Si è detto che la pandemia ha in qualche modo fermato la corsa del mondo e ci ha lasciati in un tempo sospeso. Da una parte, una certa frenesia delle nostre attività quotidiane, con gli stimoli nervosi che le presiedono e le suscitano, ha subito una battuta d’arresto e si è dovute adeguare a un nuovo modo di abitare gli spazi e di vivere perfino le relazioni; dall’altra parte, guardiamo davanti a noi con occhi incerti, non riuscendo a proiettarci con serenità e con forza d’animo in un futuro che abbia i colori rosei della speranza, della rinascita, della ripartenza. Il tempo si è come fermato.
Proprio il mistero del Natale, se liberato dalle finzioni esteriori, dal romanticismo puerile e dall’inutilità del consumismo, ci viene incontro per consegnarci una «Parola» alternativa. Natale – secondo il bel commento del grande teologo Karl Rahner – è Dio che entra nella nostra carne e nella nostra vita, assicurandoci che da quel momento la storia del mondo, con le sue ferite, le sue paure, la sua angoscia e le sue speranze, non è più «esterna» e guardata dall’alto, ma è dentro la storia stessa di Dio.
Rahner afferma che, dal giorno di Natale, cioè dalla venuta del Signore Gesù nella nostra carne, noi siamo stati raggiunti da una Parola capace di trasformare per sempre la nostra vita; questa Parola dice: «io ti amo». Sapere di essere amati è sapere di non essere mai più da soli. È questo che trasforma la notte in luce e dona senso, scopo e meta all’esistenza. E, in questo tempo sospeso, è questa la speranza che può farci guardare alla vita con coraggio ed entusiasmo, nonostante tutto. Rahner allora si chiede: che cosa significa celebrare il Natale, allora? Semplicemente lasciarsi cadere nelle braccia di questo amore.
Occhi che vedono
Il problema, anzi il dramma del Natale è tutto qui: siamo disposti a lasciarci cadere nelle braccia di questo amore?
Possiamo essere sempre tra coloro che continuano a festeggiare un Natale di tradizione e consuetudine, senza lasciarsi toccare; possiamo essere sempre e ancora quei cristiani borghesi che presenziano al rito cattolico senza che la vita ne resti minimamente scolpita e continuando a coltivare l’idolatria di se stessi, della propria immagine, della produzione, del rendimento, del successo e del guadagno; possiamo essere coloro che, pur vivendo nelle tenebre, non accolgono la luce che è venuta nel mondo.
O, forse, rifacendosi agli stessi racconti evangelici della nascita di Gesù, coloro che pur avendo occhi, non vedono. Non si accorgono. Proseguono la loro vita nella monotonia della quotidianità, senza accorgersi dell’evento che sta accadendo attorno a loro, proprio come avvenne in quella notte di Betlemme, quando il vagito di un bambino riusciva a stupire solo gli occhi di umili pastori, mentre il chiassoso mondo attorno restava indifferente all’accaduto.
Chi sono i Magi? Sono la nostra possibile risposta al Natale del Signore. La loro prima caratteristica non è la bravura, il merito, l’identità religiosa, ma, anzi, al contrario, essi erano pagani e abitanti di terre lontane. Essi si distinguono perché, a differenza di tanti sapienti che pure studiano la Scrittura notte e giorno, sanno alzare il capo, sanno scrutare il cielo e, soprattutto, hanno occhi che vedono.
La festa dell’Epifania – afferma Angelo Casati – è una questione di occhi che guardano lontano. Alza gli occhi intorno e guarda, è l’esortazione di Isaia in questo giorno. E i Magi affermano: abbiamo visto una stella e siamo venuti per adorarlo. Occorrono occhi capaci di vedere oltre, occhi dilatati, occhi che sono lo specchio di un cuore non rimpicciolito, ma abitato dalla nostalgia di orizzonti sconfinati. Occhi che cercano e che non smettono di cercare perché sanno – ecco la fede nel Natale – che anche nel cuore della notte più profonda, più oscura e più lontana, spuntano stelle luminose.
Una stella nella notte
La luce della stella non indica immediate risoluzioni dei problemi della nostra vita, ma intende suscitare nuovi inizi e nuovi cammini. Non si tratta di una luce che di colpo illumina tutta la scena della nostra vita, ma di un segnale apparentemente inutile, che ti consegna alla gioia di trovare la benedizione anche in ciò che vivi come contraddizione e sofferenza.
Se c’è una stella che spunta anche nella notte più nera, allora significa che nel mistero della nostra vita, dentro le fatiche e le sofferenze che viviamo, c’è un Dio che si fa nostro compagno, che sperimenta le nostre paure, che piange le nostre lacrime, che apre cammini inattesi di vita nuova laddove tutto sembra perduto. O, per riprendere l’immagine usata di recente da Luigi Maria Epicoco: c’è sempre una luce in fondo che dobbiamo cercare.
