È il poeta britannico Neville Braybrook (1923-2001) a mettere sulle labbra del buon ladrone una stupenda confessione.
Il momento peggiore arriva
Quando ti dondolano inchiodato a un albero morto
Segue un tonfo accecante quando lo lasciano
Cadere nella terra
Qualcuno dice che c’è come un black-out
Lo saprò presto
Gli alberi dovrebbero essere i luoghi del canto
Ora mi stanno sollevando verso l’alto
I soldati stanno tirando le corde
Io mi innalzo incontro alla mia morte
Poi c’è come un vuoto nella mente…
Quando riprendo i sensi non sento alcun canto
Le mie ossa urlano di dolore
Dei cani abbaiano, ma non ci sono ladri in giro
Noi stiamo lontano da Gerusalemme in giorni come questi
L’uomo che mi sta accanto parla di tanto in tanto
Ha sete
Grida a suo padre in cielo
Chiede perdono per quelli che gli stanno attorno
La notte scorsa nelle celle c’era qualcuno che diceva che potrebbe essere un re
Mi sento spinto a parlargli
Dico «Ricordati di me quando arriverai nel tuo regno»
Con voce chiara risponde «Tu sarai là prima che il sole tramonti»
Ammutolisco davanti a tale promessa
Le sue parole mi tolgono l’ultima paura
Prima che cada la notte sarò molto lontano
Da questa crudele collina con i suoi demoni
Comincio a sentirmi come un uccello che sta per essere liberato in un cielo infinito
La mia forza mi sta lentamente abbandonando…
Sotto di noi c’è un gruppo di donne pazienti
Una continua a ripetere «non dimenticate mai quello che mio figlio ha promesso»
Talvolta parla come se stesse pregando
«I nostri padri hanno confidato in Dio ed egli li ha liberati»
Quanto è semplice la fede delle donne
Mia madre è morta molti anni fa
Ora ne ho un’altra: O Signora dal Manto Blu proteggimi e prenditi cura di me
Sta diventando sempre più difficile respirare
La lingua mi si incolla nella bocca secca…
Ieri nessuno è venuto alla prigione
Non contavo per nessuno
E invece per questo uomo accanto a me io conto
Vorrei inginocchiarmi ai suoi piedi
Ma non posso muovermi
Sono le tre e il sole ha lasciato il cielo
L’oscurità è dovunque
Poi d’improvviso mi accorgo che non sono più inchiodato a un albero morto
Devo solo tendere le mani e qualcuno le afferra
Commento
Dal paesaggio affollato dell’Esecuzione, la scena ora si concentra su due crocifissi: Gesù e il ladro che poi sarà chiamato “buono”. Il quadro degli astanti non è dimenticato, ma non è con loro che i due hanno un rapporto diretto.
La scelta di Neville Braybrook, un grande uomo di lettere, che nel Necrologio del Guardian per la sua morte avvenuta il 14 luglio 2001 a 78 anni, fu descritto come persona «amorevole e amabile, che sapeva tollerare gli sbagli altrui ed era caritatevole nei suoi giudizi», sembra la migliore introduzione a questa “confessione” in cui il poeta si mette nei panni del ladro buono.
La narrazione inizia da quando viene alzato il palo sul quale il ladro è stato inchiodato. È un «albero morto», e l’immagine tornerà alla fine. Il ladro ricorda che gli «alberi dovrebbero essere i luoghi del canto» (immagino siano i suoi ricordi di fanciullo, quando andava per prati a caccia di nidi) ma, come dirà, dalla croce sente solo un abbaiare di cani (e qui il ricordo va a quando era in giro per rubare).
L’albero è un’immagine centrale in tanta poesia della passione (arbor, lignum): esso raffigura la croce, come «albero della vita» che riscatta la colpa avvenuta ai piedi dell’altro albero, quello della «conoscenza del bene e del male», affinché, lo stesso «legno» della disgrazia fosse guarito dal «legno» della vittoria.
Ma il ladro era lontano da questi pensieri, che non erano ancora nati. Osserva il condannato vicino a lui, e ricorda di aver sentito in cella che quell’uomo forse era «un re». Non ci pensa due volte, e scatta la richiesta, gentile: «Ricordati di me nel tuo regno», dice, e la risposta lo ammutolisce: «Tu sarai là prima che il sole tramonti». Splendida l’immagine con cui traduce il sollievo che quella parola gli offre: «Comincio a sentirmi come un uccello che sta per essere liberato in un cielo infinito».
Poi il suo sguardo si posa su «un gruppo di donne pazienti», tra le quali campeggia Maria, che non compare con il suo nome, che probabilmente il ladro neanche conosceva, ma ne riceve uno nuovo: quello di “madre”. Poche parole le sue, praticamente due frasi: chiede che si ricordi di quanto suo figlio ha promesso e recita un versetto di salmo. Sono parole di fiducia, quasi un controcanto e una risposta al «Mio Dio, perché mi hai abbandonato?» di Marco e Matteo.
E il ladro cresce nella fiducia: dopo la risposta di Gesù, ora scopre di avere un’altra madre, che rimpiazza la sua che è morta.
La fine è gloriosa. «Ieri nessuno è venuto alla prigione / Non contavo per nessuno / E invece per questo uomo accanto a me io conto». La fiducia è premiata, il ladro passa dall’insignificanza con cui era considerato, all’accoglienza che gli viene offerta da un «re» e da sua madre! E, nel buio più assoluto dell’ora nona, si accende per lui una luce che gli salva la vita.
La conclusione è tanto sintetica quanto memorabile: «Poi d’improvviso mi accorgo che non sono più inchiodato a un albero morto / Devo solo tendere le mani e qualcuno le afferra». Nell’entusiasmo del momento, perfino le mani si schiodano, e lasciano intuire un grande abbraccio.