La decisione del vescovo di Lourdes, Jean-Marc Micas, di «spegnere» le opere di Marko Ivan Rupnik che ornano gli esterni della basilica del santuario mariano (2 luglio), le affermazioni del prefetto del Dicastero vaticano per la comunicazione, Paolo Ruffini, a difesa del mantenimento dei mosaici e dell’uso delle loro immagini (Atlanta, USA, 21 giugno) e la lettera dell’avvocato di cinque vittime (Laura Sgro) ai vescovi che hanno in diocesi opere dell’artista sloveno per chiederne l’oscuramento (28 giugno) sono gli ultimi eventi che ruotano attorno al futuro delle opere e dei mosaici dell’ex gesuita.
Spegnere i giochi di luce
Dal 2008, nel 150° anniversario delle apparizioni, la facciata del santuario francese ospita i mosaici dello sloveno sui misteri luminosi del rosario. Dopo l’esplosione degli scandali, il vescovo ha creato una commissione per motivare una decisione in merito. Al piccolo gruppo di lavoro (rettore, vittima, esperto d’arte sacra, giurista per i diritti d’autore, psicoterapeuta) è stato chiesto di fornire gli elementi per una decisione, con una riflessione distaccata e senza precludersi alcuna soluzione. Nel comunicato del 2 luglio il vescovo scrive:
«Ad oggi constato che i pareri sono molto difformi e talora disparati. È opportuno lasciare i mosaici dove sono? Oppure distruggerli? È meglio toglierli ed esporli altrove? Nessuna soluzione è unanime. Le prese di posizione sono vive e appassionate. Per quanto mi riguarda, la mia opinione personale è chiara: l’attuale situazione non ha niente a che vedere con altre opere il cui autore e le cui vittime sono morti, talora da alcuni secoli. Qui le vittime sono vive come anche l’autore.
Ho compreso, lungo questi mesi, che non era mia responsabilità chiarire lo statuto di un’opera d’arte, la sua “moralità” da distinguere da quella del suo autore. Il mio compito è di vigilare affinché il santuario accolga tutti e, in particolare, quanti soffrono; fra di essi, le vittime di abusi e di aggressioni sessuali, giovani e adulti. A Lourdes devono avere il primo posto le persone provate e ferite che hanno bisogno di consolazione e di sostegno.
È la grazia propria di questo santuario: niente deve impedire loro di rispondere al messaggio di Maria che li invita al pellegrinaggio. Poiché questo è diventato impossibile per diversi pellegrini, il mio avviso personale è che sarebbe preferibile di smontare questi mosaici. Ma la soluzione non fa l’unanimità. Incontra anzi una vera opposizione. Il tema solleva le passioni. Oggi, la migliore decisione da prendere non è ancora matura e la mia convinzione trasformata in decisione, non sarebbe compresa, aggiungendo ulteriori divisioni e violenze».
Il passo considerato possibile e immediato è questo: «i mosaici non saranno più illuminati e usati attraverso giochi di luce durante la processione mariana che raccoglie i pellegrini ogni sera». Esito considerato da alcuni come «un ennesimo rinvio della soluzione a data da destinarsi» (F. Tourn), anche perché i mosaici di Lourdes sono stati collocati in modo da essere anche smontati.
Per i più maliziosi, l’esito dell’indicazione del vescovo potrebbe avere trovato forma nel colloquio con papa Francesco di alcuni giorni prima (20 giugno). Le vittime, attraverso il loro avvocato considerano la scelta con favore, «ma è necessario che a questo passo se ne aggiungano altri, in breve tempo».
L’arte non si distrugge
«Togliere, cancellare, distruggere l’arte non è mai una buona scelta». L’affermazione è parte delle risposte che il prefetto del Dicastero per la comunicazione, Paolo Ruffini, ha dato ad alcuni giornalisti in occasione di un convegno dei media cattolici ad Atlanta (USA), il 21 giugno scorso.
