Nell’Anno della preghiera indetto da papa Francesco in preparazione all’Anno Giubilare del 2025 appare provvidenziale il libro del biblista e scrittore valdostano, ben conosciuto dal pubblico per i suoi libri e le sue conferenze. Nel suo caratteristico stile espositivo semplice ma profondo, egli intende introdurre il lettore alla meditazione e alla degustazione della preghiera per eccellenza del discepolo di Gesù, il Padre nostro (PN), «breviarium totius evangelii».
La preghiera
Curtaz introduce le sue riflessioni con alcune note riguardanti il tema generale della preghiera (“Insegnaci a pregare”, pp. 5-20), quale cammino per entrare in comunione con il Dio rivelatoci da Gesù. L’uomo ha bisogno di incontrare la propria anima, fare spazio all’interiorità per poi aprirla alle radici più profonde, la conoscenza di Dio.
Il Vangelo di Luca, seguito da Curtaz, mostra varie volte Gesù in preghiera e mentre imparte degli insegnamenti riguardanti la necessità, le caratteristiche e lo scopo della preghiera.
Pregare con Gesù, pregare il Padre di Gesù, significa anzitutto che gli stiamo a cuore, che esiste una logica nel suo agire, nel pieno rispetto della nostra libertà. Gesù ci svela il volto del Padre e, come figli nel Figlio, ci possiamo rivolgere con confidenza a lui.
La preghiera è un colloquio intimo, una reciproca intesa, ma è fatta anzitutto di ascolto, di ascolto di Dio, e di intercessione per il mondo e non solo per i bisogni personali.
Nella preghiera possiamo rintracciare la presenza di Dio nelle nostre giornate, riusciamo a conservare la fede e a renderla efficace per la nostra vita. Occorre una preghiera personale, oltre a quella comunitaria e sacramentale.
Curtaz annota un protocollo per la preghiera. Essa ha bisogno anzitutto di un me autentico, senza maschere. Necessita poi di un tempo scelto e custodito con cura, giornaliero. Un luogo appropriato facilita l’accesso a Dio nel colloquio orante. Ha bisogno di una parola da dire col cuore, una parola vera, per ringraziare, lodare, tacere, prendersela con Dio. La preghiera ha bisogno, infine, di una parola da ricevere, quella che Dio ci dona, prima o dopo le nostre parole.
Molto utile la lettura del Vangelo proclamato nella liturgia del giorno e la conclusione con un salmo o una preghiera di affidamento a Maria.
Il Padre nostro
La preghiera per eccellenza, consegnataci da Gesù stesso, è il Padre nostro, che ci svela il mistero della vita divina. Gesù non ha insegnato delle preghiere ma a pregare, perché, attraverso la preghiera, ci mettiamo in ascolto, sintonizziamo la nostra anima, ci poniamo di fronte al Dio che, in Gesù, abbiamo conosciuto.
La perla preziosa consegnataci nel Padre nostro va recitata con attenzione e stupore, come accadeva ai catecumeni dei primi secoli. Essa è collocata al centro della celebrazione eucaristica, con sette richieste, tre riguardanti Dio e quattro riguardanti noi.
Nel Padre nostro ci rivolgiamo al Dio di Gesù, che è rivelato non solo come misericordioso e provvidente per il suo popolo, ma padre di ciascuno dei suoi figli. Gesù lo chiama affettuosamente Abba, Dio è padre e madre, è buono.
Gesù sposta l’attenzione dalla teologia alle emozioni e parte dall’esperienza umana per farci apprezzare Dio come padre che ci ama, ha cura di noi, ci corregge, ci raggiunge attraverso il linguaggio della relazione e degli affetti. La preghiera del PN ci fa sentire amati, apprezzati.
Questa preghiera ci mostra un Padre che è riservato non solo al singolo, ma alla famiglia dei figli di Dio, un «noi» entro cui il singolo è inserito in profonda comunione.
La Chiesa è radunata da Dio e mette insieme le diversità. Non ci si sceglie, ma si è scelti da Dio.
Il nostro, detto di Dio, indica che è possibile costruire un mondo diverso, costruire relazioni fra le persone andando alla sorgente del nostro esistere, che è Dio. Nel tempo di mezzo che ci separa dall’avvento finale del Regno, il discepolo di Gesù crede in un Dio felice che ci vuole felici.
