Qualcuno vive il cammino di Santiago come un avvicinamento laborioso a una dimensione di fede, qualcun altro come un prendere le distanze fino a esplorare il “finis terræ”. I moti interiori che muovono i piedi, si sa, sono i più disparati. E così, lungo il cammino, si incontra una variegata rappresentanza della razza umana e delle sue inquietudini. Qualche volta ho voglia di chiacchierare, il più delle volte no, almeno lungo la strada.
Quando lui – sconosciuto – mi supera e mi saluta, non so cosa mi spinge a rispondere al saluto deciso in italiano, con una flessione dialettale a me familiare. Un saluto che – si capiva – portava in pegno una conversazione. Ci sto. Mi racconta della sua vita più recente, per quella confidenza sorprendente che fiorisce magica dalla “concha”. Ha più o meno la mia età, direi.
Qualcosa di inafferrabile mi convince di averlo già incontrato, di averlo conosciuto. Non riesco a risalire all’occasione. Annaspo tra i ricordi, lasciando che la sua inflessione dialettale mi orienti almeno sulla geografia visto che la storia ancora mi sfugge. Quando l’avrò conosciuto? Dove? O forse è suggestione. Eppure sono certo di averlo già incontrato. Mi avrà riconosciuto, lui?
La parola (per fortuna) è quasi sempre a lui. Mi parla come se mi conoscesse da sempre. Affonda alla confidenza. «Dio mi ha deluso, tante volte. E penso che debba rispondermene. Ma gli voglio dare un’altra chance». Mi racconta delle sue preghiere gettate verso il cielo e ricadute come massi pesanti sulla sua strada. «Io parlavo e lui taceva». Lui parlava e io tacevo. Forse lui mi consoce e sa che sono prete.
Il sole, ignaro delle nostre chiacchiere e dei nostri passi, è salito inesorabile fino al punto più prossimo allo zenit. D’intesa spontanea, ci sediamo all’ombra di una vigna, sull’orlo di un pozzo. Lui continua il suo racconto mentre si tira fuori dallo zaino ciascuno il proprio panino e la borraccia. Dalla casa vicina vengono le note micidiali di Killing me softly with his words (Mi sta uccidendo lentamente con le sue parole).
«Questa fame e questa sete riesco a saziarla, bene o male. Non mi manca il pane. Anzi ho il superfluo. Mi è venuta a mancare la persona che quel pane lo mangiava con me. La mia “compagna”. Speravo che lui la salvasse. Ormai sono passati tre anni». Com’è che le sue parole mi sembrano mie?
«Mi ha deluso. Quella delusione mi ha fatto male. Non vorrei ammetterlo: ora mi sta facendo bene». [Come mai mi sembra di conoscerlo?].
«Sono stato anch’io tra i seguaci di San Gesù Magno, quello che vince sempre. Ora che ha perso gli chiedo solo di essermi compagno».
D’improvviso le sue parole mi hanno spalancato la memoria. Ora so chi è. Il pane che mangiamo è più saporito.