Sacerdote di misericordia da sempre
Gesù ha vissuto l’intera sua esistenza messianica nel segno di una grande misericordia da annunciare e da realizzare. Misericordia è il nome pieno del mistero trinitario, ed è anche il nome pertinente per indicare l’«uno della Trinità» che s’è incarnato, ha rivelato il mistero della santa Trinità, ha svelato, in una profezia sostanzialmente realizzata, la vocazione salvifica e il destino di gloria che Dio ha riserbato all’uomo.
è questo il senso complessivo dell’identificazione che il Cristo, nella sinagoga di Nazaret, stabilisce tra sé e il Messia liberatore annunciato da Isaia (cf. Lc 4,14).
La dimostrazione della carità misericordiosa da parte di Cristo ha il suo inizio nell’incarnazione e il suo punto apicale nella croce, nel mistero dell’“ora”, quando Gesù si esprime al meglio di sé in termini di misericordia: mostra la sua misericordia filiale verso il Padre e la sua misericordia fraterna verso gli uomini al massimo grado.
Un sacerdote con cuore di misericordia
Nel suo petto batte un «cuore sacerdotale»,[1] che ha un doppio ritmo: un battito per il Padre e per gli uomini. «Cristo Gesù, Figlio unigenito dell’eterno Padre» (cf. Gv 1,18), «costituito erede di tutte le cose» (Eb 1,2), è il sommo ed eterno Sacerdote (cf. Eb 5,15) che sa compatire nel suo Divin Cuore le nostre infermità essendo stato provato in tutto fuorché nel peccato (cf. Eb 4,15): a Dio quindi possiamo accostarci come a un trono di grazia per ottenere misericordia e trovare grazia ed essere aiutati al momento opportuno (cf. Eb 5,16).
Il «cuore sacerdotale» del Divino Maestro ha quindi fondamentalmente due qualità: viene definito “misericordioso” verso i fratelli e “degno di fede” nei rapporti con Dio (cf. Eb 2,17)».[2]
Il cuore di Cristo, nuovo tempio
Ma com’è il «cuore sacerdotale» di Gesù nel “frattempo” pasquale, quando quel cuore si pone come “tempio”, spazio necessario per l’atto liturgico, tanto che Paolo VI afferma che è «l’origine e l’inizio della sacra liturgia»?[3] Cristo, con gli eventi di Pasqua, ha inaugurato il nuovo Altare, il nuovo Sacerdozio, la nuova Vittima, in una parola il nuovo Tempio: «In lui, cuore sacerdotale, tutto si unifica nella sua persona. Egli inaugura con la sua morte ignominiosa il nuovo culto spirituale. Il Cuore del Salvatore è quindi il nuovo ed eterno Tempio (cf. Gv 2,19-21; Ap 21,22) che, con la sua morte e risurrezione, ristabilisce l’amicizia rotta dal peccato di Adamo».[4]
Il cuore martirizzato di Gesù nella passione
Alla croce Gesù arriva già con il cuore provato dalla passione; il suo cuore sofferente, conosce tutte le tappe della passione e ne resta impressionato:
* è «cuore agonizzante»:[5] nell’orto degli ulivi soffre la percezione d’abbandono del Padre (cf. Gv 26,39), il bruciante bacio di Giuda (cf. Lc 22:47-53), il senso di angoscia e di solitudine che lo fa sudare sangue (cf. Lc 22,44);
* è «cuore giudicato»:[6] esperimenta il dolore procurato dalla raffinata arroganza religiosa (cf. Gv 18,20-21);
è «cuore interrogato»:[7] patisce l’insulto d’essere giudicato da un giudice vile (Ponzio Pilato) (cf. Gv 18,37), da un giudice ingrato (il popolo), che grida «Crocifiggilo! Crocifiggilo!» (Mc 15,13-14), da soldati che lo trattano come re per burla, prendendolo in giro (cf. Lc 18,31-32);
* è «cuore crocifisso»:[8] è il cuore straziato dalla morte, che realizza un suo paradigma d’more vero: «Nessuno ha un amore più grande di questo: dare la vita per i suoi amici» (Gv 15,13).
