Il Venerdì Santo 7 aprile 1724, nella Nikolaikirche di Lipsia, avveniva la prima esecuzione liturgica della Johannes Passion di Johan Sebastian Bach. In questo Venerdì Santo, la musicista, musicologa e teologa Chiara Bertoglio invita i lettori ad ascoltarla meditando sul testo e sulla musica.
- Chiara, qual è il tuo personale rapporto con questa grande opera di origine liturgica?
Ho iniziato a frequentare la Johannes-Passion dopo la Matthäus-Passion – di cui ho già parlato partendo dai miei ricordi di infanzia (qui) -, quindi dall’età di quindici anni circa. Come succede ai più, non ne sono stata immediatamente catturata, perché è una composizione che richiede tempo per entrarvi appieno. Ma quando ciò è avvenuto, la sensazione di bellezza che ho provato – e che ancora provo – non è di minore intensità rispetto a quella prodotta nell’immersione nella Matthäus-Passion o in altre sublimi opere di Bach.
Ricordo una Settimana Santa di una decina d’anni fa, quando, qui a Torino, furono eseguite, in giorni diversi, prima la Johannes e poi la Matthäus-Passion: fu proprio alle prima battute della Johannes-Passion – al Coro iniziale – a prendermi una commozione inattesa, sino alle lacrime.
- È inevitabile, quindi, parlare della Johannes-Passion mantenendo, in controluce, la Matthäus-Passion: quali le differenze?
Facilmente si osserva che la Johannes è più breve e richiede un organico più contenuto: la Matthäus – lo ricordiamo – è un’opera monumentale, con doppio coro e doppia orchestra. Sul piano meramente quantitativo sono opere che si collocano su livelli diversi. Ciò può spiegare, almeno in parte, la diversa ricezione e notorietà di queste due Passioni di Bach in epoca contemporanea: la Matthäus è molto più conosciuta e ascoltata.
Ma le differenze di cui è importante parlare qui sono quelle teologiche, perché Bach, componendo le sue Passioni, ha voluto e saputo rendere, con la musica, le specificità delle narrazioni evangeliche di Matteo e Giovanni, che sono diverse.
I cristiani che hanno consuetudine di lettura ed ascolto dei testi – senza essere, per questo, esperti esegeti e teologi – sanno infatti a quali specificità sto accennando: mentre il vangelo di Matteo, coi sinottici Marco e Luca, appare più interessato a narrare i fatti storici – anche se non è proprio così – il vangelo di Giovanni è maggiormente evocativo, ossia presume che i fatti della vita di Gesù siano già noti ai lettori e agli uditori, dedicandosi maggiormente alla meditazione teologico-spirituale sugli stessi.
Bach, nella Johannes-Passion, ha colto molto bene, secondo me, la specificità del vangelo di Giovanni, mettendola in musica: questa Passione, infatti, medita sui fatti ed aiuta i fedeli a contemplarli e a meditarli a loro volta, a beneficio della vita.
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- Come Bach rende le caratteristiche giovannee in musica?
È precisamente ciò che vorrei mostrare. Il Coro iniziale, in tal senso, è assai rappresentativo (qui). Premetto che, per presentare la musica della Joahannes-Passion, dobbiamo sempre prestare molta attenzione al testo, al cosiddetto libretto dell’opera, cantato naturalmente in lingua tedesca, con i suoi suoni caratteristici.
Il testo del Coro iniziale è ispirato dal Salmo 8, «O Signore, Dio nostro, quanto è grande il tuo nome su tutta la terra». In tedesco la parola «Signore» è «Herr». Questo monosillabo «Herr» risuona tre volte già dall’attacco del Coro – un attacco da brividi! – e su accordi molto potenti. Questo «Herr» ricorre, poi, nei versi successivi, in altri sostantivi e aggettivi composti.
Subito dopo, infatti, il testo recita «unser Herrscher», «nostro Sovrano». Nel verso successivo ritorna in «Herrlicht», l’aggettivo che possiamo tradurre con «glorioso». Nell’ultimo verso incontriamo il correlato «Verherrlicht» che significa «esaltato» o «magnificato».
