Nei miei anni di formazione teologica a Friburgo, una frase di un professore veniva spesso ripetuta, quasi come una regola d’oro: «Tenere in una mano il Vangelo e nell’altra il giornale». Per ricordare che, se separati, l’annuncio del primo può risuonare a vuoto e gli eventi dell’altro farsi narrazione sterile.
Necessario, invece, un va-e-vieni continuo, dall’annuncio alla realtà, agli avvenimenti, e viceversa. Uno illumina l’altro. Fecondazione reciproca, in cui il Vangelo si fa “costruttore di senso” nei suoi tre significati: direzione, valore e sapore. Così, certi eventi avranno il sapore di eternità, altri, invece, di… inferno (quando la violenza porta ad uccidere chi si ama).
Così anche per l’Epifania e la realtà di oggi. La prima, una celebrazione che si fa festa del dono. Un viaggio inaudito e coraggioso dall’estremità della terra per portare a Dio dei doni preziosi.
La realtà, i fatti oggi, invece, ci raccontano tutt’altro. Di chi, calpestando il dono più grande di Dio, la pace, porta in casa di un altro popolo bombe, violenza e rovina. Si calpestano con tutte le proprie forze, dignità e libertà. Emerge, allora, prepotente il senso del paradosso, di insensatezza e di contraddizione.
Celebrare in terra russa l’Epifania tra canti, ori e splendori, diventerà una tremenda vacuità. E, come sempre, si presenterà quella domanda inquietante dei primi passi della Bibbia: «Che cosa hai fatto di tuo fratello?».
Celebrare l’Epifania, mentre la guerra imperversa come un predone che ruba la vita e la speranza agli altri, manda in frantumi il viaggio stesso dei Magi. Di chi si spoglia di sé stesso, delle proprie abitudini, della propria terra per farsi dono. Una festa dal significato ricco, universale, rivoluzionario. Lontanissimo, però, dal vissuto. Da quello che cogliamo con i nostri occhi (spesso umidi per questo).
I Re magi siamo noi!
Tenere in una mano il Vangelo e dall’altra la vita, per coglierne il valore. Ricordo ancora l’espressione sbalordita tempo fa di un emigrato italiano nella nostra parrocchia di Londra. «Ma, allora, i Re magi siamo noi!».
Traducendo, così, l’omelia della festa dell’Epifania, in termini quotidiani, attuali, concreti. Si era spiegata punto per punto la dinamica dei Re magi. Venire da molto lontano. Trovarsi perduto. Condividere ciò che si ha di più caro, di tipico e di prezioso. Mettersi in ginocchio nella terra raggiunta. Ammirare la vita in qualcosa di povero e di essenziale. Infine, essere un re nel proprio paese, ma, strada facendo, diventare un nomade, un pellegrino qualsiasi.
E torna alla mente un antico proverbio: «Quando incontri un uomo lo giudichi dai vestiti, quando te ne separi lo giudichi dal cuore!». Si, all’addio di ogni nostro anziano emigrante, infatti, sono tanti i volti inglesi che compaiono d’incanto, per il suo funerale, nella nostra chiesa a Brixton Road. Hanno riconosciuto tra di loro i Magi… Cosi i nostri, a volte, li senti ripetere: «Abbiamo dato quanto di meglio avevamo a questa terra! Non ci resta più niente, neanche un po’ di salute!». E sono la giovinezza, i figli, le energie migliori, una grande laboriosità, delle belle qualità morali… ecco i tesori aperti e condivisi con un popolo sconosciuto, ostile agli inizi.
Il Paese qui è cresciuto con loro e attraverso di loro. Resta, in fondo, per loro solo la gioia di veder contenti figli e nipoti, acclimatati ormai alla nuova terra. E poi questa invidiabile vita fraterna con altra gente, con un altro popolo. Sì, questa apertura di mente e di cuore, costruita lentamente, è un vero dono di Dio. Proprio quel Dio che, in emigrazione, attraverso una fede resa robusta dalle mille difficoltà affrontate, hanno saputo incontrare. A volte senza saperlo.
I nuovi Magi: Mohamed, Omar e Assan
Ho ancora presente la festa dei Re magi di tempo fa alla parrocchia san Flaviano a Loreto. Alla celebrazione solenne, durante l’offertorio, avanzavano maestosamente tra due ali di popolo Gasparre, Melchiorre e Baldassare. Vestiti ampollosi e sgargianti, collane e braccialetti preziosi, che le mogli stesse avevano prestato, e poi, come tradizione, oro, incenso e mirra. Una scena memorabile.
Verso la fine della messa, invece, si invitavano a presentarsi altri tre Magi, in carne ed ossa. Timidamente avanzavano, allora, Mohamed, Omar e Assan. Tre giovani, magri, mal vestiti, occhi belli ed enormi, due afghani e uno pakistano, arrivati da poco in regione. Offrivano dei curiosi bigliettini, preparati nottetempo in pashtun, con l’augurio di Natale.
In poche parole stentate, poi, al microfono, si ascoltava la loro storia, il loro viaggio infinito, le ferite e le speranze cucite sotto la pelle. Era bello vederli sventolare le dita in aria, contando davanti a tutti i sette Paesi, uno a uno, attraversati a piedi di notte (a causa della polizia): Iran, Turchia, Grecia, Bosnia… e finalmente Trieste!
Inseguivano una stella, che per loro era la vita. Sì, una vita degna di essere vissuta. Come i Magi, si perdevano, poi, tra i meandri del cammino e delle sue sorprese, come, in pieno inverno, denudati e azzannati dai cani della polizia bulgara… E, infine, scoprivano da noi una sorprendente fraternità come a Betlemme: il vero miracolo di Dio! L’applauso che seguiva veniva dall’anima stessa dei presenti. Sì, i primi Magi avevano commosso gli occhi, ma i secondi il cuore!
Così la parola del Vangelo, fattasi carne nelle storie di uomini, trasforma l’esistenza in “una storia sacra” e gli esseri umani in personaggi biblici di oggi. Anche per uomini venuti dai confini della terra, perché una stella li aveva, una notte, incantati e messi in cammino…
- Padre Renato Zilio, missionario scalabriniano, è autore di Dio attende alla frontiera, EMI, 35ª edizione.