Interrogato circa il persistente uso di immagini delle opere di Rupnik da parte del Dicastero il prefetto ha fatto notare che non viene pubblicata nessuna nuova immagine, ma solo quelle già in archivio. A una rinnovata domanda ha risposto: «Lei pensa che togliere l’immagine di un’opera d’arte dal sito significhi una maggior vicinanza alle vittime?». Alla riposta positiva dell’interlocutrice ha ribattuto che si sbagliava. Per poi aggiungere che rimuovere le opere «non è una risposta cristiana e non aiuta la vittime».
La particolare sensibilità americana, attraversata da acute contrapposizioni su questi temi, ha fatto ritenere ampiamente ambigue e inappropriate le risposte di Ruffini. Anche perché nel Dicastero è attiva Nataša Govekar (responsabile della direzione teologica e pastorale), consacrata del Centro Aletti, co-autrice con Rupnik di alcuni libri e ritratta assieme a p. Spidlik e allo stesso Rupnik nella cappella vaticana.
Nella querelle è entrato con decisione il card. Sean O’Malley, presidente della Pontificia commissione per la tutela dei minori. Ha scritto ai dicasteri lo scorso 26 giugno (cf. qui su SettimanaNews):
«La prudenza pastorale impedisca di esporre o di utilizzare immagini di opere d’arte in un modo che potrebbe implicare una discolpa o una sottile difesa (dei presunti autori di abusi) oppure essere indice di indifferenza per il dolore e la sofferenza di tante vittime di abusi. (…) Dobbiamo evitare di trasmettere il messaggio che la Santa Sede non tiene conto del disagio che tanti stanno soffrendo».
L’invito a una saggia prudenza pastorale e alla vicinanza alle vittime ha per ora chiuso la disputa.
Non distruggere, dislocare altrove
Sempre relativa alle opere d’arte di Rupnik è la lettera inviata ai vescovi interessati da parte dell’avvocato di cinque vittime, Laura Sgro, il 28 giugno. Una delle vittime ha detto a La Croix (28 giugno):
«Non è questione di distruggere, né di pronunciarsi sulla qualità dei mosaici. E neppure di pronunciarsi e anticipare il verdetto del processo canonico (a carico di Rupnik) in corso. E neppure di prendere posizione diretta nel dibattito attuale riguardante la distinzione degli artisti dalle loro opere. Quello che noi chiediamo è che le opere siano dislocate altrove, in altri luoghi, ma non nei luoghi della preghiera. (…) Più in generale, ciò che auspico è che ci sia coerenza fra la linea ufficiale della Chiesa che rilancia un messaggio di comprensione e d’ascolto delle vittime e le proprie decisioni, nel momento in cui vanno prese».
Per Sara Larson, responsabile di un’organizzazione di supporto alle vittime, «l’uso continuo dell’arte di Rupnik è incredibilmente doloroso per molti sopravvissuti agli abusi, che vedono tutto ciò come emblematico di una continua mancanza di preoccupazione per le necessità dei “sopravvissuti”».
In attesa della sentenza
Del processo a Rupnik, avviato dopo la rimozione della prescrizione da parte di papa Francesco nell’ottobre del 2023, si sa molto poco. C’è chi teme il suo affossamento. Alcune battute estemporanee del capoufficio della sezione disciplinare del Dicastero per la dottrina della fede, mons. John Joseph Kennedy, attestano che l’esame del caso è a un livello avanzato.
Luis Badilla ha scritto: «È probabile che il processo canonico contro l’ex gesuita sloveno […] accusato da numerose vittime (un uomo e numerose donne) di abusi sessuali, nonché di potere e coscienza, sia in dirittura di arrivo verso la sentenza. A meno di una follia suicida in Vaticano, Rupnik dovrebbe essere dimesso dallo stato clericale» (Osservazioni casuali, n. 23).
Più complesso pensare alla scomunica, visto che, nel 2020, gli è stata comminata e subito tolta. Si esclude di utilizzare nei suoi confronti l’accusa di «falso misticismo», usata in passato per censurare i vaneggiamenti pseudo-mistici dei fratelli Philippe, e, più recentemente, per un caso discusso in Spagna. Ma il diritto canonico non lo prevede come delitto e il prefetto del Dicastero per la dottrina della fede, il card. Victor Manuel Fernandez, ha dichiarato che il termine può assumere diversi significati e che non è adatto alle procedure canoniche.
