Il rovescio della mondanità spirituale, frequentemente segnalata da papa Francesco, è racchiuso in quella sorta di forza oppositiva ad ogni critica o ferita destabilizzante al fine di garantire il rendimento eccellente. Quasi come se il cristiano dovesse mantenere in piedi una propria azienda a rischio fallimento o infamia.
La mondanità ecclesiale maschera limiti e cadute (a volte anche scandali gravi) per farsi trovare sempre integri, sani e impeccabili. Ma il cuore della fede cristiana non consiste forse nell’essere salvati e quindi nel diventare portatori di gioia e gratitudine? Nulla, infatti, è più subdolo della superbia spirituale che trasforma lentamente il cristianesimo in un abito morale e culturale in cui non c’è più tempo per ricercare la salvezza ma solo spazio per misurare rigidamente le debolezze altrui.
Cinque atteggiamenti che salvano
La mondanità ecclesiale, pur criticandoli, sposa i criteri della mentalità dominante verniciandoli di simboli e linguaggi religiosi. Riferendosi al rischio di una chiesa molto efficiente e poco evangelica, papa Francesco nell’omelia ai religiosi e alle religiose del 2 febbraio scorso ha affermato:
Il nostro è un mondo che spesso corre a gran velocità, che esalta il “tutto e subito”, che si consuma nell’attivismo e cerca di esorcizzare le paure e le angosce della vita nei templi pagani del consumismo o nello svago a tutti i costi. La vita cristiana e la missione apostolica hanno bisogno che l’attesa, maturata nella preghiera e nella fedeltà quotidiana, ci liberi dal mito dell’efficienza, dall’ossessione del rendimento e, soprattutto, dalla pretesa di rinchiudere Dio nelle nostre categorie, perché Egli viene sempre in modo imprevedibile, viene sempre in tempi che non sono nostri e in modi che non sono quelli che ci aspettiamo.
L’idea moderna di potenza, unitamente al capitalismo sfrenato, ha generato i falsi miti su cui si reggono le attuali società occidentali: efficienza, consumismo, apparenza e rendimento massimo. Alla luce delle parole di papa Francesco, mi sembrano significativi cinque atteggiamenti alternativi alla mondanità spirituale che uniscono la freschezza evangelica con le più interessanti ricerche di attuali studi antropologici, sociologici e psicologici:
La lentezza
Più che la corsa sfrenata ai cristiani appartiene la capacità di rallentare. La lentezza vince ogni ansia negativa che trasforma il tempo in un avversario da divorare e l’altro in un rivale da superare.
La lentezza del cammino permette al cristiano di tenere fisso lo sguardo sul Regno da accogliere, quale meta di sicura speranza mentre si impara a gustare il tempo e le cose.
Il desiderio
“La vita si ammala quando qualcuno rinuncia ad ascoltare la chiamata del proprio desiderio” (M. Recalcati). La forza del Vangelo corrisponde alla realizzazione della sete di autenticità e di pienezza insito nel cuore di ogni essere umano.
Oltre i risultati facili la Chiesa potrebbe educare al desiderio delle piccole cose per favorire personalità piene di speranza e vita: chi smette di desiderare si rifugia nell’abitudine e nel compromesso.
La contemplazione
La tradizione contemplativa cara alla spiritualità cristiana ha sempre demonizzato l’attivismo. Infatti imparare a contemplare non è missione riservata ai monaci ma a tutti coloro che – anche fuori dal tempio – sanno guardare con sguardo grato e stupito la bellezza disseminata nel creato e nelle persone.
La contemplazione apre al valore del gratuito: non valgo solo quando faccio qualcosa ma anche quando imparo a ringraziare.
La realtà
In un tempo in cui si rimuove la morte e la malattia, la Chiesa è chiamata a promuovere il primato della realtà, composta di limiti e contingenze.
Accogliere il reale diventando – mistagogicamente – umani si rivela un’opportunità liberatoria e gratificante senza fughe e alienazioni dis-umanizzanti: “La realtà è superiore all’idea” (papa Francesco).
La condivisione
La qualità delle relazioni ecclesiali esprime maggiore fiducia rispetto al valore delle strategie e dell’efficienza. Le relazioni ecclesiali diventano profezia di fraternità oltre il dogma del “consumo dunque sono”. Riscoprire che è possibile nutrirsi anche di amicizie e affetti non finalizzati a guadagnare qualcosa se non la gioia di camminare insieme e condividere i vissuti più intimi e profondi.
Oltre la necessità di apparire ineccepibili, al cristiano interessa custodire relazioni stabili e durature. La condivisione apre al primato della relazione al di là di ogni errore o caduta.
La forza della debolezza
Questi cinque atteggiamenti, dal sapore evangelico, richiedono di essere vissuti con coraggio alla luce della promessa di Dio, che nella forza rivoluzionaria del Vangelo, ci invita a non lasciarci vincere dalle paure. Mentre si amplifica il rischio di una Chiesa efficiente che offusca la freschezza evangelica, occorre recuperare la prospettiva per cui vale la pena accogliere la buona notizia: solo essa è capace di umanizzare, senza alienazioni, i limiti umani. La buona notizia è la forza che proviene dalla debolezza:
Mi vanterò quindi ben volentieri delle mie debolezze, perché dimori in me la potenza di Cristo. Perciò mi compiaccio nelle mie debolezze, negli oltraggi, nelle difficoltà, nelle persecuzioni, nelle angosce sofferte per Cristo: infatti quando sono debole, è allora che sono forte (2 Cor 12,9-10).
Caro Roberto, la tua riflessione è un gioiello, ricco di sapienza antica. Rallentare il ritmo della vita, il silenzio, accogliersi sempre come degni della vita, e non con la smania di vivere a tutti costi e neppure con la credenza di non essere degni della vita che pulsa come sorgente in noi. Lasciar essere la vita secondo il ritmo della vita. Così, è.