Una preghiera familiare possibile e desiderabile deve avere i linguaggi di casa: semplice, alla portata di tutti, colorata, affettiva, sensibile, gestuale. Intervista a Matteo Dal Santo (diocesi di Milano) in vista della giornata di studio “Formare alla preghiera cristiana. Una strada per rigenerare le comunità”.
Il bisogno di pregare, le forme della preghiera cristiana, la preghiera in famiglia: saranno questi i temi affrontati nella giornata di studio “Formare alla preghiera cristiana. Una strada per rigenerare le comunità”, organizzata a Padova dalla Facoltà teologica del Triveneto.
L’appuntamento è martedì 12 dicembre 2023 (ore 14.30-17-30) con i contributi di Antonio Bertazzo (Facoltà teologica del Triveneto), Loris della Pietra (Istituto di Liturgia pastorale Santa Giustina, Padova) e Matteo Dal Santo (diocesi di Milano).
In particolare, Matteo Dal Santo, responsabile per il Servizio della catechesi dell’arcidiocesi di Milano, metterà a fuoco i riti della vita e la preghiera in famiglia.
L’esperienza della pandemia da Covid 19 ha rivelato come, negli anni, le proposte parrocchiali abbiano accentrato ogni energia, togliendo attenzione alle forme di preghiera in casa, umili, feriali, ma vere e autentiche, perché legate agli affetti più cari.
In famiglia non si può ripetere la liturgia dell’assemblea radunata, ma da essa possono nascere segni e parole che rivelano la presenza di Dio nei passaggi fondamentali di una giornata e di una storia familiare.
Approfondiamo l’argomento in questa intervista.
– Professor Dal Santo, si può pregare nella vita quotidiana familiare? In che modo?
Certamente si può pregare in famiglia. È stato possibile e abituale fino a non molto tempo fa. Oggi occorre, però, proporlo e offrire strade possibili e sostenibili, perché la vita odierna è veloce e quindi chiede di rimanere più in superficie. Le soste, anche quelle della preghiera, rallentano, spezzano il ritmo. È il contrario della velocità e della superficie, ma questa è proprio la grazia a cui introdurre.
Una preghiera familiare possibile e desiderabile deve avere, però, i linguaggi di casa: semplice, alla portata di tutti, colorata, affettiva, sensibile, gestuale.
– Come la preghiera in casa può rinnovare anche la liturgia in chiesa?
La nostra tradizione occidentale ha separato la preghiera in casa da quella in chiesa. La tradizione ortodossa, ad esempio, ha tenuto un forte legame tra gesti, oggetti e tempi della liturgia e quelli della casa.
Questo lavoro di tessitura lo ha fatto per secoli la pietà o spiritualità popolare, ma poi è stata guardata con sospetto, perché non era riconducibile a ciò che avveniva in chiesa. Sarebbe una grazia oggi una reciproca contaminazione dei linguaggi.
– Come una parrocchia può sostenere e accompagnare la preghiera in casa?
Creando occasioni, offrendo semplici riti di famiglia: il centro tavola dell’Avvento, il presepe, la preghiera davanti a un’icona, le uova colorate di Pasqua, il canto per esprimere la gioia. Non solo però preghiera in casa, ma riti di famiglia che fanno uscire: la spesa che diventa solidarietà con i più poveri, un pellegrinaggio, una visita artistica e di fede in una chiesa, la memoria del proprio battesimo.
– Quale ruolo hanno le feste cristiane, anche della pietà popolare?
Le feste sono grandi narrazioni. La pietà popolare (papa Francesco preferisce il termine “spiritualità popolare”) ha sempre provato a “rendere visibile” il mistero di Dio. San Francesco ha inventato il presepe perché «si vedesse con gli occhi del corpo il mistero dell’incarnazione».
La spiritualità popolare cerca forme sensibili, attraverso oggetti, cibi, regali, colori, canti e preghiere, per sentire più vicino il mistero celebrato. C’è una sinergia da riscoprire tra liturgia e spiritualità popolare, perché sono entrambe forme di incarnazione, di ingresso al mistero. Non sono sullo stesso piano, certamente, ma possono illuminarsi a vicenda.