Ad oggi Rupnik non ha mai risposto pubblicamente alle accuse e, fatta eccezione per il primo giudizio, non ha mai partecipato alle discussioni che lo riguardavano, né nei tribunali, né all’interno dei confronti fra gesuiti. Per quanto si sa, non ha mai incontrato le sue vittime. I testi a sua difesa, come la lettera agli amici del Centro Aletti (17 giugno 2023) accusano i gesuiti di «favorire una campagna mediatica basata su accuse diffamanti e non provate (che hanno esposto a forme di linciaggio la persona di p. Rupnik e tutto il Centro Aletti), rispetto al fornire agli organi di stampa la corretta informazione fondata su atti e documenti in proprio possesso, dimostrativi di una verità diversa da quanto veniva pubblicato».
Atti e documenti che neppure il Centro Aletti ha messo a disposizione. Nessuna voce all’interno del Centro Aletti (consacrate, ex gesuiti, comunità presbiterale) ha mai espresso dubbi sui comportamenti di Rupnik. In una nota del Vicariato di Roma (18 settembre 2023), al termine della visita canonica di mons. Giacomo Incitti al Centro Aletti, si attesta una vita comunitaria sana e priva di criticità, una piena disponibilità alla prova e l’opportunità di una qualche modifica statutaria.
«Il visitatore ha doverosamente esaminato anche le principali accuse che sono state mosse a p. Rupnik, soprattutto quella che ha portato alla richiesta di scomunica. In base al copioso materiale documentario studiato, il visitatore ha potuto riscontrare, e ha quindi segnalato, procedure gravemente anomale il cui esame ha generato fondati dubbi anche sulla stessa richiesta di scomunica».
L’udienza pontificia accordata a Maria Campatelli (15 settembre 2023) e l’incardinazione di Rupnik nella diocesi di Capodistria (26 ottobre 2023) sono state scelte molto discusse, subito seguite dalla decisione di avviare il processo canonico (27 ottobre 2023) di cui si deve attendere ora la sentenza.
Dove nasce il consenso
La discussione sulle opere di Rupnik è di particolare rilievo per il numero delle opere (231), la loro imponenza e la loro presenza in luoghi simbolo del cattolicesimo: dalla cappella Redemptoris Mater in Vaticano ai santuari maggiori (Lourdes, Fatima, Cracovia, Aparecida, San Giovanni Rotondo) a luoghi di forte risonanza (chiesa Giovanni Paolo II a Washington, chiesa ortodossa a Cluj-Romania), a chiese e cappelle in tutta Europa, con presenze nelle Americhe, in Africa, Medio Oriente e Oceania. Solo a Roma sono oltre 40 (fra cui il Seminario Romano).
Fra gli ultimi mosaici montati: la terza facciata ad Aparecida e l’abside a Conegliano Veneto. Ma le immagini di Rupnik si sono rovesciate, in forza nei santini devozionali, a ornamento di libri, documenti e loghi diversi, anche per l’assenza di diritti d’autore. Il suo stile si è largamente imposto in maniera imparagonabile ad altri modelli recenti.
Da qui la legittima domanda di una storica dell’arte come Elizabeth Lev: «Quanti pensavano che la sua arte fosse un dono di Dio vogliono ora scaricarlo? Non c’è nulla da imparare pensando ai motivi per cui è stato così popolare per tanti anni? Quale ruolo hanno assunto i molti collaboratori dell’Atelier Aletti?».
Essendo fra quanti hanno apprezzato e apprezzano l’originalità creativa di Rupnik e della sua scuola, cerco di seguito di riassumere le ragioni del consenso raccolto dalle sue opere per molti decenni.
L’arte musiva di Rupnik si è ritagliata un suo spazio nel rinnovamento complessivo dell’arte liturgica e rappresenta una delle risposte dell’arte visiva capace di ridare alle immagini «devote» l’intenzionalità vitale delle icone orientali. La distanza fra icona (quasi sacramentale) e immagine «bella» avviata dalla modernità ha prodotto figure da «vedere» non da pregare. Su questa distanza si è innestata la pertinace resistenza della pietà popolare che ha finito per trovare alimento in «prodotti» artistici sempre più prevedibili e dozzinali.
