Nato Gesù a Betlemme di Giudea, al tempo del re Erode, ecco, alcuni Magi vennero da oriente a Gerusalemme e dicevano: “Dov’è colui che è nato, il re dei Giudei? Abbiamo visto spuntare la sua stella e siamo venuti ad adorarlo”. All’udire questo, il re Erode restò turbato e con lui tutta Gerusalemme. Riuniti tutti i capi dei sacerdoti e gli scribi del popolo, si informava da loro sul luogo in cui doveva nascere il Cristo. Gli risposero: “A Betlemme di Giudea, perché così è scritto per mezzo del profeta” (…). Udito il re, essi partirono. Ed ecco, la stella, che avevano visto spuntare, li precedeva, finché giunse e si fermò sopra il luogo dove si trovava il bambino. Al vedere la stella, provarono una gioia grandissima. Entrati nella casa, videro il bambino con Maria sua madre, si prostrarono e lo adorarono. Poi aprirono i loro scrigni e gli offrirono in dono oro, incenso e mirra. Avvertiti in sogno di non tornare da Erode, per un’altra strada fecero ritorno al loro paese.
Come se saltassero fuori da una favola, dalla notte dei tempi, per entrare – inattesi – nella storia della salvezza. Partiti da sempre dalle loro terre, vaganti nella storia, per seguire una traccia sottile preludio di un incontro inimmaginabile. Prima dell’arrivo a Gerusalemme di loro nulla sappiamo; e dopo la visita al bambino, scompaiono nella strada che li riporta là da dove erano venuti.
Cercavano un re a Gerusalemme, trovarono un cucciolo d’uomo a Betlemme – casa di pane. E lì saziarono il loro desiderio di conoscere, senza chiedere altro. Un bambino e una donna, furono tutto ciò di cui avevano bisogno per dirsi di non essersi messi in viaggio invano.
Avevano con sé doni regali, fuori misura rispetto a ciò che videro; ma non se ne rammaricarono. Li lasciarono lì – e di essi si è persa ogni memoria. Lasciarono lì anche l’esperienza preziosa del loro cammino senza tempo – a nostra futura memoria. Affinché noi non dimenticassimo.
Ti prepari per lo splendore del palazzo, ed entri in una casa. Pensi alla città del tempio, e sei ricondotto alla periferia dei dimenticati. Ingenuamente annunci ai re del mondo la fine del loro impero, e scateni così in loro il terrore per un potere di cui e su cui non possono disporre.
Quel cucciolo da loro visitato si salverà grazie a un intreccio di sogni che attraversano la notte del mondo. E a noi avete lasciato l’enigma di un Salvatore salvato, che non scorderà mai questa tenerezza che lo ha protetto nei giorni della culla. Salvato da pagani, provenienti dalle genti di oriente. Salvato da un uomo che non era suo padre, dal quale apprese la fiducia di poterlo chiamare semplicemente Abba.
Gesù non sarebbe il Cristo se non avesse imparato dai gesti dell’umano la grammatica minima per nominare il Dio indicibile di Israele. Gesti gentili, gesti fuori dalle regole, ai margini estremi della religione. Segnato per sempre da questi gesti che lo tennero letteralmente in vita, quel piccolo cucciolo si fecce testardo difensore di una tenerezza del Dio-Abba che scompigliava i canoni più sacri della religione dei padri.
Non la ripudiò, morì per e sotto di essa – perché desiderava che ogni uomo e ogni donna potessero sentire l’inimmaginabile di una salvezza pensata proprio per loro. Proprio come fu per lui, in quei primi giorni nella culla – attaccato al seno di una madre e protetto dall’ombra discreta di un padre che non era tale.
Furono tre uomini delle genti, del non-popolo, che seppero cogliere tra il mare infinito delle stelle quella che li avrebbe condotti proprio là, dove il desiderio di Dio li attendeva impaziente.
E il popolo dovette imparare a seguire cercatori che non erano dei loro – un prezzo, per molti, troppo alto da pagare. Un tradimento della storia che li aveva generati alla fede. Convinti di sapere dove fosse il Dio dei padri, ben chiuso nelle mura sacre del Tempio, ne mancarono la venuta. Ieri come oggi.
Abbiamo riscoperto che il tempo di Dio sparge segni nell’oggi della storia umana, ma facciamo fatica ad accettare che altri da noi ci dicano di essi e a essi ci conducano. Eppure la pagina della Scrittura è eloquente: noi, lettori e lettrici di oggi, a Betlemme ci arriviamo solo perché seguiamo la storia di tre uomini venuti da altrove. Pronti a sparire da quella pagina non appena ci hanno portati fin sulla soglia di una casa che ospita quel cucciolo d’uomo che è la carne della nostra salvezza.
La rapidità della loro scomparsa fa appello all’urgenza dell’irruzione del tempo di Dio – quella che fa divellere tetti; cercare il lembo del mantello; resistere testarda davanti a un Salvatore che pensa di essere solo per alcuni, fino a convertirlo alla giustizia della suo essere tra noi.