Nella musica l’«Herr» è, quindi, ripetutamente sottolineato, a modo di indicazione della divinità di Cristo, che è «der wahre Gottessohn», «il vero figlio di Dio».
Tuttavia, il testo, così come la musica di Bach, non ignora l’umanità di Cristo, introducendo la parola «Niedrigkeit»: «abiezione», abbassamento alla umiltà della condizione umana, o kenosis. Al centro di questo primo Coro di gloria, Bach ricava, pertanto, una cavità sonora oscura, in cui la musica sembra improvvisamente precipitare: un momento discendente che prepara quello di nuovo ascendente, finale, di nuovo glorioso: una sorta di immersione ed emersione in musica.
È molto interessante, a tal proposito, proporre l’analisi della struttura orchestrale, organizzata da Bach e supposta da alcuni studiosi. È possibile, infatti, rinvenire tre strati speculari alla teologia della Trinità. Il primo strato è costituito dai bassi orchestrali che continuamente propongono la stessa nota di fondo, a significare il fondamento del tutto: Dio, il Padre. Il secondo strato è formato dagli archi che descrivono un movimento circolare attorno alla stessa nota, tecnicamente definito, appunto, circulatio, quale mimesi di un «vento» che circola o che soffia «dove vuole» (Giovanni 3,8): lo Spirito. Il terzo è creato dal suono degli oboi che solcano, in maniera acusticamente dolorosa, l’intero costrutto musicale, quale espressione della umana passione, dolorosa, del figlio: il Cristo.
- Quali generi testuali e musicali incontriamo nella Johannes-Passion?
Come nella Matthäus-Passion, troviamo, innanzi tutto, il testo evangelico integrale, musicato nei Recitativi intonati dal tenore che fa la parte dell’evangelista.
I testi dei Cori, come il primo di cui ho detto, sono testi poetici di libera riflessione teologica sulle parole dell’evangelista. Mentre le Arie e gli Ariosi dei solisti, sempre su testi liberi, assumono il carattere di meditazioni più intime, personali, sugli eventi proposti dal testo evangelico.
I Corali – sempre cantati dal Coro – impiegano testi comunitari della preghiera liturgica luterana, e costituiscono la risposta che i fedeli, insieme riuniti, condividono, in un clima di raccoglimento e di contemplazione.
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- Da dove vengono i testi liberi del libretto?
Non conosciamo l’autore o non conosciamo gli autori. Quel che possiamo dire è che, al tempo di Bach, circolava un testo ispirato alla Passione – la Brockes-Passion – tipico del luteranesimo barocco, segnato da influssi pietistici, senza peraltro coincidere col pietismo a noi più noto: da questo riprende aspetti affettivi popolari, temperandone tuttavia le immagini più epiche o esagerate. In buona misura i testi liberi della Johannes-Passion provengono da quella letteratura.
- Quali momenti – o numeri del libretto – della Johannes-Passion vuoi segnalare ai lettori, in particolare?
Ci sono momenti che voglio segnalare per la loro particolare altezza e bellezza. L’Aria del soprano al n. 9 del libretto, ad esempio (qui) che segue il Recitativo di Giovanni 18,15a in cui si dice che Simon Pietro «e un altro discepolo» stavano seguendo Gesù (nel cortile del sommo sacerdote). Questo «altro discepolo», secondo la tradizione, viene normalmente identificato con lo stesso evangelista Giovanni, che doveva essere, a quel tempo, un ragazzo. Sia il testo che la musica di Bach seguono questa tradizione consolidata. L’Aria è intonata, infatti, da un soprano, ossia da una voce femminile fresca, limpida, innocente come può essere quella di un ragazzino, innocente e puro, non corrotto dal male che sta scorrendo a fiumi nella Passione di Gesù.