Tornare a figure consapevolmente sottratte alla terza dimensione (la prospettiva), riconoscibili nel loro riferimento alle Scritture e ai santi della tradizione (e ai nuovi), capaci di veicolare non solo un assenso ma anche un consenso emozionale costituisce una sfida intrigante, anche prima della discussione specifica sulla qualità artistica del manufatto.
Si tratta, per quanto riguarda l’opera di Rupnik, di uno degli affluenti alle molte correnti artistiche, tutte minoritarie all’interno dell’arte contemporanea, che hanno messo mano all’impresa di ridare dignità e bellezza ai manufatti presenti nelle chiese (compresa la scelta aniconica di non collocarvi alcuna figura).
Moderna per contrapposizione
L’Atelier del Centro Aletti ha «imposto» la forma del mosaico, il ricorso a materiali e pietre naturali, a colori determinati che restano vivi nel tempo. Un’originalità particolare è l’uso della «foglia d’oro». Si inventa una forma produttiva che costruisce nella bottega le parti più delicate (come i volti e le figure) per poi assemblarle nel momento in cui vengono postate sulla parete.
Il resto non è semplice abbellimento. Nei fascioni che attorniano i racconti evangelici e scritturistici è riconoscibile il tratto violento e netto della modernità, sottoposta alla logica comunicativa della fede piuttosto che a quella contrappositiva e sorprendente dell’invenzione.
Che si possa parlare di «bottega» è un ulteriore novità rispetto alla singolarità dell’artista contemporaneo. Un ritorno alla tradizione. Un modo di lavoro che abitua al confronto e che, nell’esperienza degli interessati, si avvicina alla comunione ecclesiale.
A questo si aggiunge un’affermata coerenza con il deposito conciliare, con la priorità riconosciuta alla Scrittura rispetto a forme legittime ma più marginali della memoria cristiana. Il consapevole richiamo al primo millennio, alla tradizione patristica, e quindi alla Chiesa «unita», alimenta il dialogo con le Chiese d’Oriente, con la loro tradizione iconica e la loro spiritualità monastico-contemplativa.
Meno evidente la scelta conciliare di dialogare col moderno, di «farsi insegnare» dalla storia e dagli eventi, di riconoscere le modalità con cui il «religioso» continua a vivere dentro i vissuti contemporanei.
Nessuna damnatio memoriae
Tutto questo è stato investito e travolto dal racconto degli abusi considerati credibili dai tribunali, dai molti controlli della compagnia dei gesuiti e imposti da un’opinione pubblica internazionale particolarmente attenta alla questione.
La sofferenza delle vittime, la loro lunga e pagata memoria e il dovere morale della Chiesa nei loro confronti hanno rimesso in discussione l’intero progetto. Rispetto alla reazione stupita e addolorata, va detto che c’è un’immediata resistenza ecclesiale alla damnatio memoriae e alla contemporanea cancel culture, azioni peraltro non richieste dalle vittime.
Certo, non si può ignorare la pervasività riconosciuta dalle stesse vittime fra spinta abusante e creazione artistica, fino alla molestia attestata da una suora sulle impalcature di uno dei cantieri e durante la posa come modella. «Con Rupnik non si può separare la dimensione sessuale da quella creativa – ha detto Gloria Branciani, ex membro della Comunità Loyola, vittima di abusi per diversi anni –. La sua ispirazione artistica deriva direttamente dal suo approccio alla sessualità».
Troppo presto e – per quanto mi riguarda – senza le sufficienti conoscenze per una valutazione complessiva dell’opera artistica di Rupnik e ancora più per quanto riguarda la sua teologia e il suo orizzonte filosofico, un impianto cristocentrico, con una forte accentuazione dell’incarnazione, investito dalla teologia della bellezza come via al divino, la cui esperienza è legata alla liturgia e ai suoi simboli.
