Natale, storia di un rifiuto

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Natale: tempo che sa di intimità, di casa e del suo calore. Festa per noi dall’aspetto ovattato, magico. Si snoda in un clima di luci, di dolci e di poesia. Ma, all’origine, non era così. Anzi, il suo contrario. Aveva il sapore duro e amaro del rifiuto. E delle sue sfide. «Per loro non c’era posto» annota chiaramente il Vangelo.

La sua origine fu ben lontana dagli uomini e dal loro mondo. Migranti, nuovi arrivati come Giuseppe e Maria fanno sempre paura. La loro ricerca di casa e di ospitalità crea solo imbarazzo. Come sempre. Non era rimasta che una grotta di pecore e di animali come unico rifugio: contesto originale per presentarsi agli uomini da parte di Dio. Un paradosso.

In realtà, era atteso da secoli, da interminabili generazioni, da infiniti sospiri di profeti! Poi, nel cuore della notte, nella solitudine umana, in una stalla di Betlemme, la sorpresa di un neonato. Nato tra gli animali come un agnello. Lo chiameranno per sempre «Agnello di Dio». Per dire la sua bontà. Ma anche il suo tragico destino.

Fare posto

Da allora, ogni Natale si presenta come un invito forte, insistente a far posto. Sì, nel cuore di ognuno. A far posto a un compagno di viaggio che ha nome “compassione”. Per non rimanere insensibili all’altro. Imperturbabili o impermeabili al suo dolore. «Costruire la pace significa aprire le porte a coloro che soffrono» afferma, infatti, qualcuno.

Natale si fa sinonimo di compassione. Per chi cerca un posto, una casa, una umanità. A far posto tra le nostre abitudini, i nostri ritmi e le nostre tradizioni. Perché ancora oggi Dio si traveste. Come allora, riprende i panni di chi ha bisogno di fratellanza, di chi cerca libertà e dignità… Si presenta per raccogliere forse ancora il nostro rifiuto. Sentirsi dire che la vita è dura anche per noi. Che non c’è posto per altri. È giusto difendersi, no?!

Il Natale degli italiani all’estero

Ricordo ancora un Natale in un villaggio di Francia in riva alla Senna, alle porte di Parigi, abitato da tantissimi bergamaschi: Carrières sur Seine. Questi vi coltivano i famosi champignons de Paris in enormi grotte sotto il villaggio stesso, dove dal Medioevo, per secoli, si estraeva una pietra bianca arenaria per costruire i palazzi di Parigi. Agli inizi era perfino la loro dimora.

Dopo la messa di mezzanotte, una famiglia accanto alla chiesa invitava ogni anno chi è solo o povero alla loro tavola per festeggiare l’occasione. Gesto di solidarietà e di compassione. Una grande tavolata appariva, allora, nel cuore della notte, insolita, fraterna e originale! Perché la compassione domanda sempre creatività. Gesti inediti, nuovi e inabituali… Uscendo, così, dalla routine: quella che anestetizza il cuore, fa camminare sui soliti binari e soffoca ogni gratuità.

Ho ancora davanti agli occhi un Natale di tempo fa tra italiani emigranti a Bedford, in terra inglese. Alla messa di mezzanotte, una giovane mamma andava a deporre sulla paglia davanti all’altare un fagottino di appena dieci settimane, il suo Antony.

Ricordo il gruppo di bambini della parrocchia italiana cantare imperturbabile Astro del ciel, mentre il piccolo strillava a contrappunto con tutte le sue energie. Sì, una corale inedita. Un’assemblea fittissima di vecchi emigrati italiani, specie dal Sud, da Avellino, da Benevento, dalla Sicilia, guardava, ammirava e pensava forse – con compassione – a quanto aveva pianto ognuno di loro per poter rinascere in terra straniera. Per ricostruire la propria vita tra mille e una difficoltà.

«Sono venuti moltissimi da un ambiente mafioso e povero» mi commentava a bassa voce padre Mario, il vecchio parroco, «ma qui hanno dovuto rimboccarsi le maniche, credere in sé stessi, camminare da soli. Sono stati ammirevoli!».

Nei dintorni di Bedford c’era una terra argillosa particolare. Con questa, nel dopoguerra, si facevano mattoni a migliaia, anzi a milioni, per la ricostruzione di Londra distrutta dai bombardamenti. Provvidenziale era la manodopera italiana, che viveva ammassata poco distante in baracche di legno per animali. Anche per loro non c’era posto altrove.

«Dobbiamo camminare per costruire un mondo non più fondato sul giudizio e il pregiudizio, ma l’umiltà e la compassione»: una frase di Susanna Tamaro con calligrafia di bambino decorava l’albero di Natale della chiesa di Bedford. Era, in fondo, la nostra storia di italiani in terra inglese.

Allargare la tenda

Ancora oggi, Natale si fa invito ad allargare la nostra tenda. Il nostro piccolo mondo antico. A far posto a chi cammina, perché viene da altri mondi, da altri orizzonti. A chi insegue, come un sogno, la luminosità di una stella, cioè valori grandi e comuni come dignità, fratellanza e libertà.

E «non c’è niente come un sogno per creare il futuro» scriveva Victor Hugo. Così, la fede o la resilienza dei nostri italiani all’estero ci fa scoprire quanto importante sia stato far loro posto. Come migranti. Senza saperlo, hanno trasformato il mondo.

Perché ogni emigrante fa incontrare e riconciliare mondi differenti, visioni della vita ben diverse. Attraverso di lui, valori e culture lanciano dei ponti nel mare aperto dell’umanità.

Anche Dio, un giorno, fece lo stesso tra il cielo e la terra. Domandò al creato di fargli posto. Divenne uno di noi, migrante. E fu Natale.

  • Renato Zilio è missionario scalabriniano a Casablanca
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