Il testo dice: «anch’io ti seguo con passi di gioia/e non ti lascio/mia vita, mia luce/vai pure avanti nella tua corsa/e non smettere/di trarmi, di spingermi, di pregarmi». Queste parole – messe in musica da Bach – diventano un momento di pura gioia, di entusiasmo giovanile. Il tempo scelto dal musicista è quello ternario, ossia il tempo della danza: Bach “descrive” i «freudige Schritten», ossia i passi gioiosi del giovinetto che segue il suo Messia di cui si fida, perché il Cristo ha preso tutto il suo cuore.
La voce, femminile del soprano – si può azzardare – non è soltanto la voce limpida della giovinezza, ma è anche la voce femminile innamorata della figura maschile, che lo segue, ovunque egli vada, felice, senza paura del pericolo che sta correndo. Sono percepibili gli echi dal Cantico dei cantici. Un altro momento cruciale della Johannes-Passion si pone tra fine della prima e l’inizio della seconda parte.
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- Vuoi ricordare perché, anche questa Passione di Bach, è divisa in due parti?
La liturgia luterana, al tempo di Bach – e quindi al tempo delle prime esecuzioni di queste Passioni del Venerdì Santo nelle chiese di Lipsia – era, appunto, distinta in due parti: tra le due parti si collocava il lungo sermone del vescovo o del pastore, che poteva durare anche un’ora.
Dobbiamo immaginare, dunque, che, in quel Venerdì Santo del 7 aprile 1724, la musica della Johannes-Passion di Bach abbia fatto da cornice alle parole centrali del vescovo luterano sulla Parola del vangelo di Giovanni.
- Come Bach ha ideato la transizione tra le due parti?
Attraverso due Corali – quindi due preghiere – simili, quelle che, rispettivamente, chiudono la prima parte e aprono la seconda (qui e qui).
I due testi, dal punto di vista grammaticale, sono speculari. Quello che chiude la prima parte, recita: «Petrus, der nicht denkt zurück», «Pietro, colui che non pensa indietro (letteralmente)», ossia «colui che «non ragiona», o «non riflette». Mentre quello che apre la seconda parte, canta: «Christus, der uns selig macht», «Cristo, Colui che ci rende beati» o «ci beatifica». Se notiamo, le due frasi relative sono rette dal pronome «der», «colui che», e sono, appunto, speculari.
Si potrebbe dire che Pietro – come ciascuno di noi – è colui che non è in grado, con le sue sole forze, di farcela, di resistere al male: realistica costatazione della umana debolezza.
Cristo è Colui che abilita e che conferisce una speciale forza contro il male, con la sua grazia: anche la musica “dice” questo. Ciò, appunto, fa da ponte tra la prima e la seconda parte della liturgia luterana.
- Come Cristo conferisce tale grazia, secondo la musica di Bach?
Per rispondere. andiamo all’Arioso del basso al n. 19 del libretto (qui) e all’Aria del tenore al n. 20 (qui). Gli Ariosi come le Arie costituisco le parti più intime della meditazione personale del fedele, come ho detto. Questi numeri, quindi, sono da prendersi quali meditazioni del singolo che ha appena contemplato uno dei momenti più truci e commoventi della passione, ossia la flagellazione.
Dal punto di vista testuale notiamo un tratto tipico della librettistica dell’epoca: quello del cosiddetto “petrarchismo”. Petrarca è vissuto in Italia nel Trecento. Ma, in Germania, tra Seicento e Settecento, ci si rifaceva ancora a suoi stilemi poetici. Qui si fa uso del cosiddetto “contrasto ossimorico”. Nel testo dell’Arioso, infatti, c’è l’ossimoro «mit ängstlichem Vergnügen», «ansioso diletto» e «mit bittern Lasten», «amaro piacere». Dopo di questi si incontra la parola-chiave: «Himmelsschlüsselblume», solitamente tradotta con «primula». «Himmelsschlüsselblume» è, infatti, letteralmente, la «primula celeste», ove la primula è il Cristo flagellato: vermiglio come una primula.