Secondo Giovanni Salmeri, «una teologia può essere buona o cattiva indipendentemente dalla bontà di chi l’ha elaborata. Esiste una dimensione oggettiva del Vangelo e della sua riformulazione intellettuale che può avere la meglio rispetto anche al contesto più depravato […] (ma) è possibile anche il contrario. È possibile che un certo discorso teologico sia legato, come causa o come effetto o in entrambi i modi, a una condotta riprovevole o a un’immagine inaccettabile della vita comunitaria e dei rapporti interpersonali» (cf. Settimana News).
È quindi necessaria prudenza per arrivare a giudizi plausibili. La stessa cosa vale per l’impianto filosofico, legato in particolare al filosofo-teologo russo Vjačeslav Ivanov. Rupnik condivide l’idea di Ivanov del susseguirsi di ere simboliche e di ere critiche, di periodi di grande creatività simbolica e altri (come l’intero «moderno») di pura analisi critica e razionalità strumentale. Ciò espone l’artista alla condanna del moderno in toto, ma anche a una difficile comprensione del Concilio Vaticano II e del suo dialogo con la modernità.
Moralità e opportunità
Rispetto alla domanda di partenza circa il destino delle opere di Rupnik e al tema della moralità dell’opera d’arte, si può escludere la soluzione della distruzione. Non solo per l’insegnamento della storia relativamente ad artisti assai poco raccomandabili nei loro comportamenti (da Michelangelo a Raffaello, da Caravaggio a Bernini), ma anche per il «cattivo esempio» dell’iconoclastia di alcune radici della Riforma, delle rivoluzioni francese e sovietica e di tutte le forme di potere che hanno preteso di irreggimentare la creazione artistica.
Ciò non toglie l’opportunità pastorale di dislocare altrove immagini che risultano crudeli per le vittime e il loro uso (o non uso) prudente nella comunicazione ecclesiale. Nulla a che vedere con un moralismo bacchettone, ma come consapevole presa in carico della sofferenza delle vittime.
Il valore morale di un’opera d’arte fa parte del suo valore artistico. Soprattutto oggi in un mondo in cui l’estetismo ha occupato l’intero mercato e le merci l’intero panorama del reale.
Un paziente e libero scambio interno alle comunità ecclesiali sull’arte religiosa potrebbe essere il frutto positivo dell’attuale sofferenza, resa pubblica dell’emergenza dello scandalo degli abusi.
“Un cripto misticismo a sfondo erotico”: ricordo che studiando la storia dell’arte arrivati all’estasi di Santa Teresa del Bernini, il professore o chi per lui, non ricordo, parlò di pulsione erotica, rappresentazione di orgasmo. A quei tempi, parlare in questi termini non era facile, il sesso era ancora un tabù. Bernini, guarda caso, si accostava in quel periodo ai gesuiti, agli esercizi spirituali di Sant’Ignazio e voleva esprimere spiritualità ed estasi come meglio ci riusciva. Per me l’opera è bellissima ed amabilissima.
La sessualità è stata per molto tempo messa sotto accusa come l’arte del diavolo e strada della perdizione. Un disumano tabù l’ha tenuta sotto scacco per molto tempo.
Prima di tutto, a parte le nefandezze espresse con essa, è necessario convenire che la sessualità è sicuramente un gran dono di Dio. Un dono che pervade l’essere umano, maschile e femminile in maniera “superba”. Sentire pulsazioni sessuali e ringraziare il Creatore è un tutt’uno. L’attrazione sessuale tra uomo e donna sostiene progettualità, armonia e benessere.