Il PN aiuta a uscire dall’autoreferenzialità e a costruire il sogno di Dio che è la Chiesa. Pregare il PN significa scoprire parte di una comunità di «carbonari» della fede dispersa fra i continenti, sperimentare la beatitudine di essere fratello, sorella e madre del Signore perché ascoltiamo la Parola, assaporare l’ebbrezza di essere concittadini dei santi e famigliari di Dio.
Dio è padre e madre, papà e mamma. Dolce e autorevole insieme. Egli è il celato, il nascosto («nei cieli»). Dio è al di sopra e altrove, oltre, ovunque. È nascosto per lasciarci liberi, anche di rifiutarlo. L’universo è pieno dell’assenza di Dio…
La preghiera del Maestro ci indica un orizzonte: Dio Padre/Madre abita l’altro, la pienezza, ma ne possiamo fare esperienza diventando discepoli. «La preghiera del Signore, allora, la preghiera di chi si scopre figlio di Dio, ci rivela il vero volto di Dio, di un Dio che ama e che accomuna, che rispetta i suoi figli e li invita a cercare, a scoprire, a vivere, a fiorire. Che meraviglia!» (p. 34).
Curtaz suggerisce di aggiungere la parola Padre al termine di ogni frase del Padre nostro. Siamo figli ma anche cercatori: «Padre nostro che sei celato e che ci obblighi alla ricerca» (ivi).
Santità
Con la richiesta «Sia santificato il tuo nome», intercediamo perché ognuno possa scoprire il Kadosh, il Totalmente altro, la sua bellezza già intravista dal discepolo negli occhi del Nazareno. Chiediamo che «in Gesù ogni essere vivente sperimenti la salvezza, che è la consapevolezza piena e duratura di essere amati e di poter amare» (p. 37).
Gesù insegna che, per realizzare pienamente la propria vita, occorre scoprirsi figli di un Padre/Madre che ci chiede di collaborare al suo straordinario progetto di salvezza, a scoprire che Dio è il Santo e noi viviamo alla sua luce. Scopro la mia identità specchiandomi in Dio. Scopro la mia chiamata, il mio progetto di vita in armonia con quello di Dio. Sempre nella libertà.
Dio è il lontano che si rende accessibile, che desidera partecipare la sua natura divina. Egli desidera partecipare sé stesso all’essere umano. Renderci santi come lui è santo. Santi nel Santo. I santi sono i discepoli che hanno creduto nel sogno di Dio, si sono fidati e lasciati fare da Dio. Santo è chi lascia che il Signore riempia la sua vita fino a farla diventare dono per gli altri.
Nel PN preghiamo perché tutti possano scoprire che «Dio c’è ed è bellissimo!» (p. 46). Occorre riscoprire il vero volto di Dio, non quello fuorviante di giudice inflessibile, ma il Dio bellissimo rivelatoci da Gesù. Certo, rimane il dolore, anche il dolore innocente, ma la felicità richiede sempre anche dei passaggi dolorosi.
Col PN smetto di fare la vittima e assumo lo sguardo di Dio su di me, sugli altri, sul mondo. Uno sguardo che santifica, che vede la presenza del Santo. La preghiera rende naturale riconoscere i segni della santità ovunque: nelle persone, nella natura, nelle opere, nei gesti, nell’arte, nella musica ecc. Partecipare alla santità di Dio significa diventare radicalmente ottimisti e positivi.
Il Regno
Nel PN chiediamo che venga il Regno di Dio. Esso è là dove Dio regna. È scoprire il grande progetto di Dio sulla storia, un progetto di bene e di salvezza. È capire che siamo chiamati a realizzare, ancora in seme, la visione che Dio ha sul mondo, vivendo in comunità.
La Chiesa dovrebbe e potrebbe in qualche modo anticipare questo Regno. Essa raduna i discepoli che desiderano e possono vivere l’unica legge dataci da Gesù: sapersi amati e scegliere di amare come siamo stati amati. Gesù ci chiede di rendere presente il Regno, di anticiparlo. È la vocazione della Chiesa, la sposa che invoca la venuta definitiva dello Sposo.
Gesù ha chiamato attorno a sé dei discepoli, che ha colmato dello Spirito e a cui ha affidato degli incarichi, perché, agendo insieme a lui, predichino il Regno, annunciando il definitivo, agendo sulla terra con il cuore orientato all’altrove. I discepoli sono costruttori del Regno, gente già salvata che manifesta con la propria vita la salvezza.
La Chiesa vive e anticipa il Regno, con spazi di accoglienza, di misericordia e, di compassione, di gioia, di trasparenza del vangelo.