I Magi la cercano. Il loro viaggio è quello dei sognatori, che non hanno mai smesso di credere nella luce pur sperimentando la solitudine angosciante della notte. Il loro camminare è il migliore antidoto alla pigrizia accomodante delle nostre anime spente e rassegnate. Il loro cercare è l’arma più potente contro la corruzione dell’immobilismo e del disfattismo. Di una vita che si trascina per abitudine e di una fede che cerca solo una pacifica consolazione.
I Magi si muovono, cercano, vedono stelle nel cielo per indicarci che un uomo si misura dal suo camminare, dai desideri che coltiva, dalle domande che fa, da come nonostante tutto ha la forza di ripartire perché ha accolto davvero e sul serio il Natale: il Dio che, prima ancora di ogni cercare umano, si è messo in cammino verso di noi.
Non smettere di cercare
Magi, dunque, sono il simbolo del cuore che si apre alla fede e si mette in viaggio per cercare quanto il Signore gli indicherà. Essi sono – nel ritratto che spesso ne ha fatto papa Francesco – coloro che, con la nostalgia di Dio nel cuore, rompono i nostri conformismi e ci tirano fuori dai nostri recinti e dalle anestesie del cuore, per donarci il coraggio di metterci alla ricerca di Dio e della verità di noi stessi.
Così, nella pandemia. Si tratta di cercare le stelle che brillano in questa notte oscura. I segnali di luce che questo evento ci sta indicando, mettendo in crisi alcune nostre certezze – anche religiose – e invitandoci a metterci in cammino come i Magi, per un’altra strada: abbiamo bisogno di strade nuove per la nostra vita personale, per la nostra società, per la nostra Chiesa. E il futuro sarà soltanto di coloro che, inquieti, non smetteranno di cercarle.
I tre Magi e l’analogia scientiae in teologia
Già nel IV secolo Giovanni Crisostomo scriveva: “i magi non si misero in cammino perché avevano visto la stella ma videro la stella perché si erano messi in cammino”. Non è difficile identificare in questo pensiero vero, la sostanza del bell’ articolo di Cosentino sui Magi che “alzano il capo e scrutano il cielo e soprattutto hanno occhi che vedono”. Il loro cammino ha un nome e si chiama “ricerca”. Non importa in quale campo del sapere umano, magari in quel luogo vastissimo del mistero (che si sposa meglio col non-sapere più che col sapere), i Magi avanzano e non smettono di cercare.
Appena videro “quella stella”, la seguirono. Perchè? Normalmente si dice che i Magi fossero degli astrologi, comunque di duemila anni orsono. Il loro sapere “scientifico” restava ancora simbolico. È probabile che la visione di quella stella li abbia molto incuriositi, per qualche stranezza che non rientrava nella mappatura delle stelle nel cielo, da loro per anni osservato. La novità doveva per forza stare nella “luce” della stella, o forse anche nella forma (cometa), ma certo nella sua “posizione-velocità” nella cornice delle costellazioni. Un fenomeno da osservare con più attenzione e da non “perdere di vista”: ecco perché il loro cammino richiede di spostarsi fisicamente e mettersi “per strada” viaggiando. Per dove? Per quanto tempo? La curiosità della ricerca dei Magi è messa a dura prova dall’interrogativo che avrà inquietato la loro mente, non senza prima passare dal loro cuore: ne vale la pena? Arrischiare la vita in un viaggio di cui non si conosce meta e tempo, benché si spera soltanto che vi si giungerà in una certa pienezza del tempo? La risposta positiva a questa domanda veniva di sicuro dalla stella stessa, dalla sua luce misteriosa, che doveva già parlare con la sua “superficie visibile” (la bellezza della sua forma luminosa) di un “interno di più grande bellezza” (il suo messaggio, il suo essere richiamo d’altro, eco di una Parola ancestrale, troppo remota per poter essere immaginata). I Magi dunque si lasciano istruire, prima di decidere e impegnarsi per un viaggio lungo che avrebbe cambiato la loro esistenza per sempre. E cosa fanno per ricevere le dovute istruzioni? Guardano il cielo, aprono gli occhi: accadde così che i fotoni di quella luce (procedendo alla velocità della luce =300 mila km al secondo) giunsero a inondare i loro occhi (si, perché i fisici quantistici parlano di onde) con miliardi di quanti (o grani luminosi) affettando le pupille dei Magi. Accadde così, perché gli occhi dei Magi erano aperti e sufficientemente puliti (non oscurati dal pregiudizio ideologico o anche dall’impurità morale) dal desiderio di “vedere il mistero nascosto” che quei fotoni della stella già avevano traslocato nel loro cuore. Così per una sorta di Entanglement cosmico, nonostante la grande distanza, appena si mosse la stella, i Magi cominciarono il loro viaggio di scoperta. Quello della stella e quello dei Magi è ormai un unico e solo viaggio, – guarda caso -possibile da fare “insieme” solo di Notte. Nella notte tutte le vacche sono nere, disse Hegel, mi pare. Ma nella Notte della stella cometa, non è così: anche quella Notte è speciale, perché quella Notte è capace di una oscurità diversa, carica di speranza e di promessa di luce oltre ogni buio. È la Notte che brilla come il giorno (non smettendo di essere Notte… diversamente non sarebbe più notte). È l’oscurità di un misterioso “buco nero” che assorbe tutta la luce e non la riflette e con la sua forza di gravita ti attira dentro, più dentro in un percorso oscuro (come la valle oscura dell’Inferno dantesco) ti risucchia a velocità abissali donandoti l’effettiva sensazione di un annientamento, come un morire, per giungere in te stesso in una “sovrapposizione quantistica di stati” vedendo te stesso morto e vivo ad un tempo (un po’ come il gatto di Schroedinger) e alla fine ti fa “collassare” (così si dice in gergo scientifico) nello stato più vero di te: la fede nel bambino, il cui mistero la stella indicava. E ti fa dire davvero le parole della sapiente follia: ero morto e ora (da morto) vivo risorto; io-non-io vive in me, e questa vita che vivo nella carne, la vivo nella fede della morte del Figlio di Dio che ha donato la sua vita per me.
