A Gesù… da Maria, Giuseppe e i magi

di:

Natale

La lettera di Maria al Figlio… duemila anni dopo

Mi sembra ieri. Vibravi dentro di me e ancora non immaginavo nulla della splendida avventura in cui Dio mi stava trascinando. Un figlio ti cambia la vita per sempre, perché è il miracolo partorito dalle tue viscere.

Ma, nel mio caso, fu sconvolgente.

Vivevo una specie di sogno celeste, con il tremore di chi era stata sorpresa da una luce che veniva dall’alto, ma doveva comunque fare i conti con le pentole della cucina e la roba da rassettare. E, nel frattempo, tu crescevi.

In silenzio ti guardavo diventare uomo e lacrime di stupore e di gioia solcavano il mio viso, mentre dolcemente pronunciavo il tuo nome.

Non immaginavo ancora, che la luce che aveva squarciato le finestre della mia povera casa di Nazareth e spalancato le porte del mio cuore a Dio, sarebbe stata presto oscurata dall’incomprensione, dall’ostilità e dalla violenza degli uomini.

Ma intanto crescevi. Aiutavi tuo padre nella bottega, giocavi con gli altri ragazzi, godevi spensierato dei semplici giorni del villaggio, ma, allo stesso tempo, a volte ti facevi serio e osservavi l’orizzonte. Avevi già nel cuore il desiderio di raggiungere tutti, di sanare le ferite, di rialzare i caduti, di piantare l’amore nelle viscere della storia.

Figlio mio, ma in realtà figlio dell’umanità. Ben presto non più mio, ma pane per coloro che avevano fame.

Ecco, caro Figlio, anche oggi stai per nascere.

Il tuo Natale, oggi, è diventato una festa di luci, un tripudio di colori e una melodia di nenie.

Eppure, ancora una volta, ti troverà soprattutto chi saprà visitare la semplicità e la povertà della grotta, chi imparerà il ritmo del battito del tuo cuore proprio come ho fatto io appena ti ho sentito nel grembo, chi darà alla luce sogni di pace e di futuro, portando avanti quella promessa di liberazione di cui mi parlò l’Angelo quando mi annunciò la tua venuta.

È Natale, amati compagni di cammino.

Dopo duemila anni, con il cuore di Madre, vorrei invitarvi a preparare bene la sua venuta.

È Natale se vi spogliate della pretesa di farcela da soli e imparate a tendere la mani a questo Bambino. Se non avete paura di entrare anche voi nella grotta, dove a volte la fatica, la stanchezza, il buio vengono a sorprendervi e pare che non ci sia più nulla per cui valga la pena impegnarsi, mentre l’aurora di Dio sta già nascendo dentro di voi.

© Francesca Cavalli

© Francesca Cavalli

È Natale se, al di là di tutto, voi sapete ritrovare il senso vero della famiglia. Fermarsi, ascoltarsi, parlarsi. Ma anche abbracciarsi, con quel calore dell’amore di Dio per mettere in circolo la rivoluzione della tenerezza. Rompete i muri dell’egoismo, vincete le resistenze, superate quei silenzi mortali e, finalmente, datevi un abbraccio vero. Non importa se siete rotti, spezzati, piegati; non siete una famiglia perfetta quando la vostra casa, le situazioni di ogni giorno e il conto in banca sono a posto, ma quando avete il coraggio di amarvi sempre e di nuovo, e di sapervi stringere in un abbraccio.

È Natale se vi prendete cura della madri e delle donne, ancora fin troppo silenziate, maltrattate e violentate, mentre invece sono loro a generare la vita.

È Natale se sapete accogliere il Bambino negli occhi di tutti i bambini. Ricordatevi del Vangelo: sono innocenti, sono angeli, e guai a chi li scandalizza, li turba, li umilia, li ferisce.

È Natale se vi impegnate a cercare e a trovare Dio non solo in questo freddo giorno di dicembre, ma nelle cose ordinarie di ogni giorno, nei luoghi che frequentate e nell’impegno del vostro lavoro, nel bilancio della vita che faticate a portare avanti. Perché voi lo sapete, per una strana scelta della Provvidenza Divina, questo Figlio è nato da una povera fanciulla di Nazareth, il più sperduto dei paesi. Se Dio ha fatto in me grandi cose, può farle anche in voi.