Andando a scavare nella etimologia (“Himmel”: cielo; “Schlüssel”: chiave), intuiamo, tuttavia, una lettura teologico-spirituale più profonda della flagellazione: il flagellato diviene, dunque, il fiore del cielo, il fiore che dischiude il cielo al singolo fedele contemplante la scena, in cui si compenetrano sentimenti, di per sé contrastanti, di apprensione e di serenità, di angoscia e di divina consolazione.
Il testo dell’Aria n. 20 espande lo stesso pensiero, laddove il dorso coperto di sangue del Signore Gesù è paragonato all’arcobaleno, con un chiaro riferimento alla visione antico-testamentaria di Noè all’uscita dall’arca della salvezza (cfr. Genesi 9,12-13).
Ma più delle parole, può la musica di Bach: l’Aria è bellissima, col tenore che canta sul suono di uno strumento ad arco che porta davvero ad immaginare un arcobaleno disteso nel cielo. È un’Aria molto lunga che obbliga a sostare nella scena, di per sé sconvolgente, della flagellazione: perché proprio il servo sofferente, privo di apparenza e di bellezza (cfr. Isaia 53,2), è il segno della grazia divina – «Gottes Gnadenzeichen»: puro dono di Dio.
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- Quali altri quadri musicali possiamo attraversare verso il compimento della Johannes-Passion?
Al n. 24 del libretto – Aria del Basso con Coro (qui) – possiamo cogliere una sorta di accelerazione: una vera e propria corsa, accesa e sostenuta dalla musica, verso il compimento della Passione Secondo San Giovanni.
Tutti i fedeli, in questo momento, sono invitati a correre verso il Golgota, alla collina che, secondo la teologia giovannea, non è semplicemente il «luogo detto del Cranio», ossia il luogo della morte, bensì un luogo di grazia: là «Correte anime», «fuori dall’abisso»!
Volutamente Bach crea una situazione di grande concitazione – e pure di grande difficoltà musicale per gli esecutori – ponendo note e accenti dove non ci si aspetta. Ciò rende molto bene l’idea di una corsa che ha il senso della fuga, dell’allontanamento dall’abisso del male.
Non solo: visti i tempi imposti dal compositore, la musica imprime la sensazione di una vera e propria fuga da questo tempo, verso un tempo senza più tempo: verso l’eternità.
- In quale altra “stazione” della Johannes-Passion possiamo sostare?
Sicuramente al Corale al n. 26 del libretto: «in meines Herzens Gründe», «nel profondo del mio cuore». È una preghiera, una delle mie preferite. Ogni cristiano, in ogni tempo, può recitarla: «nel profondo del mio cuore/solo il tuo Nome con la tua Croce/in tutte le ore brilla/per questo posso essere felice».
Qui Bach, con tanto respiro, con tanta luce, scrive una musica che si va depositare direttamente all’interno del cuore, conferendo tanta pace (qui).
- Quale quadro musicale possiamo prendere a compimento della Johannes-Passion?
Vorrei sostare ancora – con tutti i lettori – sull’Aria del Contralto al n. 30 del libretto (qui): a mio giudizio, uno dei punti più alti della musica di Bach e quindi di tutta la musica: «Es ist vollbracht!», «Tutto è compiuto!», l’ultima frase pronunciata dal Signore Gesù sulla croce nel vangelo di Giovanni, il punto culminante della teologia giovannea.
Il Recitativo precedente (n. 29) si chiude proprio con le stesse parole in “vox Christi”: «È compiuto!» che il Contralto, con ogni fedele cristiano, riprende e medita. L’Aria è suddivisa in tre sezioni nella forma A/B/A, tipica di Bach, in cui le parti estreme – iniziale e finale – si sovrappongono sulle parole «es ist vollbracht!», «è compiuto!».
Il compimento è reso da un dialogo dolentissimo, ma dolcissimo, tra il Contralto e la viola da gamba, uno strumento già desueto all’epoca di Bach ma che questi elegge per una particolare relazione con la voce umana. Mi azzardo ad evocare, al proposito, la figura di Maria che, insieme ad ogni fedele, abbraccia, qui, su queste note, il corpo esanime del figlio e, con questo, riceve la vita «vera» del Figlio di Dio, nell’amore.
