E tutta l’assemblea dei figli d’Israele mormorò contro Mosè e contro Aaronne nel deserto. I figli d’Israele dissero loro: «Perché non ci è stato dato di morire per mano del Signore nel paese d’Egitto, quando stavamo presso la pentola di carne e mangiavamo pane a sazietà? Perché ci avete fatto uscire in questo deserto per far morire di fame tutta questa assemblea?». Il Signore disse a Mosè: «Ho udito le mormorazioni dei figli d’Israele. Parla loro così: “Tra le due sere mangerete carne e al mattino vi sazierete di pane; saprete che io sono il Signore, vostro Dio”. Così, verso sera avvenne che salirono delle quaglie e ricopersero il campo; e al mattino c’era uno strato di rugiada intorno al campo. Poi lo strato di rugiada scomparve, ed ecco sulla superficie del deserto una cosa fine e tonda, minuta come la brina sulla terra. Quando i figli d’Israele la videro, si dissero l’un l’altro: “Man hu (Che cos’è)?”, perché non sapevano che cosa fosse. E Mosè disse loro: “Questo è il pane che l’Eterno vi ha dato da mangiare. Ecco quello che il Signore vi ordina: “Raccoglietene ognuno per quanto ne mangia, un omer a testa, prendetene secondo il numero di quanti siete, ognuno nella propria tenda”». I figli d’Israele fecero così, e raccolsero chi molto, chi poco. Misuravano a omer, e non ne aveva troppo chi aveva raccolto molto e non ne mancava a chi aveva raccolto poco: ognuno aveva raccolto secondo quanto mangiava. Mosè disse loro: «Nessuno ne avanzi per domani». Ma essi non ubbidirono a Mosè e alcuni ne avanzarono fino all’ indomani; e sorsero dei vermi e iniziò a puzzare; e Mosè si adirò contro costoro. Ne raccoglievano ogni mattina, ognuno secondo quanto ne mangiava: quando il sole scaldava, si scioglieva (Esodo 16: 2-3/11-18).
“Noi che cosa siamo per mormoriate contro di noi?” È questa la domanda che Mosè pone ai figli di Israele nei versi 6 e 8 del nostro testo. I figli d’Israele iniziarono a mormorare contro le loro guide: Mosè e Aronne.
Si erano levati dagli accampamenti precedenti ed avevano compiuto già diversi spostamenti: avevano già affrontato delle prove, ma avevano già dimenticato come si erano concluse quelle prove.
Il capitolo 15 ci regala un bellissimo Salmo di lode intonato da Mosè e dal popolo di fronte al soccorso operato dall’Onnipotente, eppure già si conclude con la prima mormorazione contro Mosè presso le acque di Mara.
E la scena che si ripete è sempre la stessa. La comunità mormora.
Lo fa prima al suo interno contro le proprie guide e poi direttamente con loro, contro Mosè ed Aronne: è a loro che imputa la colpa di questo agire sconsiderato.
Non hanno fiducia nell’intervento di Dio e si accaniscono contro i Suoi rappresentanti; non seguono i consigli delle loro guide e si accaniscono contro i Suoi rappresentanti.
Mormorare
L’inizio di queste storie è l’inizio di tanta amarezza per Mosè, Aronne e quanti dopo di loro guideranno il popolo: perché noi come comunità siamo portati a comportarci così.
Non mettiamo in discussione il nostro agire direttamente con Dio ma ecco mormoriamo contro le nostre guide.
E Mosè disse: «Vedrete la gloria del SIGNORE quando stasera egli vi darà carne da mangiare e domattina pane a sazietà; perché il SIGNORE ha udito le vostre mormorazioni contro di lui. Noi infatti, che cosa siamo? Le vostre mormorazioni non sono contro di noi, ma contro il SIGNORE».
Questa è una prima cosa importante da cogliere in questo passo. Nel libro di Esodo il tema del mormorare torna più e più volte e non si polemizza contro di esso in maniera teorica, ma se ne evidenzia la negatività passo passo, in ogni situazione.
Il mormorare è segno di distorsione, di una mancanza di fede.