Lo accarezzavo sempre quando era Bambino. Fatelo anche voi in questo Natale, con atteggiamento materno: date alla luce il sogno di Dio, magari accarezzando chi è solo, chi è ammalato, chi è deluso, chi è triste, chi si è fermato.

Ogni volta che accogliete mio Figlio, il mio cuore si commuove come nel giorno dell’Annunciazione. Aprite il Vangelo, ascoltatelo e parlate con lui.

Nelle vostre case, in questo Natale, accendete una candela sul tavolo e sedetevi tutti attorno: mamme, papà, figli, nonni. E gustate la bellezza dell’amore di Dio nel silenzio del cuore e nello sguardo innamorato che voi sapete darvi.

Ve lo auguro, con cuore di Madre.

Una lettera di Giuseppe a Gesù… duemila anni dopo!

Ho letto da qualche parte che, quando un neonato stringe per la prima volta il dito del suo papà in un pugno, lo ha catturato per sempre. Il legame tra un padre e un figlio, questo essere catturati l’uno dalla vita dell’altro, sancisce finalmente la pace tra i papà e la tenerezza. Non è vero che il padre è un severo guardiano; è anche un sorriso spalancato che si lascia sorprendere dalla gioia di una carezza.

Ero un semplice e giovane falegname e dovevo passare ogni giorno molte ore in una scura bottega, a lavorare con fatica il legno. Eppure, sono sempre stato un sognatore. Quando la vita di giorno è dura e faticosa, allora non ti rimane che sognare di notte. Non per fuggire, ma per cercare di immaginare qualcosa di diverso da costruire e risvegliarsi alla speranza ogni giorno. E, così, sognavo la mia vita con Maria.

Non avevo ancora fatto i conti, però, con il sogno che Dio coltivava per noi. Quando Maria, con le lacrime agli occhi, mi raccontò dell’Angelo, la pialla si fermò tra le mie mani e un brivido mi percosse la schiena. Ho sempre amato il legno perché è quasi come un figlio: all’inizio sembra non avere forma, ma se hai la pazienza di accarezzarlo, limare gli spigoli, piallare le irregolarità, levigare le venature, puoi trasformarlo. Non è forse questo ciò che un padre deve fare con il proprio figlio, accarezzarlo, levigarne dolcemente gli spigoli e renderlo un uomo? Eppure, a me Dio chiedeva l’assurdo: del legno potevo essere padre, ma del figlio di Maria no!

Natale

© Francesca Cavalli

Mi sono affidato, mettendo i miei progetti nel sogno di Dio che, puntualmente, ha parlato anche a me. Non temere, mi ha detto. E lì ho fatto una scoperta straordinaria: non è padre solo chi ti ha partorito, ma è padre chi ti si mette accanto e ti sussurra ogni giorno: non temere, non avere paura. Io sono con te.

Caro Gesù, ti ho amato con il cuore di un papà, pur sapendo che tra le mie mani potevo trattenere il legno, ma non avrei mai potuto trattenere te. Quando mi aiutavi nella bottega, ti osservavo diventare ragazzo e certe volte avrei voluto lasciare gli strumenti del lavoro per accarezzarti i capelli e sussurrarti di non avere mai paura. Ma tu mi guardavi, scrutandomi in profondità: avevi compreso già il mio amore per te. E stavi imparando la vita, ma anche qualcosa del Padre tuo celeste, tanto da dipingerlo più tardi come un Padre che ti vede da lontano, ti corre incontro e ti abbraccia. Qualunque sia la situazione che vivi, Dio ti aspetta sempre. A braccia aperte.

Sta arrivando un altro Natale. Vorrei dire ai tuoi fratelli di oggi, di imparare anzitutto la pazienza di noi artigiani. Dio viene, visita la nostra vita, trasforma le cose, ma ciò non avviene in un giorno solo. È un cammino che ha bisogno di tempo e tenacia.