Chi è la Chiesa? si domanda Curtaz. La Chiesa non è una holding del sacro, ma la compagnia dei discepoli chiamati dal Signore per stare con lui, annunciare il vangelo, fare arretrare il male. Il tempo dell’avvento finale tarda. È necessario che il vangelo sia annunciato a tutte le genti. Il discepolo chiede e realizza, costruendo nella consapevolezza che tutto è già e non ancora.
La volontà di Dio
La volontà di Dio che chiediamo sia compiuta non è qualcosa di terribile e di ineluttabile, cieca di fronte al dolore e al male. La volontà di Dio non è mai il male, la sofferenza, la punizione, l’abbandono, la stranezza o l’incomprensibile. Chiediamo che Dio faccia in me il bene che ha previsto, e che io non lo ostacoli. La sua è una volontà di bene e di pace, ma la presenza della lotta interiore di violenza e di morte lascia vedere che l’amore lascia liberi e che siamo chiamati a scegliere col libero arbitrio.
Dire di no a Dio, il peccato, è male perché ci fa male, non perché l’ha deciso Dio. Dio è felice e vuole che ogni persona sia felice, goda cioè la salvezza. In Gesù, Dio mostra la sua volontà di bene e di salvezza (cf. la guarigione del lebbroso ecc.). Dio ci ha creati senza di noi, ma non ci salva senza di noi.
Gesù stesso ha vissuto il dolore dell’abbandono, fino alla morte in croce. Perché? «Per essere credibile» (p. 73). La croce è la suprema manifestazione dell’amore di Dio. L’angoscia di Gesù si fonda sulla consapevolezza che il suo sacrificio potrebbe rivelarsi inutile. «È un rischio, il suo, il più terribile: quello di essere il per-sempre-dimenticato» (p. 74).
Gesù chiede di prendere ogni giorno la propria croce. Non è Dio a mandare le croci, ma la vita, gli altri, i nostri giri di testa. Prendere la croce è vivere donando, assumere la logica di Gesù che, di conseguenza, ci fa scegliere di donare la nostra vita.
Dio è felice, ci vuole felici, conosce ciò che è veramente il nostro bene. Ci fidiamo di lui e gli chiediamo di compiere in noi la sua volontà. Non solo sulla terra, fra le cose visibili, ma anche nel mondo invisibile, il mondo in cui Dio regna in pienezza, il mondo celato.
Chiediamo al Padre di aiutarci a costruire questo mondo nascosto, prendendolo come modello, senza arrendersi all’evidenza sensibile, col coraggio di sperare e di sognare al di là del visibile, guardare con sguardo puro e luminoso gli eventi, capendo che la nostra vita si misura sulla nostra capacità di amare.
Invocare come modello il mondo “celato” impegna a mettere al centro della nostra azione pastorale l’umanità nuova, il modello che la Chiesa dovrebbe rappresentare nel mondo concreto in cui vive. Il discepolo si rimbocca le maniche, cambia la miseria attuale per amore di Cristo che vede riflesso nel povero, ama questo mondo amato da Dio e cerca di trasfiguralo.
Pane
Dopo la prima parte del PN rivolta a Dio sperimentato come Padre/Madre, la seconda parte della preghiera abbassa lo sguardo sull’esistenza quotidiana, su cosa è indispensabile per la vita. La vita è fatta di relazione e di ricerca di Dio ma anche di occupazione circa le necessità del corpo. Il discepolo di Gesù vive la vita quotidiana come un dono, con sguardo positivo su di sé e sugli altri. Le quattro richieste vengono sintetizzate in tre: pane, perdono, libertà.
Il discepolo chiede il pane impegnandosi a guadagnarlo lavorando e a condividerlo. Chiediamo di guadagnare il nostro pane con pace, giustizia, dignità e onore, e ci impegniamo affinché ogni persona abbia di che vivere.
Chiediamo il pane quotidiano, il che ci obbliga a fidarci, a non accumulare, ad avere il giusto rapporto con il possesso e il denaro. Anche la ricchezza è un bene, ma va compartecipata. Il cuore dell’uomo è fatto per l’Assoluto e nessun bene o denaro può colmarlo. Chiedendo il pane giorno per giorno, ci interroghiamo sulla bramosia, sul desiderio smodato di possedere (le realtà più diverse). Dio ci cura e ci protegge, come fa con i passeri, che non cadono a terra lontani da Dio, senza che Dio lo sappia (la traduzione più corretta, secondo Curtaz).
