Lo Spirito e la Chiesa /9. La preghiera cristiana

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pentecoste

Termina con questo articolo la riflessione del presbitero e teologo modenese Massimo Nardello, docente presso la Facoltà teologica dell’Emilia Romagna, condotta a partire dal volume Credo nello Spirito Santo di Yves Congar. SettimanaNews le ha riprese e pubblicate sotto il titolo: «Lo Spirito e la Chiesa» (Queriniana, Brescia 1998). Con garbo e perspicacia, Nardello ci ha introdotti nella ricchezza delle intuizioni del grande teologo domenicano francese, morto nel 1995. Da settembre ci introdurrà alla lettura di un altro qualificato autore.

Sono tanti gli aspetti dell’etica evangelica che possono essere condivisi da persone che si riconoscono in esperienze religiose non cristiane o che sono agnostiche o atee, pur con motivazioni ben diverse da quelle che animano coloro che hanno fede in Cristo. Ad esempio, l’attenzione preferenziale alle persone in condizioni di fragilità, che per i cristiani deriva dal desiderio di servire il Signore presente in loro, può essere fatta propria da qualunque individuo che riconosca la dignità intrinseca dell’essere umano, e colga quindi la necessità di operare a favore della promozione della qualità della vita di tutti.

C’è preghiera e preghiera

Anche la preghiera può sembrare un tratto della vita cristiana non esclusivo, in quanto è praticata anche al di fuori del mondo cristiano. In effetti, essa accompagna molti individui che vivono in qualche modo un’esperienza spirituale, anche non convenzionale. In realtà, esistono modi di pregare che sono molto lontani da quello propriamente cristiano, sebbene possano prendere piede anche nelle comunità ecclesiali.

Così, a questo riguardo, scrive il padre Y. Congar:

«Il p. L. Beinaert distingue la domanda pregata e la preghiera orante. La prima non è che l’espressione del mio desiderio, o meglio del mio bisogno. Essa domanda una realtà dell’ordine delle cause terrene che però l’esperienza della mia impotenza mi fa cercare presso quell’essere misterioso supposto come sovranamente potente, senza un vero passaggio ad una trascendenza. Si commisura “Dio” a sé stessi. […] La preghiera orante, invece, si colloca, mediante l’amore, nell’ordine di Dio. Non è una pura domanda, è una preghiera. Ora, la preghiera è essenzialmente comunione con Dio, comunione alla Sua volontà. Se Gesù nell’Orto avesse soltanto sollecitato: “Passi da me questo calice”, avrebbe fatto solo una domanda. Il suo appello è una preghiera solo perché egli ha aggiunto: “Tuttavia sia fatta la tua volontà, non la mia”. Così Dio è riconosciuto come Dio. Pregare veramente, significa far sì che Dio sia Dio, non una aggiunta al nostro braccio troppo corto» (Y. Congar. Credo nello Spirito Santo. 2. Lo Spirito come vita, Queriniana, Brescia 1982, 128).

Anche nelle comunità cristiane talora ci si rivolge a Dio in un modo simile a quello con cui si interpella una persona molto influente ma distaccata per ottenere un favore. Si cercano le parole giuste per cercare di convincerla a venire incontro alle proprie richieste, supponendo che non sia affatto interessata a farlo, e che quindi vada sollecitata in tutti i modi.

Questo tipo di preghiera è menzionato da Gesù come modello di insistenza (cf. Lc 18,1-8), ma, nello stesso contesto, egli sottolinea che Dio è ben diverso dal giudice disonesto che viene sopraffatto dall’insistenza della vedova. In effetti, il Signore ci insegna a pregare il Padre non per convincerlo a fare qualcosa, ma per chiedergli di realizzare la sua volontà, cioè di portare a compimento il suo regno (Lc 11,2-4; Mt 6,7-13).

Purtroppo, per ragioni culturali e teologiche – sempre strettamente intrecciate –, il volere divino è stato inteso come una sorta di fato incomprensibile a cui bisogna rassegnarsi, se si vuole essere persone religiose. In realtà, se la volontà del Dio di Gesù Cristo è orientata alla costruzione del suo regno, in tale volontà non vi è nulla di negativo o di pericoloso per noi umani e per l’intera creazione. Più chiaramente, se desideriamo qualcosa di realmente buono, come la salute, sicuramente Dio lo desidera ben prima e molto più di noi.

La preghiera cristiana non serve a convincere Dio ad agire a nostro vantaggio, ma a sollecitarlo a realizzare il suo disegno eterno di amore e di vita nelle concrete circostanze della nostra esistenza, aprendogli le porte del nostro cuore, di quello di altre persone (cf. Mc 2,5) o dell’intera umanità.

Permettere a Dio di essere Dio

Così, le citate parole del padre Congar, che esortano a pregare per permettere a Dio di essere Dio, non vanno intese come un invito alla rassegnazione ad un volere incomprensibile e potenzialmente pericoloso, ma ad un atto di fede con il quale si crede che ciò che Dio compie per noi è solo il bene. Quanto rattrista e penalizza la nostra vita non viene certamente da lui.

Questo significa che non tutto ciò che avviene nel mondo è positivamente voluto da Dio. Se la volontà divina si attuasse in ogni circostanza, Gesù non ci avrebbe insegnato a pregare il Padre di realizzarla. Al contrario, proprio perché questo mondo è ancora profondamente segnato dal male e dalla fragilità, ci rivolgiamo a Dio perché, anche attraverso la nostra disponibilità, egli possa realizzare un po’ di più il suo regno e farci vivere in modo più pieno.

Dal punto di vista pastorale, la posta in gioco è molto alta. Presentando la preghiera come un modo di strappare a Dio determinate grazie, magari avvalendosi dell’intercessione dei santi come persone a lui vicine che possono esercitare una maggiore influenza su di lui, si veicola l’idea di un divino profondamente disinteressato alla nostra vita che è molto lontano dalla visione cristiana. Insomma, si può insegnare a pregare in modo talmente sbagliato da spingere le persone a perdere la fede.

Fortunatamente abbiamo in noi l’unico vero maestro della preghiera cristiana, cioè lo Spirito Santo. È lui che ci convince interiormente che il Padre di Gesù è affidabile e che i suoi disegni su di noi e sull’intera umanità sono esclusivamente positivi. Lo Spirito ci libera dalla paura di Dio, quella che ha caratterizzato i progenitori a seguito del primo peccato (cf. Gen 3,10), e ci spinge ad abbandonarci nelle sue mani, convincendoci che chi ultimamente governa ogni cosa è assolutamente e completamente dalla nostra parte.

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Un commento

  1. Fabio Cittadini 10 luglio 2024

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