È Natale – vorrei dirvi – se imparate anzitutto a essere padri, cioè se vi esercitate nell’arte del prendersi cura, se amate e proteggete chi vi sta vicino, assumendovi il rischio della sua vita, dei suoi fallimenti, dei suoi sogni e della sua crescita, come un padre fa col proprio figliolo. Che si trovino in voi persone dalle braccia spalancate e non giudici spietati col dito puntato.

È Natale quando non sottolineate il negativo e non vi lasciate irretire dalle cose che non vanno, ma ritornate sempre in quella bottega artigianale che è la vita e ci mettete dentro le mani. Levigando e piallando le asperità. Meravigliandovi per la gemma che spunta piuttosto che per il temporale che avanza.

È Natale se impariamo a coltivare il senso della giustizia, in tutto ciò che viviamo e specialmente nella società, nella politica, nel lavoro. Dicono di me che sono un uomo giusto, ma in verità ogni uomo deve essere giusto. Senza giustizia non c’è vera umanità, ma sopruso, violenza, disuguaglianze. Tutte cose che, alla fine, sono i poveri a pagare di più sulla loro pelle.

Ho dovuto proteggerli Maria e il Bambino, rischiando di persona. Natale dovrebbe ricordarci anche questo: che c’è Dio dove circola quell’amore che ci fa diventare una coperta calda per chi ha freddo, una compagnia per chi è da solo, una parola di conforto per chi è affranto, e soprattutto una scudo di protezione per i più indifesi e i più deboli. In un mondo in cui l’arrogante e il potente calpestano i più piccoli è inutile fare il presepe.

Ho dovuto lavorare molto per far vivere bene la mia famiglia. Tuttavia, a Nazareth ho gustato piccoli ma intensi momenti trascorsi insieme alla mia donna e a Gesù. Fatelo anche voi, cari papà: fermate i ritmi del lavoro e arginate le preoccupazioni, se potete. Dedicate qualche momento alle vostre mogli e ai vostri figli: ascoltare dal di dentro, esserci, condividere e fare una carezza, è tutto.

E, un’ultima raccomandazione: non smettete di sognare. Anche nella fatica di una bottega, di una relazione infranta, di un’angoscia interiore, di una speranza che si spegne, noi possiamo continuare a guardare in alto perché quel Dio che è venuto in Gesù, viene ancora oggi per riaccendere la vita. Sognate e aiutate gli altri a sognare, perché solo così un altro mondo sarà possibile. E sarà Natale ogni giorno.

Una lettera dei magi a Gesù… duemila anni dopo!

La vita inizia davvero quando alzi il capo, perché non ti accontenti più di guardare in basso. È dall’insoddisfazione profonda, che sorge il desiderio di superare i confini e spaziare nell’infinito. È la nostalgia del cielo che dà sapore alle cose della terra.

Noi, i magi, eravamo già abituati a vivere la vita osservandola dal cielo. Ad alzare il capo, per scrutare la luce delle stelle. E di una cosa siamo certi: il cielo ti mette in viaggio, perché insieme ai suoi colori, raccoglie il canto malinconico di tutte le domande, le solitudini, le speranze e le sofferenze umane. E, così, ti rimanda alla terra, ti spinge a cercare ancora, ad andare oltre, a non smettere mai il viaggio.

Siamo diventati viaggiatori del cielo, scrutatori di stelle, abitanti inquieti di galassie e costellazioni. Ma, in quell’anno, qualcosa ci ha attraversati come un fremito: abbiamo visto il sorgere di una stella. La sua luce intensa ci ha fatto avvertire dentro al cuore il morso di una struggente nostalgia di infinito, il gusto di qualcosa di illimitato, il brivido inatteso di qualcosa di nuovo. E partimmo.