I preti che fanno voto di non esercitare questa sessualità, hanno un grosso dilemma: quella di viverla come dei castrati psichici o spendendosi totalmente per gli altri. Si, perché la pulsione sessuale è eminentemente una spinta a farsi dono per gli altri, a dare vita…quando la pulsione diventa ricerca di piacere verso se stessi l’uomo viaggia verso una direzione sbagliata e traditrice della sessualità, inumana e pericolosa per sé e per gli altri…
Appunto perché la sessualità è un dono di Dio, gli abusi sessuali vanno condannati senza sé e senza ma. Il cripto misticismo a sfondo erotico di matrice Rupnik non celebra la bellezza della creazione e della sessualità, ma esprime i deliri erotici di un personaggio che ha abusato di donne nel loro spirito e nei loro corpi facendo poi di queste donne l’oggetto di rappresentazioni visive. A me ciò sembra inaccettabile sul piano etico oltreché giudiziario. La storia dell’arte nel Rupnikgate temo centri poco o nulla. In gioco in questa storiaccia, in cui si mescolano coperture, fraintendimenti e interessi economici, vi è innanzitutto il dolore delle vittime di abusi ed anche l’attitudine della Chiesa a farsi carico concretamente e con rispetto di tali crimini (perché gli abusi sono prima di tutto dei crimini e non solo dei peccati)
Per me, non sono tanto le opere che mi danno fastidio, dell’arte non è che sia stata mai tanto appassionata, piuttosto mi fa tanto dispiacere che RUPNIK sia ancora “sacerdote”, che ancora celebri..ma come fa, io mi domando…non riesco più neppure ad ascoltare quanto dice il PAPA, che sembra colui che gli ha tolto la scomunica….ma che se ne vada e che si trovi una donna o più donne, come desidera…ma che stiamo scherzando? Che se ne vada e molto lontano più lontano possibile dai posti in cui è passato a creare tanta sofferenza!
Molto interessante. Per non farà perdere soldi ( perché li restituiscono ? …intendo…. I soldi sono già spesi …. Ah sì … Rimarrebbero i muri vuoti… Come prima… Avete chiesto alla architetto… Forse era uno stile neo cluniacense-romanico spirituale senza figure distraenti l unica azione liturgica importante… La comunità… S’intende…) si propone un esorcismo. O forse un esorciccio in realtà. A fronte di tale proposta invece io proporrei di incentivare ” il turismo del macabro” che tante soddisfazioni da’ per esempio a Cogne, ed in tanti altri posti ,”valorizzando” l’ opera, segnalandolo ed inserendola in percorso che la strappi dall anonimato, in cui ingiustamente si trova. Magari una serie di conferente raccolte poi in una pubblicazione, anzi un evento periodico annuale tipo “violenza di genere e casa di preghiera. Percorsi di guarigione psicologica e spirituale” .magari Anche Rupnik e casa aletti potrebbero dare il loro contributo…. O no?
Vorrei che mi si dimostrasse da quali opere del Centro Aletti traspaia “un cripto misticismo a sfondo erotico”. Io, nella mia ingenuità e sprovvedutezza non l’ho mai colto; ma mi pare che nessuno, fino allo scoppio dello scandalo che ha visto Rupnik messo sotto accusa, se ne fosse accorto: né papi, né cardinali o vescovi o rettori di santuari, critici d’arte, responsabili diocesani dei beni culturali ecc.. Tutti accecati dalla falsa luce di Lucifero?
Gradirei che chi con il suo raffinato fiuto questo erotismo l’ha scoperto me lo facesse vedere concretamente analizzando almeno qualcuna delle opere del Centro Aletti.
La invito ad ascoltare le testimonianze delle religiose vittime di abusi di Rupnik (il video con la loro drammatica confessione fatta in pubblico si trova su YouTube) e potrà valutare da sé come venivano “create” le opere del sedicente artista teologo e quanto esse siano inquinate dal suo pseudo misticismo in cui la componente erotica è dominante. Che poi non tutti la percepissero tale componente vedendo le sue opere, è un altro discorso, se quel personaggio ha fatto tanta carriera è anche perché si sapeva vendere bene e a tanti (forse) andava bene così…..
