Riabitare il silenzio
Non avremmo dovuto mai cadere nella «Geenna del rumore»,[1] che affligge e stordisce in nostro tempo, ma dobbiamo almeno impegnarci a uscirne ricercando nuovi cammini che conducono alla “città del silenzio” e perseverando in essi: l’uomo d’oggi è in cerca di un silenzio duraturo e capace di tessere la sua intera esistenza, poiché un silenzio passeggero gli riesce fastidioso. Per arrivare a possedere il silenzio e a farsi possedere da esso, non c’è altra strada che imboccare la via educativa.
Tra i piccoli e grandi itinerari spirituali dell’uomo (la bellezza, l’amore, il cosmo, la vita ecc.), va annoverato il silenzio,[2] che, in modo molteplice e profondo, agisce nell’interiorità dell’uomo: difende, corregge, purifica, nutre.[3] Il silenzio opera tutto questo creando spazi, sviluppando radici, procurando umori all’azione educativa e formativa che, nelle varie fasi della formazione permanente, raggiunge l’interiorità dell’uomo per farla esprimere, per farla crescere, per farla aprire al respiro dei valori.
A «Babele» ci si salva tacendo
Il silenzio, per il suo strutturale e inestricabile radicamento nel nucleo più intimo dell’uomo, è capace anche di costruire un’efficace difesa intorno alla vita spirituale, artistica e culturale. Contiene infatti gli anticorpi capaci di resistere agli attacchi virulenti che provengono dalle manifestazioni infette della vita dissipata, che si ha quando questa si chiude all’ascolto della voce dell’Essere e si consegna, con atto di vera prostituzione, alle voci stridule e violente dell’utilitarismo, dell’efficientismo e dell’effimero.
A “Babele” ci si salva tacendo. Il silenzio crea una cortina di difesa intorno allo spirito umano, insonorizza il cuore dell’uomo rispetto alla pressione assordante delle passioni che l’inquietano e possono turbarlo fino a spingerlo su orli di abissi dai quali, poi, è difficile ritrarsi. è savio essere docili al magistero sottile del silenzio e disporsi ad accettare i suoi imperativi categorici e lievissimi: il silenzio è «il guardiano dell’anima»,[4] al quale si deve ubbidienza. Con il silenzio ci si tiene lontani dal rischio di lacerare la riservatezza, il più fragile dei veli che protegge il nostro spirito: il silenzio, infatti, è «la forma più perfetta del pudore».[5]
Non serve andare in Oriente
Per liberarsi e liberare dalla persecuzione del rumore ambientale e interiore non c’è da operare alcun passaggio a Oriente; dobbiamo invece impegnarci a guarire l’Occidente con la cultura del silenzio. La soluzione non può essere più quella di scegliere l’attivismo nevrotico (in politica, in pedagogia, nella pastorale delle Chiese), ma intraprendendo cammini di sapienza, che comportano il dare il passo agli altri, il porre l’altro prima di noi, il riconciliarsi con i valori della sobrietà e della leggerezza, lo sperimentare il senso di una formula di vita controcorrente: «lentius, profundius, suavius», fidarsi della sapienza e della medicina del silenzio per passare alla pedagogia dell’ascolto.[6]
[1] L’espressione «Geenna del rumore» è usata da M. Baldini, Educare all’ascolto, Brescia 1988, p. 7). Si è giustamente sottolineato il carattere infernale del rumore, del frastuono, della bolgia acustica che caratterizza il nostro tempo per i suoi effetti di divisione e di lacerazione ad ogni livello dell’umano: c’è «qualcosa di cupo, di tellurico, di orrendo, di ostile, qualcosa che può prorompere da un momento all’altro dall’ima profondità del silenzio, qualche cosa di infernale, di demoniaco» (M. Picard, Il mondo del silenzio, Milano 1951, p. 51).
[2] Il silenzio mira naturalmente a perseguire mete spirituali, ponendosi come una delle vie spirituali, percorrendo le quali ci si conferma nella spiritualità e la si accresce (cf. E. H. Aitken, Le vie dell’anima, Torino 1923).
[3] Il silenzio ha un alto valore strumentale e, si direbbe meglio, una vera funzione spirituale (cf. Apostolus, L’office du silence, in Vie spirituelle, n. 50, nn. 190-192). Il silenzio, infatti, s’incarica di proteggere l’esperienza spirituale, intesa come cura dello spirito, non solo quella di tipo religioso, ma anche quella di tipo culturale, estetico, pedagogico (cf. G. Tauro, Il silenzio e l’educazione dello spirito, Milano 1922).
[4] Espressione di Bossuet citata in: M. Bruno, Aux écoutes de Dieu: le silence monastique dans la tradition cirstercienne, Besançon 19542, p. 20.
[5] L. Lavelle, La parole e l’Ecriture, Paris 1947, p. 133.
[6] Cf. M. G. Masciarelli, Abitare il silenzio, Roma 1998.
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