell’umano è lo Spirito Trascendente e, per lo sguardo libero e acuto, cuore dell’immanente.

Il risveglio

Il risveglio nato dal contatto con la dimensione profonda è la risposta all’interrogativo su chi io sia, uno sguardo nuovo su staticità da cambiare che ci relaziona con maggiore verità, restituendoci spazi liberi per partorire l’unicità personale.

Vista nel suo articolarsi l’esperienza della religiosità orientale, può coniugarsi con lo Spirito della Verità e dell’Amore di cui è annunciatore il Cristo. Come altri mistici contemporanei, Le Saux si rammarica di quanto prezioso, come il senso del Mistero, sia stato sottratto all’uomo moderno.

“Quando mi sono svegliato in India-  scrive Le Saux – e aperto a nuove profondità, il simbolo divino si è stupendamente ampliato, ho recepito il tutto cosmico del Dio dai molti volti. Riconosco il mistero che adoro in Gesù Cristo anche nel mito di Narayana, di Krisna, di Purusha”. In altra occasione con ironia dirà che la chiesa si gloria di possedere lo Spirito; senza dubbio… ma in gabbia. E aggiunge: “Chi non comprende chieda al Signore di sturargli le orecchie”.

Nel tempo dedicato allo studio delle Upanishad, descrive la sua esperienza come un progresso senza fine nei piani interiori, travolgente per le verità contenute in quei Testi Sacri. Il fondo della sua anima è paragonato alle onde dell’oceano che sconvolgono la superficie delle acque, tale il fascino del sentirsi alla Presenza del Vero.

“Non posso dire quanto sia bello aprire gli occhi là dove si è. È necessario imparare a leggersi interiormente”. In una lettera del 1967 scrive: “la psicoanalisi non cerca di portare tutto alla luce? La vita è una continua psicoanalisi”. Le sue frequenti citazioni psicoanalitiche evidenziano come la ricerca della verità personale, esperienza tipicamente analitica, possa accostarsi allo svelamento di quel vero che Le Saux incontra nel suo percorso umano e spirituale.

Il Cristo sconosciuto

Dopo due anni di permanenza in India, scoprirà come sia necessario accedere alle fonti dell’Induismo per attingere alle sorgenti più profonde del Cristianesimo. Il Concilio che ha valorizzato il pluralismo religioso sconvolge la problematica ecclesiale e rende indispensabile un ribaltamento a livello coscienziale con un cambio di visione su Dio e sull’uomo.

L’approfondimento di questa dimensione potrebbe essere il rimedio alla crisi spirituale della chiesa in quanto partendo dai valori che l’India ci offre sia possibile reinterpretare il Nuovo Testamento.

Egli scopre che le altre religioni usano linguaggi differenti per identificare un Cristo sconosciuto e riconosce in quelle Tradizioni intuizioni e luci dello stesso mistero. Come afferma Panikkar , nessuna religione vissuta in profondità si accontenterà di rappresentare una parte del tutto, ma aspirerà al Tutto sebbene in modo limitato e imperfetto. O , come dice Paolo: in ogni icofania c’è il Tutto ma come in uno specchio e in maniera oscura (1Cor 13, 12).

Le Saux si ripropone la domanda: che dice la gente chi Io sia? Cosa dicono i buddisti, gli hindù, gli africani, chi sia il Figlio dell’Uomo? L’uscita dal Monastero significa la ricerca di una cristofania non più vincolata ad un unico filone culturale, ma il Cristo cosmico, alfa e omega di tutta l’avventura divina della realtà ( Panikkar, 2013).

Nella profondità del suo cuore c’è la Sorgente, che definirà anche Matrice; ed è una presenza che può manifestarsi tramite un Volto che ha in sé la sintesi del dono, dell’amore creatore e rigeneratore.

Il Vero risplende attraverso molti segni: si può aiutare il segno ad essere il più trasparente possibile. E di quanto scopre nelle Upanishad esita lo scrivere, perché teme il dire con le parole, ciò che dalle parole stesse potrebbe essere tradito.

Nel suo entrare ed uscire dai Testi Sacri sperimenta che tornare alle Scritture neotestamentarie dopo essersi immerso nelle Upanishad, significa scoprire nuovi orizzonti ed aperture. Ad esempio, se si voglia confrontare S. Giovanni con San Paolo, così diversi nel loro linguaggio, bisogna inoltrarsi dalle parole agli archetipi non formulati.

Se si medita sullo Spirito Supremo, dice il saggio della Prasna-upanishad, come un serpente si sbarazza della pelle, così ci si libera dal male. Perciò “me ne sto in questo centro, luogo sacro del divino incontro, là dove davanti a Dio, io sono”. Questo è un passo verso il risveglio spirituale.