Il cuore squarciato di Gesù sulla croce
Aperto il cuore, dura ancora la profezia di Giovanni: «Venuti però da Gesù e vedendo che era già morto, non gli spezzarono le gambe, ma uno dei soldati gli colpì il fianco con la lancia e subito ne uscì sangue e acqua» (Gv 19,33-34). L’avvenimento sembra “ordinario”.
Sul Golgota avviene l’ultimo gesto di un’esecuzione romana: la verifica della morte del condannato. Così si poté dire anche di Gesù: sì, è veramente morto. Gesù è morto prima dei due malfattori crocifissi con lui.
Il colpo di lancia non è pertanto una nuova sofferenza per lui. È invece il segno del dono totale che egli ha fatto di se stesso, segno inciso nella sua stessa carne con l’apertura del suo cuore, manifestazione simbolica di quell’amore per cui Gesù ha dato tutto se stesso e continuerà a offrirsi a tutta l’umanità.
È un segno che durerà fino in Cielo: Giovanni – solo tra gli evangelisti[9] – insegna che le piaghe del Crocifisso, fra le quali c’è quella del cuore squarciato (cf. Gv 20,20.25.27), ci saranno anche in Cielo: saranno le ferite dell’«Agnello sgozzato e ritto in piedi» (Ap 1,7; 5,6). Nella sua morte Gesù ha rivelato se stesso fino alla fine.
Tornare a quel cuore
Il cuore trapassato è la sua ultima testimonianza. Gesù sulla croce ci ha amati con un amore smisurato, spalancando al massimo il suo cuore (cfr. Ef 2,4.7; 3,19). L’apostolo Giovanni, che era ai piedi della croce, l’ha ben compreso.
Nel corso dei secoli altri discepoli di Cristo e i maestri della fede l’hanno capito. Nella tradizione teologica e liturgica della Chiesa, il Cuore di Cristo, trafitto a causa dei nostri peccati e per la nostra salvezza (cf. Gv 19,34), viene considerato come epifania dell’amore di Dio, come «il simbolo e l’immagine trasparente dell’infinita carità di Gesù Cristo» per l’uomo[10], che ci ha amati, tutti e ciascuno, «con un cuore umano», mai cessando di amarci con un «cuore divino».[11]
Tuttavia, il cristianesimo resta pur sempre una religione per nulla facile, ma seria e perfino severa, che evita l’equivoco di una presentazione permissiva e semplificata di sé. Del resto, che sarebbe un cristianesimo sentimentalistico, senza croce, alla maniera di quello ipotizzato da Chateaubriand, definito da Sainte-Beuve, l’«avvocato poetico» del cattolicesimo? Resterebbe ben poco.
Il cristianesimo è la religione del cuore, perché è la religione di un Dio di cuori.
[1] Cf. M.G. D’Agostino, Gesù maestro. Il cuore di Cristo via, verità e vita, Edizioni AdP, Roma 2008, pp. 113-116.
[2] M.G. D’Agostino, Gesù Maestro, p. 113.
[3] Paolo VI, Lett. ap. Diserti interpretes (25.5.1965), n. 3.
[4] M.G. D’Agostino, Gesù Maestro, p. 114.
[5] Cf. M.G. D’Agostino, Gesù Maestro, pp. 82-83.
[6] Cf. M.G. D’Agostino, Gesù Maestro, p. 83.
[7] Cf. M.G. D’Agostino, Gesù Maestro, pp. 83-84.
[8] Cf. M.G. D’Agostino, Gesù Maestro, pp. 84-87.
[9] Fra gli altri evangelisti solo Luca allude fugacemente alle «mani» e ai «piedi» del Risorto (cf. 24,40).
[10] Leone XIII, Lett. enc. Annum sacrum. La consacrazione dell’umanità al sacro Cuore di Gesù (25.5.1899), in EE 3/1431.
[11] Catechismo della Chiesa Cattolica, n. 478.
Mi piace questo articolo che ben descrive il carisma dei dehoniani. Come diceva. p. Boschini: i dehoniani sono come i gesuiti, SJ, solo che in mezzo hanno il cuore: SCJ. Io sono impressionato dalla presenza della nozione “cuore” nella Bibbia. Soprattutto in relazione al dono della Legge. Meritava citare il libro del Deuteronomio. La base di ogni considerazione sul cuore. Nell’AT il cuore salta sempre fuori. Nel nuovo è sufficiente il “cuore trafitto che fa sgorgare sangue ed acqua”