Oggi un articolo del credo si fa celebrazione – la risurrezione della carne. Credere in essa vuol dire confessare in vita “il bel materialismo del cristianesimo” (C. Magris). Quello che ti fa sentire che la fede cristiana, ma soprattutto il suo Dio, si prende davvero cura del corpo come di Dio stesso.
Quello in cui impari che il tuo corpo è molto più che semplice natura, biologia, processi organici, sudditto delle potenze di volontà con cui lo vogliamo soggiogare.
Il tuo corpo, con i suoi slanci e le sue pesantezze, con le sue passioni e le sue ferite, con il suo godimento e le sue bassezze, ha una destinazione. Il corpo è destinato, senza perdere nulla del suo vissuto, alla comunione spirituale con l’essere stesso di Dio – per sempre.
Dignità definitiva, già ora, di ci`che sentiamo essere fragile e transeunte quasi per definizione, sicuramente per esperienza. Definitivo della dignità del corpo che non deve attendere un “aldilà” per assaporare la propria realizzazione; ma che è in atto già ora negli incerti giorni del vivere – in attesa del suo promesso, e in quanto tale dovuto compimento.
Attesa che vivi ora nella tua carne; che senti in ogni gesto in cui il tuo corpo si fa dono e ospitalità; che patisci nelle sue molte fragilità e troppe infedeltà. Sono le pieghe stesse del corpo in cui Gesù, il mattino di Pasqua, sentì il suo essere risorto – ritessendo legami antichi, che sembravano spezzati per sempre, con i suoi. Uno per uno, se fosse stato necessario.
Gesù accede alla sua Pasqua nel suo corpo, non altrimenti. Per questo tutto quello che senti e vivi, godi e patisci, a cui ti leghi e ti doni, accogli e ospiti, del e nel tuo corpo fragile, ha una sicura destinazione. Questa è la luce del giorno di Pasqua.