https://www.ilpost.it/2024/02/22/marko-rupnik-accuse-conferenza-stampa-ex-suore/
Resto ancora in attesa che mi si dimostri CONCRETAMENTE in quali figure, espressioni, movenze, posture, atmosfere ecc. presenti nelle opere di Rupnik si esprimerebbe quell’erotismo (addirittura ‘blasfemo’ secondo un giudizio qui espresso) che dominerebbe le scene rappresentate. “Che poi non tutti percepissero tale componente vedendo le sue opere…” Lei argomenta. Ma a me risulta piuttosto che NESSUNO l’avesse percepita. Solo dopo lo scoppio dello scandalo c’è stato chi si è precipitato a percepirla e a denunciarla (c’è da farsi un pensierino sulle motivazioni dei censori…)
Sinceramente non saprei cosa risponderle. Io ho letto e ascoltato con attenzione (e con dolore) le testimonianza delle religiose abusate e non mi sembra ci possa essere dubbi sul fatto che non pochi mosaici siano stati realizzati nel contesto diretto di tali abusi e che tali opere fossero usate dallo stesso artista per giustificare teologicamente tali violenze (alcuni corpi riprodotti nel mosaici prendono ispirazione da quelli delle donne abusate e la mistica trinitaria propugnata e rappresentata da Rupnik era da lui usata per giustificare con le abusate atti sessuali con più donne in contemporanea). Se tutto ciò a lei non basta per metterla per lo meno a disagio davanti a tali mosaici esposti in luoghi sacri e di culto, non so davvero cosa dirle. Onestamente, mi interessano le vittime che negli spazi ecclesiali dovrebbero sentirsi tutelate, riconosciute e rispettate (e non esposte a ulteriore violenze anche soltanto “visive”). L’interpretazione sul valore e il senso artistico dei prodotti del centro Aletti non mi interessa più di tanto, che ne discutano semmai gli storici dell’arte, se pensano che davvero ne valga la pena (artisticamente parlando) .
Condivido in pieno l’opinione di Paolo Ruffini. Tra l’altro, tutto questo argomentare sull’opportunità o meno di ‘oscurare’ o addirittura distruggere le opere di Rupnik ho l’impressione che ottengano l’effetto contrario, facendo da cassa di risonanza per il ‘caso Rupnik’ e quindi danneggiando ancor più le vittime. Mi domando: il grande pubblico è a conoscenza. del caso? Dei milioni di pellegrini che vanno a Lourdes, ad esempio, quanti sanno che quei mosaici sono del ‘famigerato’ Rupnik? Ho l’impressione si tratti di un ennesimo dibattito intraecclesiale che non interessa a nessun’altro. Un paragone con la società civile: nonostante il rifiuto e la condanna del fascismo, nessuno, se non vado errato, si è mai sognato di abbattere le numerose opere edili (a alcune davvero belle) del ventennio. Eppure di vittime il fascismo ne aveva fatte ! Le vittime saranno anche decine, ma togliendo di mezzo le opere del ‘famigerato’, si privano milioni di persone di godere della loro bellezza.
Per la serie “facciamo finta di nulla” tanto a chi vuoi che importi della vita e della sofferenza di una decina di donne (peraltro religiose), che patiscano in silenzio… mi dispiace, ma trovo aberrante la sua opinione e inaccettabile il paragone col Fascismo… una tale mancanza di umana pietà, che Dio ci perdoni, come Chiesa stiamo dando il peggior spettacolo possibile, specie alle donne. Personalmente, provo una grande vergogna
Carissimo Lorenzo,
hai presentato il problema Rupnik e le sue opere col contributo di diversi punti di vista. Il problema è un problema antico: il cattivo può produrre cose buone? “Voi che siete cattivi, sapete dare cose buone ai vostri figli…quando più il Padre saprà darvi cose buone…” Solo buone, aggiungerei…la vocazione dell’uomo è unica: “Siate perfetti come è perfetto il Padre vostro che è nei cieli”. È importante, cioè, aderire al progetto del Padre per ciascuno di noi che è un progetto di pienezza umana e di pienezza di bene, meraviglioso!