Un “accenno ultimo” (mi si perdoni, non è come dire un “ultimo accenno”, che è un’altra cosa): in tutti i presepi i Magi sono sempre “tre”, come per dire che il gioco non si può giocare da soli, è un gioco collettivo, un gioco di squadra, come il lavoro credente dei cristiani nelle comunità o quello dei teologi, i Magi della fede, che non dovrebbero disperdere la luce di quella stella, andando ognuno per conto suo.
Comunque vada, il primo passo di ogni metodo scientifico (e la teologia è una scienza, tutti lo sanno) è osservare, guardare, elevare lo sguardo al cielo e poi potenziare la vista con la “luce taborica”( Pavel Florenskij) che ti permette di vedere il trasfigurato. “Un po’ come” (ecco l’analogia… un po’ come, cioè la somiglianza nella più grande dissomiglianza) come fece Galileo Galilei all’inizio di questa storia della nuova scienza giunta fino agli sviluppi odierni della meccanica quantistica: prese il cannocchiale dell’Olandese che lo aveva inventato per altri motivi (presumibilmente bellici, per avvistare le navi nemiche) e col cannocchiale guardò il cielo, cominciando a scoprire che “la realtà non è come appare”, sia per la luna e sia per la terra. Beh! Mi pare che in teologia lo stesso Cosentino abbia scritto un libro “galileiano” sulla realtà teologica per eccellenza, ciò Dio, dal titolo “Non è quel che credi”… si perché Dio è come è apparso nella grotta di Betlemme, esattamente come Gesù te lo ha trasmesso e mostrato. E anche oggi occorre rimettersi in cammino, seguendo la stella della Parola di Dio, con tutta l’intelligenza dei nostri occhi per ritornare a vedere la luce nella sua Luce, perché Dio è un mistero di luce in ogni notte: “alla tua luce vedremo la luce”, e vedremo in questa Luce il Dio “Luce da Luce, Dio vero da Dio vero”
Auguri +Antonio Staglianò
Ci basti una stella !
La vediamo sorgere, luminosa e palpitante, quando scende la sera.
Ci precede, orientando i nostri passi e additando una direzione.
Ci rallegra e ci consola: grazie a lei il nostro camminare ha un senso e una meta.
Non traccia una strada, come a volte vorremmo, per sentirci sicuri.
Non vincola con limiti lungo un percorso già definito.
Può capitarci di scorgerla da posizioni diverse e di seguirla lungo sentieri sconosciuti.
Talvolta sembra sparire, nascosta da nuvole oscure o dispersa nel luccichio di infinite altre stelle.
Ma se ci ostiniamo a scrutare il cielo, ecco, riappare, nel silenzioso imbrunire…un incontro, una lettura,
un’esperienza…
La riconosciamo: è lei, la stella, che sempre ci precede, che sempre è luce ai nostri passi incerti.
Ci basti una stella !
Grazie! Condivido pienamente. La pandemia, costringendoci a casa e dunque ad una vita più sedentaria e statica, da un lato ha reso più forte il desiderio di camminare, di uscire, di spazi aperti, di mare e di montagna. E per tanti forse questo desiderio prevale su quello di chiudersi dentro una chiesa. D’altro lato ha forse invece acuito il senso di estraneità al mondo, alle sue virulenze, non solo del covid 19, ai suoi rumori, alla sua frenesia, alle sue fredde leggi che premiano solo competitività e risultati. Direi che ci è stato consegnato un tempo benedetto, malgrado tutto il suo dolore, nel quale poter comprendere che non c è cammino senza ricerca e che questa dovrebbe dare senso alla nostra vita terrena. Penso a Chiara di Assisi quando ad Agnese di Boemia raccomanda di camminare svelta con passo leggero che neppure la polvere possa trattenerlo, senza a nessuno credere e a nessuno acconsentendo. Libertà della ricerca! L andare dei Magi non è senza meta, non è ricerca fine a se stessa, ma neppure una meta conquistata una volta per tutte. Anzi. Il loro tornare per una strada diversa mi appare a dir poco sublime, perché è profezia di un incontro con il Dio fatto carne che non può lasciarci inerti, ma aperti al viaggio della vita, innanzitutto nel cuore e nella mente.
Buona Epifania del Signore 2021!