Ma l’uomo ha paura del suo mistero, del penetrare fino in fondo al suo cuore, faccia a faccia con se stesso, perché in quel luogo potrebbe incontrare anche il Dio Vivente. Ricorda quanto la beatitudine in Matteo: “Beati i pacifici perché saranno chiamati figli di Dio”. Trovi analogie nei Veda: “Possano tutti gli esseri guardarmi con occhio di amico, possa io pure guardare tutti gli esseri con occhio di amico, possiamo guardarci gli uni gli altri con occhio di amico”.

Il saggio

Le Saux vede l’uomo pacificato come colui che vive nel presente, avendo integrato il passato, dove, sia i guadagni sia le perdite sono stati accolti e le colpe perdonate. Altra tappa nel cammino del risveglio.

Definisce il saggio come colui che ha fatto il grande balzo verso l’altra riva di sé, scoprendo il centro di se stesso, sapendo riconoscere nel segreto della profondità il mistero di Dio nella sua epifania.

Della relazione con gli altri, parla in questi termini. L’analisi esistenziale dimostra che l’equilibrio è raggiunto quando la coscienza di sé si relaziona con gli altri: essere con gli altri non è periferico alla coscienza, l’incontro avviene a quel livello di profondità in cui si è veramente se stessi. Solamente per chi avrà scoperto se stesso, la scoperta del mondo acquisterà tutto il suo valore.

In un’epoca attraversata da crisi di identità, l’identità profonda, luogo intimo in cui si riceve il nome, inizio della propria verità e del mistero, spuntano uomini come Le Saux, che si realizzano con trasparenza al divino e sono un regalo per l’umanità intera.

In una ritraduzione di San Paolo, il monaco sembra parli del suo percorso esistenziale quando scrive che Dio si fa conoscere attraverso alcune persone che si realizzano collaborando con il divino, divenendo presenze profetiche, con occhi aperti alla chiarezza, sguardo lungimirante e cuore illuminato dalla conoscenza. Nella sostanza, l’esistenza personale di questo religioso si qualifica sulla sua particolarità, che egli sa rendere visibile.

I suoi scritti si rivolgono a chi voglia diventare consapevole della propria vocazione di persona, in quanto la sapienza e la saggezza da cui può scaturire la fede, ha come substrato psicologico quell’esperienza del sé, punto focale dell’ascesi e della contemplazione indiana. Raggiungendo tale profondità cessa il rischio di confondere Dio con altro e il sovrapporre i miti e le astrazioni al Dio assoluto e trascendente; la luce interiore si fa strada e viene accolta.

Così scrisse di lui chi lo ha conosciuto. Tutti coloro che l’hanno visto nei mesi che precedettero la sua grande partenza sono concordi nel testimoniare la trasparenza del suo essere al Mistero, il suo sorriso e il suo volto pervaso di luce, la singolare espressione dei suoi occhi che parlavano da soli a chi li guardava.

Il pellegrino dell’altra riva aveva raggiunto lo scopo: tutto il suo essere unificato, pacificato, interamente immerso nel suo profondo, era ritornato alle Origini. La sua esperienza cristiana e upanishadica confluite verso l’Unica Sorgente.

Come scrive Panikkar proprio perché la religiosità è la dimensione umana più profonda che collega l’uomo con il resto della realtà, mediante i suoi più intimi legami costitutivi non è riducibile ad una appartenenza esclusiva, ad un gruppo umano particolare.

È dentro a questa concretezza che possiamo realizzare, nella misura dei nostri limiti, la pienezza del nostro essere microcosmo. Il Figlio dell’Uomo ha molti nomi, perché nessun nome esaurisce quello nominato.

BIBLIOGRAFIA

Henry Le Saux: Una Messa alle sorgenti del Gange. Ed. Morcelliana. Brescia 1968.
Henry Le Saux: Preghiera e presenza. Ed. La Cittadella. Assisi 1973.
Lettere e scritti di Henry Le Saux. Bologna 1976, pro-manuscripto.
Quaderni Centro Interreligioso Henry Le Saux, n° 1: H. Le Saux O.S.B. una testimonianza ecumenica in terra indiana. Milano 1980.
Henry le Saux: La contemplazione cristiana in India. Ed. La Missione. Bologna 1984.
Henry Le Saux: Il Padre Nostro. Servitium editrice. Sotto il Monte 1996.
Raimon Panikkar: Cristofania. EDB. Bologna 2013.

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