Maria, la Misericordiosa

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Misericordia e sguardo

Prima di chiudere la bolla misericordiae vultus (MV), papa Francesco dedica il n. 24 di essa a Maria, quale “madre della misericordia”. Il breve pensiero mariano è pregnante di umori teologici, anche se qui ci si limita a scrutarne solo il senso di due parole; si tratta, comunque, di due fili forti del suo vocabolario: la misericordia e lo sguardo. «Il pensiero ora si volge alla madre della misericordia. La dolcezza del suo sguardo – scrive il papa – ci accompagni in questo Anno santo, perché tutti possiamo riscoprire la gioia della tenerezza di Dio».

Questa espressione della bolla va letta in lontananza dalla deriva debole del devozionismo che spesso ammala il discorso su Maria che, invece, se costruito sulla filigrana del capitolo ottavo della Lumen gentium, si presenta addirittura come decisivo per la stessa comprensione del cristianesimo. Maria, infatti, «è il caso più perfetto di cristianesimo»: «Maria è la perfetta rappresentazione di ciò che è un cristiano, poiché con l’assenso della sua fede e nella concretezza fisica della sua maternità divina ha ricevuto colui che è la salvezza di tutti, Gesù Cristo, nostro Signore» (K. Rahner, Maria. Meditazioni, Roma-Brescia 1968-1979, p. 43).

Dolcezza e severità

La dolcezza è certamente d’obbligo quando si parla di Maria: lei è «la Bellissima», come amava chiamarla un grande prete italiano, tutt’altro che smanceroso, don Giovanni Minozzi; è Donna di tenerezza che – come invoca papa Francesco – deve condurre i cristiani, in quest’anno giubilare, a «riscoprire la gioia della tenerezza di Dio»; è soprattutto la «madre della misericordia», titolo severo perché la misericordia è possibile solo con l’eroismo del cuore: più debole sarebbe il titolo di “madre della giustizia” perché occorre più forza spirituale per essere misericordiosi piuttosto che giusti, ma primieramente perché – afferma papa Bergoglio – Dio rivela la sua onnipotenza anzitutto con la misericordia e il perdono (cf. MV, n. 6) e perché «la giustizia di Dio è il suo perdono (cf. Sal 51,11-16)» (MV 20).

Dunque, è bene sostare sull’antichissimo titolo di «madre della misericordia». Di essa troviamo una traccia nell’inno mariano più antico – Sub tuum praesidium –, nel quale la Chiesa, ispirandosi al dato scritturistico, chiama Maria con termini alludenti alla misericordia. Quella veneranda preghiera viene significativamente così tradotta: «Noi ci rifugiamo nel tuo cuore misericordioso», «Noi ricorriamo al tuo cuore misericordioso» (cf. J.-M. Salgado, Aux origines de la découverte des richesses du Cœur Immaculé de Marie: du IIIe au XIIe siècle, in Divinitas 31 [1987] 187). Ma esattamente a metà del primo millennio, dai pulpiti delle chiese cristiane, risuonò per la prima volta, in lode di santa Maria, il titolo di «madre della misericordia», coniato da Giacomo di Sarug (m. 521) e scandito nella sua Omelia festiva 81ª.

Lo sguardo della Misericordiosa vede
quanto è invisibile agli occhi della carne

Quel titolo, da allora, come per un contagio spirituale, è sulla punta del cuore e sulle labbra del popolo di Dio che intuisce – con il “fiuto di fede” di cui è dotato – che al Misericordioso spettasse una madre di misericordia, che quel titolo le spettasse quale donna che, come ha lasciato scritto Romano il Melode (prima metà del sec. VI), ha amato tutti, anche «gli estranei e i nemici, perché era veramente […] la madre del Misericordioso» (Testi mariani del primo millennio, II, Città Nuova, Roma 1988-1991, p. 264). Su questo aspetto teologi e uomini spirituali hanno sempre insistito con la convinzione che al Misericordioso spettasse una «madre di misericordia».

Papa Francesco, nel frammento finale della misericordiae vultus ha affermato che lo «sguardo» di Maria deve «accompagnare» il popolo pellegrino in quest’Anno santo, attivando uno dei suoi registri espressivi più usati: si può dire che egli tratteggia una vera “pastorale dello sguardo”. D’altra parte, non è un aspetto secondario quello dello sguardo nella spiritualità cristiana, tantomeno in riferimento a Maria. Ad esempio, sant’Alfonso M. de’ Liguori (m. 1787) dice di Maria che è «tutta occhi, al fine di sovvenire noi miseri su questa terra» (Le glorie di Maria, Valsele Tip., Materdomini 1987, p. 221).

papa Francesco, invocando lo sguardo di lei sui cristiani in cammino giubilare, ha chiesto che li segua con attenzione materna e che noi operiamo con un “cuore pensoso” e con un “agire vedente” per dirla con Edith Stein. Questa densissima espressione la filosofa di Auschwitz la usava in contesto antropologico avendo una lucida intuizione, congeniale a quella di Antoine De Saint-Exupéry: «Non si vede bene che col cuore. L’essenziale è invisibile agli occhi» (Il piccolo principe, Bompiani, Milano 1987, p. 9). papa Francesco continua nel suo numero mariano della bolla dell’Anno santo ricordando l’evento di croce, nel quale Maria entra a sostenere anzitutto un dialogo di sguardi col Figlio.