Chiediamo il pane solo per oggi, fidandoci della provvidenza di Dio. Domani faremo la stessa richiesta, ma con fiducia. Dio è affidabile, ma chiediamo e agiamo. Lui ci rende capaci di agire e di guadagnare il nostro pane. Non viviamo però solo di pane, ma anche di amore, lavoro, casa, rispetto, affetto, gioia delle cose semplici…
Chiedendo il pane necessario per vivere, riconosciamo che tutto è realtà penultima, che tutto proviene da Dio. Il discepolo riconosce questo e chiede al Padre/Madre come realtà ultima il pane dell’amore. Siamo di Dio e chiediamo il pane che è il Signore stesso, la sua presenza nel nostro cammino verso la pienezza del Regno.
Perdono
Prima del perdono c’è il peccato, che nella Bibbia e equivale a dire di no a Dio, fallire il bersaglio, seguire una strada che porta lontano dalla vera gioia. Il peccato è male perché ci fa male, perché distrugge la nostra somiglianza con Dio e ci allontana dalla nostra natura profonda.
Gesù ci svela il volto del Dio misericordioso e la salvezza passa anche attraverso il perdono dei peccati (cf. il paralitico di Mc 9,2).
Nel Vangelo, Gesù dice che, se abbiamo peccato, Dio ci perdona, perciò ci pentiamo. Dio previene e supera il nostro pentimento perdonandoci, facendoci vedere quanto siamo amati. A prescindere. Questo fa correre il rischio di svilire e di sciupare il perdono. Gesù constata con dolore che il peccatore che rifiuta il perdono gratuito di Dio si condanna da solo all’aridità interiore, come il ricco epulone (cf. Lc 16,20).
Gesù dona il perdono al paralitico (cf. Mt 9,2-7). Un perdono liberante. Che tocca anche il corpo, paralizzato non per punizione divina, come si pensava. Dio ci rimette in cammino e ci dona libertà, perdonandoci in anticipo. Un amore che precede il perdono e suscita ulteriore amore (cf. la peccatrice di Lc 7,47-50). Gesù legge nel cuore della donna un desiderio di cambiamento, di accoglienza, di verità.
Il senso di colpa non ha nulla a che vedere col peccato e con il perdono. Pietro fatica a superare il suo senso di colpa, di inadeguatezza. Gesù lo libera definitivamente da ciò affidandogli la custodia dei fratelli. Gesù perdona i suoi discepoli e affida alla sua Chiesa il dono della riconciliazione all’interno della comunità, in forme e tempi diversi.
Il perdono non è un’amnesia. Il perdono è una scelta sofferta e basata sulla volontà, e può conoscere gradi progressivi. Perdonare significa prendere coscienza dei nostri limiti e perciò accettare quelli degli altri. Significa mettersi nell’ottica di Dio, raggiungere la pace del cuore.
La Chiesa non è un popolo di coerenti, ma di perdonati, di sconvolti, di cambiati. Chiediamo il perdono vincolandolo al nostro modo di perdonare. «Come anche noi» ci inchioda alle nostre responsabilità. Chiediamo a Dio di renderci capaci di perdonare, senza aspettare il perdono perfetto, senza aspettare che l’altro cambi, senza per forza dimenticare il torto subito.
Il discepolo di Gesù esce dal tragico moralismo della nostra società, tollerante con le proprie mancanze e intransigente con i peccati degli altri. Il Padre buono pone i discepoli in un’ottica diversa, in cui il metro di giudizio delle persone non è la loro presunta coerenza assoluta, ma la capacità di riconoscersi bisognosi di perdono per poter perdonare gli altri.
Non abbandonarci alla tentazione, ma liberaci dal male
Dio non induce nessuno alla tentazione. Nel mondo esiste la tragica esperienza del mistero dell’iniquità (cf. Rm 7,18-21). Citando Betori, Curtaz afferma che chiediamo a Dio di non abbandonarci, affinché non cadiamo nella tentazione, ma anche di non abbandonarci alla tentazione quando già siamo nella tentazione. Dio ci resti al nostro fianco e ci preservi dall’entrare nella tentazione e sia presente anche quando ci siamo già dentro. Chiediamo che non ci lasci soli nel momento del discernimento.
Discernere bene è possibile solo ascoltando la Parola, pregando, acquisendo lo sguardo di Dio sul mondo e sulle persone, scoprendo il mistero di salvezza di Dio nascosto nei secoli e decidendo di parteciparvi con gioia, al meglio delle nostre possibilità. Chiediamo a Dio Padre/Madre di aiutarci a capire cosa è bene e cosa è male, cosa ci porta alla vita e cosa ci conduce alla morte.
