Le paginette che seguono parlano di piccole cose che si trovano in casa perché ancora meglio possiamo abitarla. Una finalità centrale e un tema con echi profondissimi che soprattutto le artiste e gli artisti sanno evocare. Nei loro confronti il mio debito è altissimo.
Ho avvertito la presenza di questi oggetti apparentemente insignificanti ed essi si sono fatti largo al mio sguardo, con insistenza e profondità. Mi hanno accompagnato nella ricerca della casa interiore ma anche nell’abitare gli spazi in cui vivo rendendoli più ospitali.
C’è un sentire religioso in queste righe: più volte nelle preghiere dei salmi la casa è presente e il canto si sposta tra la casa propria (“Camminerò con cuore integro dentro la mia casa (…) Non abiterà nella mia casa chi agisce con inganno…” Sal 101,2 e 7), quella di Dio (“Signore amo la casa dove tu dimori” Sal 26,8) e quella che Dio ci dona (“ai derelitti Dio fa abitare una casa, fa uscire con gioia i prigionieri” Sal 68,7). La sapienza biblica ci invita in percorsi tra case diverse, anche quelle meno accoglienti e da riconoscere come tali con coraggio e forza d’animo. La prospettiva suggerita è chiara: “abiterò nella casa del Signore per lunghissimi anni” (Sal 23,6) . Ho chiesto a un amico fotografo – Matteo Losurdo – di accompagnare con qualche suo scatto queste note e a mio marito – Paolo Marino Cattorini – di leggerle apportando e condividendo qualche correzione. A entrambi un grazie sentito.
Un cassetto di casa è riservato a fogli di carta per confezionare regali. Alcuni sono monocolore, altri hanno disegni, fiori, geometrie o – per i doni ai più piccoli – immagini divertenti e dai toni sgargianti. I fogli più eleganti hanno caratteri di tradizioni editoriali pregiate provenienti da storiche tipografie italiane (come la secentesca Remondini di Bassano) che producevano artigianalmente piccoli e grandi decori per volumi di devozioni, stampe popolari o per legatorie.
Piccole e grandi pagine di carta con fogge, pesi e dimensioni diversi per proteggere quegli oggetti che scelgo per un dono ricoperto – con piacere – prima di porgerlo o inviarlo. La carta velina, però, è quella che preferisco. Una scelta che probabilmente ha a che fare con la trasparenza dei fogli: il regalo è fin da subito annunciato e in parte intravisto da chi lo riceve.
Succede così per le grandi cose ricevute. Prima o poi in esse si coglie qualcosa di già visto e fortemente atteso. A volte il desiderio era rimasto sopito e sotteso; lentamente si scopre la sua “recondita armonia”, come canta Mario Cavaradossi a proposito della donna amata, nella Tosca di Puccini. I grandi regali hanno un suono graditissimo in cui si fondono note diverse che attingono al proprio passato e aprono spazi larghi verso il futuro. Si rivelano come ponti o porte che congiungono scenari diversi: preziosi echi della memoria e disegni auspicati ma carichi di novità.
La carta velina funge da leggera separazione tra chi dà e chi riceve, tra l’oggetto donato e i soggetti che, grazie al dono, possono farsi più vicini. Mi ricorda quelle lenzuola usate per coprire mobili e sedie di una casa non abitata. Aderiscono agli arredi e possono essere rapidamente sollevate per ritrovare ciò che è realmente casa. Luogo in cui le attese sono riconosciute e accolte, mani e corpi si avvicinano in gesti di intimità, in voci e parole ascoltate nel segreto. Lì le cose diventano famigliari.
Non sempre la casa si presta a questa riservatezza così come non sempre i regali sono apprezzati da chi li riceve e a volte dietro la carta che li ricopre si nascondono soprese infelici. Abbiamo visto doni fatti per interessi più o meno obliqui o per appagare solo chi “dona”. Conosciamo i regali fatti “per obbligo” e quelli che non intendono nascondere il loro prezzo. Il richiamo alla carta velina aiuta a capire. Togliere il velo è dis-velare: così significavano gli antichi la ricerca della verità (aletheia, in greco: disvelamento).
Saper cogliere la verità di un dono o di un non-dono a volte è molto difficile: in esso possono convivere intenzioni diverse, anche opposte; occorre vestire un habitus di attenzione, addestrato a cogliere sfumature e risonanze. Spesso la verità è molto scomoda ma comunque da scoprire e contenere nella sua forza e violenza. Spesso questo “abito” va cucito insieme a qualche sarto o sarta capaci, provato e riprovato più volte, curato nei dettagli e personalizzato.
Quando incarto un dono per chi mi è caro, penso al piacere che avrà quando lo riceverà. E mi auguro saprà cogliere quella verità che è in stretto contatto con la bellezza, con un’attesa che lega tempi e spazi in coerente unità. Spero che quando quella carta si stropiccia con un suono delicato e appare il dono intravisto e desiderato, gli occhi di chi lo riceve ritrovino forme infantili: luccicanti, curiose, vitali e proiettate nel gioco che sta prendendo forma. E poi affiori una voce che sappia rivelare gratitudine, prima nel cuore e poi sulle labbra.
Come accade quando un Grande Donatore si presenta nella nostra casa. Ma lì la musica è diversa perché risuona una vera e propria sinfonia.