Al centro del chiasmo musicale – cioè, nella sezione B – Bach, sorprendentemente, contrappone, alla musica raccolta del compianto, tutt’altra musica: una musica di “vittoria”, perché nella morte Cristo vince la morte. Gli archi mimano suoni di tromba, a significare che, in questa morte, è compresa, in potenza, la risurrezione. Trovo che la soluzione musicale di Bach rifletta molto coerentemente – e magistralmente – la teologia giovannea.
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- Come si conclude la Johannes Passion?
Con un Coro al n. 39 e un Corale al n. 40 (qui). Anni fa pensavo che, all’economia dell’opera, bastasse la conclusione del Coro e che, quindi, il Corale fosse pleonastico: una doppia conclusione. Ora penso che Bach abbia avuto “ragione”, perché si tratta della stessa conclusione. È, ancora, la teologia di Giovanni a risaltare.
Il Coro conclusivo è una sorta di ninna nanna che amorevolmente culla «heiligen Gebeine», le «ossa Sante», come recita il testo, che poi prosegue: «riposate in pace e portate anche me alla pace». Con ciò, ritorna il motivo teologico della «primula celeste», ovvero dell’azione della grazia. Il corpo morto di Cristo – con le sue «ossa Sante» – non è materia passiva destinata al degrado, bensì potenza attiva divina che «apre il cielo» e «chiude l’inferno».
La musica esprime l’effetto dell’azione con dolci passi di danza ricavati tramezzo a toni più drammatici e gravi dell’orchestra, perché il momento descritto è quello della sepoltura dentro l’oscurità della terra, in cui il Cristo entra, ma per salvare
Il Corale finale che segue il Coro, musicalmente, è bellissimo: molti musicisti hanno chiesto, agli esecutori delle loro volontà testamentarie, di eseguirlo al loro funerale. È preannuncio della risurrezione, nella speranza cristiana: la comunità dei fedeli crede! Ogni fedele chiede quindi di essere risvegliato dalla morte: «affinché i miei occhi possano vederti/con grande gioia/o Figlio di Dio/mio Salvatore Trono della Grazia».
Nell’ultimo Corale risuona l’«Herr» col quale si era aperta la lode ispirata dal Salmo 8, a coronare la regalità e la Signoria di Cristo sulla vita personale e comunitaria dei cristiani.
Suggerisco ai lettori di tenere davanti, nell’ascolto, il testo in tedesco della Johannes-Passion di J.S. Bach, la traduzione in italiano (qui). È importante coglierne i dettagli e meditarne le parole innanzi tutto. Come ho detto, pur nei limiti del contesto dell’epoca, si tratta di un testo che ha profondità spirituale.
Per ascoltare la Johannes-Passion, dall’inizio alla fine, bisogna sapersi prendere un tempo assai disteso. Consiglio perciò, specie a chi si approcci a quest’opera per la prima volta, di partire dall’ascolto di brani scelti, che possono essere alcuni che ho qui indicato. Sicuramente raccomando l’ascolto del Coro iniziale e del Corale finale, ossia quei brani che mai non mancano di produrre un’emozione immediata.
Tra le registrazioni fruibili suggerisco di privilegiare quelle realizzate in esecuzioni con strumenti dell’epoca di Bach: questo perché la qualità del suono meglio aderisce alle scelte dell’autore. Nel novero eccellono le registrazioni dei maestri Nikolaus Harnoncourt (qui) e Ton Koopman (qui). Ma, naturalmente, sono in circolazione altre bellissime registrazioni realizzate con strumenti d’orchestra moderni: ricordo le edizioni storiche del maestro Karl Richter (qui), ma anche dei maestri inglesi John Butt (qui) e John Eliot Gardiner (qui), con visioni complementari alla tradizione tedesca classica.