Allora si riunirono i sommi sacerdoti e gli anziani del popolo nel palazzo del sommo sacerdote, chiamato Caifa, e tennero consiglio per impadronirsi di Gesù con inganno e ucciderlo. Dicevano però: non nella festa perché non ci sia tumulto di popolo. Ora, essendo Gesù a Betania nella casa di Simone il lebbroso, si avvicinò a lui una donna con un vasetto di alabastro di unguento molto prezioso e lo versò sulla testa mentre giaceva a mensa. Ora, visto questo, si sdegnarono i discepoli dicendo: perché questo spreco? Si poteva infatti vendere questo a caro prezzo e dare ai poveri. Ora Gesù, saputo questo, disse loro: perché date fastidio alla donna? Infatti, un’opera bella fece verso di me; i poveri infatti li avete sempre con voi, me invece non sempre avete. Versando infatti questo unguento sul mio capo, lo fece per la mia sepoltura. Amen vi dico: ovunque sia annunciato questo vangelo in tutto il mondo, si parlerà anche di ciò che essa fece – in ricordo di lei (Mt 26, 3-13).
Tutto cospira intorno a Gesù – e anche all’interno del gruppo dei suoi. La sua colpa? Essere passato a guarire le ferite del corpo e le crepe dell’animo, riconoscendo nella fede di coloro che si accostano a lui, anche solo per un attimo, tutto quello che serve per la salvezza.
La colpa di aver fatto coincidere l’indicibile Dio dei padri con i gesti della liberazione dal male: quelli che riconsegnano alla vita buona, alla speranza di una riuscita dei giorni, alla fiducia che l’abitare la terra non è l’inganno malevolo di un Dio faraone che gioca a dadi con l’esistenza degli uomini e delle donne. Allora come oggi.
Di questo Dio, la religione di ieri come quella di oggi vuole impadronirsi per annullarlo, tanto è insopportabile e onerosa la sua prossimità discreta con cui si mette nelle nostre mani abbandonando a esse il suo stesso destino fra noi. Perché in Gesù Dio delegittima ogni potere brandito in nome di Lui – ed è questo che disturba la religione e le sue istituzioni.
Gesù colloca Dio là dove Egli non dovrebbe proprio essere: ai margini, tra gli esclusi che ogni appartenenza religiosa genera, tra coloro che sono impuri solo perché segnati nel loro corpo – come Simone, il lebbroso appunto.
Dove la religione ufficiale non va, tenendosi bene a distanza, confondendo i segni che la vita lascia sui nostri corpi e nei nostri animi come l’indice del non essere degni di Dio e della collettività umana, Gesù scopre che c’è una casa da andare ad abitare, una storia da ascoltare, un desiderio di ospitalità che invita senza trattenere.
E qui, in questa terra di nessuno, Gesù fa entrare Dio piantando per sempre la sua tenda: proclamando che non c’è essere umano che non sia degno di Dio, che non c’è storia di vita che Dio non desideri incontrare per dimorare presso di lei, che non c’è corpo che non possa avvolgere di affetti il corpo stesso di Dio.
Il potere patriarcale della religione non se ne avvede e quello altrettanto maschile dei discepoli ne è addirittura sdegnato. Eppure, qualcuno comprende, qualcuno si muove, qualcuno compie gesti belli sul corpo di Gesù – una donna. Anch’essa figura marginale, esclusa dalla vita pubblica e dalla possibilità di rendere onore cultuale al Dio dei padri. Una donna che qui, i discepoli, quelli chiamati all’intimità con Dio nella prossimità con Gesù, percepiscono addirittura come presenza scandalosa.
Perché questa generosità della donna, questa dispersione di un bene convertibile in moneta secondo la logica del calcolo? E i discepoli mormorano davanti al gesto della donna, mostrando quanto essi siano lontani dalle pratiche che Gesù ha mostrato loro e vissuto con loro. Mancano il Signore proprio nella massima esposizione della sua dedizione per tutti, e non solo per alcuni
Già, perché questo gesto lodato invece da Gesù? Perché avvolgere di bellezza e sensibilità il suo corpo significa essere nella fede, perché è così e non altrimenti che si onora il Dio di Gesù.
Ovunque ci sarà il Vangelo ci sarà anche la memoria di lei – e ogni volta che spezziamo il pane in memoria di lui, lei invaderà i nostri corpi e i nostri cuori con il gesto con cui ha saputo onorare la dedizione crocifissa di Gesù. Ma dove è oggi questa memoria di lei che Gesù ha voluto scolpire a lettere di pietra nel cuore stesso del Vangelo?
Ai margini, come era allora – persa nella presupponenza di sapere dove è Dio, come e chi sia degno di accedere a Lui. Ma non si fa memoria eucaristica di Gesù se non si fa memoria ecclesiale di lei – della donna che compie un’opera bella verso Gesù e il corpo di lui.
Bisogna fare memoria di lei per apprendere come ci si accosta al corpo di Dio, alla croce e risurrezione del Figlio. Riannodiamo il filo di questa memoria di lei, con tutto quello che essa significa per Gesù, Dio e il Vangelo; mettiamoci in cerca dell’opera bella della tenerezza, che sta fuori da ogni calcolo e da ogni precetto religioso: perché lì dove essa è, c’è anche il Signore – il corpo di lui tra venerdì santo e Pasqua di risurrezione.