Caro Gesù Bambino, questi tre uomini che hai visto all’ingresso della capanna di Betlemme, siamo noi. Siamo sognatori e, tra la scienza e la follia, quella stella luminosa che ci precedeva nel cielo ha acceso nel nostro cuore il desiderio di andare oltre i confini. Lungo il cammino, la stella illuminava non solo il cielo sopra di noi, ma anche le mappe interiori del nostro cercare; essa si è fatta luce nel nostro buio, a ricordarci che nessuna esistenza è condannata all’oscurità se anela alla luce. La gioia che ci ha colti di sorpresa, arrivati a Betlemme, è stata indescrivibile. Abbiamo trovato te: una piccolezza infinita in cui abbiamo visto la grandezza infinita di Dio.

Anche in questo Natale, caro Gesù, tanti verranno come noi alle porte della grotta e per loro vorremmo essere una bussola, cosicché davvero ti possano incontrare.

È Natale – vorremmo dire loro – quando imparate ad alzare lo sguardo da terra. Quando non strisciate nella schiavitù e non abbassate la testa verso i potenti. Quando non vi accontentate di piccoli calcoli, ma sentite i crampi allo stomaco per la vostra fame di stelle. Quando non vi appagate delle cose della terra, fossero anche le più belle, perché sapete di essere fatti per il cielo. Quando la paura non vi costringe a distogliere lo sguardo, ma alzate il capo perché sentite che la vostra liberazione è vicina.

È Natale quando imparate a fare spazio all’inquietudine. Fin quando vi scomoderete per andare alla grotta solo il 25 dicembre, sarete ancora rimasti fermi. Fin quando amate una vita tranquilla e restate dentro la zona del vostro comfort, non ci sarà nessun sussulto dentro di voi. La vita inizia quando l’inquietudine ti spinge al viaggio, quando ti metti in cammino, quando cerchi il significato vero delle cose, quando non smetti di domandare, quando ti consacri alla ricerca dell’infinito invece che alla comodità del divano. Il mare aperto è più pericoloso della riva, ma se rimani a riva non farai mai una buona pesca.

È Natale se affinate lo sguardo per la stella del cielo, che vi apre all’incontro con il Dio Bambino, invece che lasciarvi sedurre dalla falsa luce di stelle cadenti, che promettono felicità ma vi trascinano nel vortice della schiavitù. La stella che vuole illuminare la nostra vita di senso, Gesù Cristo, rimane per sempre e brilla anche quando nel cielo della nostra vita si sta facendo notte.

Natale

© Francesca Cavalli

Mentre siete in cammino, alla ricerca di Dio e di voi stessi, non passate da Erode. Ci aveva ingannati e, perciò, siamo stati avvertiti di starne alla larga.

Sarà Natale quando starete alla larga da ogni Erode che oggi trova forma nella violenza, nell’egoismo, nel puntare il dito, nel calpestare i più deboli, nella doppiezza e nell’inganno. Quando spoglierete il cuore e lo consegnerete alla trasparenza, alla semplicità, all’amore gratuito: allora sarà Natale.

Quando siamo arrivati alla grotta, nel buio della notte di Betlemme splendevano di luce gli occhi di un Bambino. Sappiate guardare i vostri figli con amore, lasciatevi illuminare dal loro sguardo limpido e pulito, e imparate dalla loro piccolezza.

Entrando, alla vista del Bambino ci siamo prostrati per adorarlo. A lui, anche voi dovete offrire l’oro della vostra vita, il profumo del vostro amore e delle vostre opere buone, l’incenso della preghiera. E tutto vi sarà moltiplicato: diventerete oro prezioso per chiunque vi avvicini, profumo di pane e di bontà per chi ha fame, preghiera per i bisogni e i dolori del mondo.

E, pieni di gioia, ce ne tornammo a casa nostra, conservando gli occhi di quel Bambino nel cuore.

Incontrando Dio e accogliendolo nella vostra vita, tornate a casa vostra. Abbracciate vostra moglie, i vostri figli, chiunque incontrate sul cammino. E dite loro, che non è Natale solo a Natale, ma ogni volta che, alzando il capo, vi ricorderete che lassù Qualcuno vi ama. C’è ancora speranza nel mondo, finché avrà abbastanza stelle… il cielo!

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Un commento

  1. Giampaolo Centofanti 24 dicembre 2019

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