Il Padre nostro è ancora nei cieli, presumibilmente, ma di sicuro non è più Lui a «indurci in tentazione»: non che lo avesse mai fatto davvero, ci mancherebbe, tuttavia, questo verso della preghiera, nella traduzione italiana che abbiamo imparato da piccoli, generava certe ambiguità che sono state eliminate; lo sappiamo, basta andare a messa, per sentire il sacerdote intonare «non abbandonarci alla tentazione», al posto di quell’«indurci in», che poteva anche lasciar intendere, per fraintendimento, un’inverosimile complicità da parte del Creatore, confondendo, con un sol termine, il Bene e il Male.
Allora possiamo affermare che la preghiera in questione è ancorché sgorgata da labbra divine prima di tutto un testo. E un testo, inserito nel circuito della comunicazione, è sottoposto in primis a problematiche e tensioni di natura linguistica. Per questo motivo lo studioso parmigiano Alberto Sebastiani manda in libreria un saggio importante sul destino linguistico di quella che è la Preghiera per antonomasia: «Padre nostro. Riscritture civili di una preghiera tra musica e letteratura» (EDB, 224 pagine, 18 euro).
Sebastiani analizza la preghiera appunto in quanto testo, e dunque sotto gli aspetti legati storicamente alla traduzione, alla interpretazione, al rimaneggiamento, alla contaminatio, alla riscrittura, alla parodia ove per parodia s’intenda non già un riferimento al comico o al sorriso tout court, bensì (come da suo significato originario) il riutilizzo d’un condiviso codice di partenza tramite l’assegnazione di un significato diverso. Un’operazione, quest’ultima, consueta e senza età nella letteratura, un’operazione che va dai «Carmina docta» di Catullo al poema eroicomico, sino alla poesia e alla prosa contemporanee.
Ebbene, Sebastiani affonda il suo sguardo d’analisi prima di tutto nella struttura della preghiera stessa e nella forza connotativa della sua armatura lessicale e verbale, per poi spaziare, nel campo vasto delle riscritture e del riuso, dalla letteratura alla canzone, dalla cultura religiosa a quella pop, raccontando la storia delle potenzialità intrinseche ad un testo diffuso e ripetuto quant’altri mai, recitato nell’intimo o in comunità. Si va quindi dai Vangeli di Luca e Matteo a Pier Paolo Pasolini ed Erri de Luca, dal canto gregoriano a David Bowie, da Franz Listz ai Gang e Vasco Brondi: giacché, come ha dimostrato Aby Warburg ai suoi tempi, la trasmigrazione dei significati avviene a diversi livelli, e lo studioso non deve, crocianamente, occuparsi soltanto di capolavori e di generi considerati nobili a priori.
Per comprendere le dinamiche linguistiche o formali associate al senso, è bene che raccolga sotto il suo sguardo imparziale un repertorio assai variegato dell’esperienza e della produzione umana. Così, le riscritture profonde o le semplici citazioni prese in considerazione da Sebastiani assumono di volta in volta, inseriti in contesti diversi, valori civili, commemorativi, di fede, di ribellione, o vengono a far parte indissolubile della poetica dell’autore stesso che ne firma il riuso.
Un libro che capta con estrema sensibilità e competenza le risonanze e gli echi, l’impatto civile e culturale di un testo archetipico, calandolo persino nella controversa realtà geopolitica e sociale dell’oggi, per verificarne la persistenza, l’attualità e la forza.
Alberto Sebastiani, Padre nostro. Riscritture civili di una preghiera tra musica e letteratura, EDB, Bologna 2020, pp. 176, euro 18,00. Ripreso da La Gazzetta di Parma il 18 giugno 2020.