Il problema della non sintonia con questo progetto è, anch’esso antico e ogni Adamo ed Eva che arriva sulla faccia della terra ce l’ha. La proposta di un Giardino dell’Eden con l’Albero del Bene e del Male da non toccare è una proposta per ogni esistenza umana. Tutti portiamo nel cuore questa esigenza di sintonizzazione, che sostanzialmente è quella di spendere la vita per gli altri, non per se stessi. Fatto sta ogni qualvolta l’essere umano prevarica da questa sintonizzazione combina disastri per se stesso e per gli altri. Con Rupnik il disastro è chiaro: è avvenuto cavalcando un’apparente gloriosa carriera di artista. Dico apparente col suo comportamento inumano ha iniettato un tarlo, non neutralizzabile, che ridurrà in cenere la sua opera per quanto grande sia! Peccato proprio! Potrebbe lui fermare questo tarlo, risintonizzando la sua vita, prima di esaurire la sua esistenza, creandosi un lasciapassare da esibire davanti alle sue vittime che di fronte al Padre cercano giustizia, non vendetta.La giustizia del Padre è uguale a misericordia ma ha bisogno di conversione: “Rupnik’s Masterpiece!”.
Per me P. Rupnik é stato un maestro spirituale. Anche i componenti del centro Aletti li ho apprezzati negli anni. Sono per me ancora dei testimoni credibili con l’eloquenza del loro silenzio, mentre il giustizialismo urla attorno a loro. Mi ricordano la grande lezione dei quattro carmi del Servo d’Isaia
Niente paura fra una o due generazioni ci penseranno gli islamisti ,diventati maggioranza , distruggere le chiese ,e le opere di Rupnik saranno ridotte in polvere insieme alle statue della Madonna ai crocifissi e tutto il ressto . Ci hanno gia’ provato con la huglia di Notte Dame a Parigi. Le vittime di Rupnik fra venti trentanni saranno si spera in Paradiso, e lui ,se si e’ pentito, si spera in Purgatorio. Panta rei , tutto passa … i mosaici di Rupnik non sono eterni ,eterna e’ la sua anima di cui ci si dovrebbe piuttosto preoccupare ! Ma la Chiesa cattolica ormai e’ completamente materialista.
È davvero una situazione sconcertante e penosa: a distanza di anni dalle denunce di crimini da parte di una persona che (a detta dei mons. Libanori) è “un caso psichiatrico”, siamo sempre a fantasticare sui massimi sistemi senza fare nulla di concreto. Le vittime di abusi sono sempre abbandonate a loro stesse, l’abusatore fa quel che gli pare, gli adepti della sua setta del Centro Aletti (tale è poiché rispetta tutti i parametri che identificano i movimenti settari) continuano a comportarsi come se niente fosse e le sue opere (realizzate sulla base di un cripto misticismo a sfondo erotico e blasfemo) sempre esposte in pubblico e soprattutto in luoghi di preghiera. Abbiate pietà: basta parole e teorie interpretative sul nulla. Attorno a questa storiaccia c’è solo disgusto. Si riuscirà mai a fare qualcosa di concreto per riparare il male fatto da questo pseudo teologo-artista e contrastare il veleno immesso dalla sue “opere’ letterarie ed artistiche? Temo ormai di no, anche per gli enormi interessi economici che gravitano intorno ai mosaici rupnik e al clima di omertà che circonda quest’uomo……..l’unica consolazione è che realtà come l’ordine domenicano e la comunità dell’arca sono riuscite a fare passi concreti denunciando i crimini commessi al loro interno da personaggi come i fratelli Philippe e Jean Vanier. Almeno loro ci stanno provando, grazie a Dio
il problema comunque è: cosa fare di tutte quelle opere installate nelle parrocchie? Solo nel raggio di 10 km da casa mia ci sono due parrocchie che hanno opere di Rupnik nelle chiese
Sono opere anche belle, la cui rimozione rischia di provocare un grave danno economico alle comunità e rischia di soffocare tentativi futuri di abbellire i luoghi di culto.
D’altro canto non si può negare che fare finta di niente è la cosa peggiore da fare, soprattutto dopo quello che è venuto fuori.
Proposta: perchè non fare un rito di esorcismo e riconsacrazione/ridedicazione di queste opere, pubblica, meglio se fatta dal vescovo, e con la presenza di qualche vittima di abusi?
Spero di non offendere nessuno ma vorrei ricordare che Satana, il Demonio, ha un altro nome: Lucifero, cioè portatore di luce. Penso che l’opera di Rupnik sia proprio luciferina e, per questo, ambigua, ambivalente. Vedremo se il Vaticano si esprimerà prima o poi e in che modo.