Incrocio sguardi nel santuario della misericordia del Calvario

Alla parola del Crocifisso: «Donna, ecco tuo Figlio» (Gv 19,26), il Vangelo non riporta alcuna risposta della madre. Si sente, però, il bisogno d’interpretare quel silenzio. Nella sua lauda Il pianto della Madonna, Jacopone da Todi sente il bisogno di colmarlo dedicando undici quartine, delle trentatré totali, alla Madonna: la fa parlare più del Crocifisso, che, secondo i Vangeli, ha detto più cose, sigillando tutto col “grido della Nona Ora”. Anzitutto per la madre del Crocifisso è la profezia di Zaccaria: «Volgeranno lo sguardo a Colui che hanno trafitto» (Gv 19,37).

La Dolorosa forse ha detto molto coll’espressivo linguaggio degli sguardi amorosi scambiati col Figlio morente: lei è entrata in quel misterioso santuario della misericordia, che è il Calvario, partecipando intimamente al mistero d’amore della croce: lì Gesù parla amore e Maria risponde amore col suo sguardo materno. Il cuore amoroso di Maria, trafitto dalla stessa spada con cui è squarciato il cuore di Gesù, si manifesta nello sguardo. Gli occhi di Maria lasciano trasparire ciò che si agita o lievemente vive dentro il suo cuore: non sono occhi che semplicemente vedono, ma occhi che guardano, perché mossi dal cuore e perciò si posano, con attenzione alta e interesse vivo, sulla carne straziata del Figlio.

Dalla croce lo sguardo della Misericordiosa sulla famiglia umana

Animato dal cuore, lo sguardo si fa luminoso e penetrante e focalizza l’obiettivo in modo perfetto con contorni nitidi e colori genuini, senza pericolo di alterazione alcuna. Maria da sotto la croce guarda il Figlio, ma, essendo la Credente, lei guarda noi con lo sguardo di lui. è quanto pensa papa Francesco, per ogni credente, nella Lumen fidei (29.6.2013): «La fede non solo guarda a Gesù, ma guarda dal punto di vista di Gesù, con i suoi occhi: è una partecipazione al suo modo di vedere» (n. 18).

Sotto la croce Maria guarda il Crocifisso con occhi di madre, ma anche con occhi di “Chiesa nascente”, come si esprimeva il card. Ratzinger in un breve libro su di lei. In più, la vergine di Nazaret, poiché è la Credente, con lo sguardo di Cristo, guarda dalla croce la Chiesa pellegrina che compie suo esodo, l’immensa “carovana” degli uomini che pellegrina verso l’Oltre e l’Altrove, le turbe dei poveri che muovono i passi verso la mensa della creazione e, da ultimo, le moltitudini dei profughi che, a ondate, tentano di raggiungere lidi e sponde di rifugio e di scampo. Dalla potente spinta che papa Francesco, specialmente in questo Anno santo, sta dando alla Chiesa perché intraprenda cammini di misericordia, allo sguardo materno di Maria va congiunto lo sguardo fraterno di noi cristiani: si tratta d’imparare a guardare gli altri non solo con gli occhi nostri, ma anzitutto con lo sguardo di Dio, che è lo sguardo di Cristo.

Guardare l’uomo contemporaneo con occhi cristiani e mariani

Dobbiamo guardare anche, con occhi cristiano-mariani, l’uomo del nostro tempo nelle varie esperienze di crisi in cui egli si trova stentando a trovare un senso al suo esserci e al suo futuro. Già da papa Ratzinger veniva questo insegnamento: «La vita buona del Vangelo è proprio questo sguardo nuovo, questa capacità di vedere con gli occhi stessi di Dio ogni situazione» (Discorso all’Udienza generale: 28.11.2012). Dinanzi all’uomo contemporaneo, a tanti livelli ferito e in difficoltà, la prima cosa da fare non è giudicare e condannare, ma avere per lui uno “sguardo cristiano”, ricordando che il post-moderno in cui egli vive, con tutti i suoi limiti e le sue croci, è il nostro tempo e ne va di noi.

Nella linea di papa Ratzinger (che ha dialogato fittamente con l’uomo contemporaneo) e di papa Francesco che impegna tutta la sua passione caritativa per lui, servono gli occhi di misericordia dei cristiani. Ce lo dice con suadenti parole un monaco: «Il cuore del cristianesimo è scoprire la misericordia di Dio, viverla e riviverla. Ecco un altro esempio dell’atteggiamento cristiano dinanzi all’uomo contemporaneo: comunicare speranza, incoraggiare a vivere» (S. Chialà, L’uomo contemporaneo. Uno sguardo cristiano, Brescia 2012, p. 59).

La Chiesa porta “lo sguardo plenario di Cristo sul mondo”

è scoccata l’ora di tornare ad essere cristiani veri e interi, cosa che null’altro può significare se non il tornare a somigliare a Cristo e a imitarlo davvero. Ma una delle forme più elevate dell’imitazione di Cristo è imitare il suo sguardo non solo come singoli cristiani, ma anche come Chiesa nel suo insieme. è quello che insegna papa Francesco nella (Lumen fidei, n. 22) con le parole di un teologo a lui caro, Romano Guardini: la Chiesa «è la portatrice storica dello sguardo plenario di Cristo sul mondo».

Maria insegna che, anche per lo stare al mondo della Chiesa, bisogna dire che è questione di sguardo.

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