Solo nel momento in cui la smettiamo di autocommiserarci e rivolgiamo il nostro appello e il nostro pensiero a Dio possiamo risollevarci.
Per farlo dobbiamo essere in grado di assumerci le nostre responsabilità e le nostre mancanze.
Di certo il popolo era provato ed era stanco, ma perché non invoca l’aiuto di Dio ma mormora contro Mosè? È questo il punto di Esodo. È la manna una prova?
E che tipo di prova può essere se non una prova spirituale, una prova per la nostra fede?
Iddio non può essere tentato, chi si è rivolto al Santo d’Israele ha visto la sua Gloria intervenire nelle proprie vite: perché Iddio ascolta le nostre preghiere.
Ma il popolo non si rivolge a Dio e così quando egli manda pane dal Cielo, non crede al Signore e fa di testa sua.
Allora che prova è, se non una prova spirituale?
Le scelte e il riscatto
Bisognerebbe ripensare ai passi ed alle scelte compiute. Spesso le ragioni delle nostre situazioni attuali sono lì davanti ai nostri occhi, ma noi preferiamo nasconderle nelle nostre tende.
Chiediamoci se le scelte che abbiamo compiute sono state fatte seguendo i consigli di Dio o i nostri interessi personali.
Crediamo davvero che Iddio possa abbandonare una comunità di figlie e figlie al suo destino?
La gloria di Dio non smise mai di scendere sull’accampamento d’Israele ogni sera, anche dopo le mormorazioni peggiori.
Noi sappiamo il perché siamo arrivati al punto in cui siamo, solo che preferiamo mormorare anziché discutere con Dio e preferiamo farlo contro Mosè perché contro Dio non avremmo alcuna possibilità.
La manna era questa possibilità di riscatto, nonostante fosse nata da una situazione di completa mancanza di fede da parte del popolo, Iddio la tramuta in possibilità di salvezza: essa è salvezza spirituale.
Ma il popolo vuole dell’altro cibo.
Iddio avrebbe potuto smettere di prendersi cura di loro, ma non lo fece: la manna fu data loro per tutto il tempo in cui il loro agire scellerato li costrinse a vagare per quarant’anni nel deserto.
Perché Iddio è fedele e Giusto, mentre noi sappiamo lamentarci del pane che scende dal cielo.
Il pane
Ogni celebrazione delle Shabbat è accompagnata da due forme di pane – challah – coperte da due tovagliette che rappresentano la rugiada del mattino che ricopriva la manna.
La Torah ci insegna che anche in questa situazione Iddio richiese loro il rispetto del giorno a lui dedicato: il sabato, perché noi dimentichiamo facilmente.
Per questo il miracolo del sabato è sottolineato con due porzioni di pane, come doppie furono le porzioni della manna al venerdì.
Dietro queste semplici piccole e bellissime storie, ci sono delle lezioni che sono eterne.
C’è qualcosa di scritto che dovrebbe essere iscritto nel nostro spirito, nei nostri cuori e rammentato sempre.
Iddio non vuole che continuiamo a ripetere gli stessi errori e ci lascia in queste storie un segno da ripetere e celebrare in memoria della sua Misericordia.
Riposare da noi stessi
Lo Shabbat – il giorno del riposo da noi stessi – ci ricorda che Dio può e sa operare con grande pazienza nelle nostre vite.
Tutto ciò che riceviamo dal cielo dovrebbe essere accolto con gioia e condiviso: non conservato gelosamente e nascosto.
Nulla può essere nascosto allo sguardo di Dio. Tutto ciò che ci affanniamo a metter da parte svanirà con le prime luci del sole. Ciò che rimarrà sarà solo quello che avremo raccolto secondo le istruzioni di Dio con gli altri, assieme, come parte di una moltitudine.
C’è uno spazio che dovrebbe essere mantenuto e custodito per noi nel nostro animo.
Un momento in cui ci ricordiamo che Iddio risponde anche alle nostre mormorazioni con la sua infinita Misericordia e che il cambiamento è la sola risposta a questo meraviglioso dono che è la manna.
Essa è cibo per le nostre anime, per le nostre comunità. Amen