La tentazione è ambigua, talvolta ci arriva dagli eventi della vita, quando siamo travolti dal dolore che ci presenta il rischio di perdere la fede e di sprofondare nella disperazione. «E preghiamo: Quando il male è alle porte, il male che è la malattia, il male che è la tenebra dell’inconscio, il male che è la conseguenza delle nostre scelte sbagliate, Signore, non ci abbandonare, non ci lasciare» (p. 113).
Pregando così Gesù ci insegna la fede, la speranza, la fiducia.
Il Maligno esiste, ma non va banalizzato, o caricato di eccessiva importanza a scapito del bene, con la deresponsabilizzazione della coscienza e della scelta personale. C’è la lotta interiore, il discernimento fra ciò che distrugge o crea la vita, perché il male si traveste sempre da bene.
«L’opera del Maligno (che esiste ed è meno goffo e caricaturale di come ce lo immaginiamo) consiste esattamente nell’intorbidare le acque […], nell’ingigantire il particolare a scapito della visione d’insieme, nello sminuire o offuscare le conseguenze catastrofiche delle nostre scelte. Il diavolo fa credere di esser peggiori di come possiamo essere veramente» (pp. 115-116).
La Scrittura è sana ed equilibrata: «Afferma l’esistenza del Maligno, che agisce e opera influenzando l’essere umano, ma l’essere umano resta libero di scegliere e di agire per il bene» (p. 116).
In Lc 11,21-26 Gesù fornisce una lettura straordinaria del Maligno e della vita spirituale. Satana non può scacciare Satana. Il male agisce, travestendosi da bene. Mette a dura prova la nostra libertà, facendoci credere che non esiste il peccato. Con umiltà, però, «accogliamo Gesù, uomo forte, a vegliare sulla piccola dimora del nostro cuore» (p. 118). A essere forti nella tentazione grazie alla preghiera. Senza esagerare, dice Gesù: una casa troppo linda e pulita attira l’attenzione di molti demoni!…
Il Maligno esiste e lavora per tenerci lontani da Dio. Ci sono ancora battaglie e scaramucce, ma la guerra è stata vinta da Gesù risorto! Ci sono necessari il pane, il perdono, l’aiuto di Dio nella tentazione. E il dono della libertà.
Chiediamo a Dio di liberarci da ogni male, da tutto ciò che ci fa del male. Il male è l’ombra della luce, l’altra faccia della nostra dignità, la possibilità di sbagliare. «“Liberaci dal male” significa accettare che la realtà del peccato dimora nella nostra vita ma non la possiede. La blandisce e la ferisce, ma non la uccide, perché noi apparteniamo al Signore. In Cristo siamo creature nuove, siamo liberi dall’ombra per diventare liberi, per amare come egli ci ha insegnato. Nel tempo di mezzo, chiediamo al Padre di renderci persone libere, che non temono la tenebra, che vivono, per quanto possibile, nella dignità di scoprirsi figli e figlie!» (p. 120).
Amen, aggiunge Curtaz alla preghiera del PN. Ci credo, è così, ne sono certo, lo so. Affidandoci la preghiera del Padre nostro, «noi discepoli cresciamo nella consapevolezza dell’identità profonda di Dio, ma anche di noi stessi» (p. 121). Occorre meditare il PN, assaporandone ogni parola, ogni invocazione. Cresceremo nella conoscenza del Dio di Gesù e realizzeremo per la nostra parte il Regno che viene.
Bel libro di meditazione, accessibile a tutti. Smonta varie idee sbagliate su Dio, sul male, sul dolore, e fa gustare la gioia di vivere da figli del Dio di Gesù, che è Padre e Madre, un Dio felice che ci vuole felici.
- PAOLO CURTAZ, Il Dio di Gesù. Pregare il “Padre nostro” (Scintille dello Spirito), Ed. Paoline, Milano 2023, pp. 126, € 16,00, ISBN 9788831556392.
Caro Roberto, ho letto con molta attenzione la tua recensione al libro di Curtaz su Gesù. Bene. Mi permetto di dirti che, anch’io, con le Paoline ho pubblicato da poco un libro quasi sullo stesso tema, seppure visto da altre prospettive: “Dire oggi il Dio di Gesù”. Magari, quando hai tempo, si licet parva componere magnis…