P. Carlos, superiore generale dei dehoniani, insieme al suo Consiglio ha inviato una lettera alla Congregazione e alla Famiglia dehoniana in vista della festa del S. Cuore. Ci fa piacere condividere con le nostre lettrici e i nostri lettori questo momento di meditazione e riflessione comunitaria. Affidiamo alla vostra preghiera Angelo, della comunità dehoniana di Modena, che oggi fa la sua professione perpetua.
Tra le facilitazioni offerte dalla tecnologia delle comunicazioni, una è quella che aiuta a conoscere in modo abbastanza preciso la localizzazione di persone e luoghi, i percorsi, i tempi e i mezzi disponibili per raggiungere qualsiasi luogo o destinazione nel modo più veloce e conveniente. Questi vantaggi, tuttavia, non sono ancora disponibili per tutti.
Ci sono molti luoghi in cui mancano i mezzi e le strutture di base affinché tutte le persone possano accedervi. Ma indipendentemente dai mezzi e dalla tecnologia, quel che conta è essere consapevoli di dove siamo e dove stiamo andando.
La celebrazione della solennità del Sacro Cuore di Gesù è un’occasione per rivedere a che punto siamo del cammino e il modo in cui lo stiamo percorrendo e condividendo. Sta a noi situarci in questo contesto globale che ha portato tanti sconvolgimenti. Per alcuni più che per altri, si sta recuperando una certa regolarità nella vita e nelle attività.
Ma le sofferenze continuano e le difficoltà non mancano. In mezzo a tutto questo, mentre agiamo, è necessario che continuiamo, sia personalmente che comunitariamente, a riflettere e a rispondere alle domande essenziali: cosa ci lascia tutto questo? Cosa stiamo imparando? Come abbiamo reagito? Tra queste e tante altre domande possibili, una non deve mancare: come andare avanti? Come credenti è più che legittimo, anzi forse necessario, che la domanda diventi un’umile supplica, così come tante persone e popoli hanno fatto e continuano a fare in circostanze in cui non tutto è chiaro:
“Al mattino fammi sentire il tuo amore,
perché in te confido
Fammi conoscere la strada da percorrere,
perché a te s’innalza l’anima mia” (Sal 143,8).
Guardando il nostro Fondatore nella sua ricerca per rispondere alle domande vocazionali ed esistenziali, egli ha privilegiato l’incontro assiduo con la Sacra Scrittura. Camminando tenuto per mano dall’evangelista san Giovanni in situazioni decisive, ha trovato un’ispirazione particolare per il suo sentiero e la sua opera. Di questo troviamo tracce certe nelle nostre Costituzioni:
“Con san Giovanni,
vediamo nel costato aperto del Crocifisso
il segno di un amore che, nel dono totale di sé,
ricrea l’uomo secondo Dio.
Contemplando il Cuore di Cristo,
simbolo privilegiato di questo amore,
veniamo rafforzati nella nostra vocazione.
Infatti siamo chiamati a inserirci
in questo movimento dell’amore redentore,
donandoci per i nostri fratelli,
con il Cristo e come il Cristo” (Cst 21).
Approfittiamo dell’occasione di questa solennità per avvicinarci ancora una volta ai piedi della croce, lì dove l’evangelista san Giovanni ci pone insieme alla madre di Gesù e ad altre donne. Ma lo sguardo del Figlio abbraccia ancora di più. Con i suoi occhi, Gesù stesso ci fa vedere che vicino a Maria c’è anche il discepolo che egli ama.
Dall’alto, il suo sguardo si sofferma su di loro. Altri non sono lì perché avevano paura, o perché erano delusi. Alcuni hanno preso le distanze e si sono isolati; altri si sono persi nella notte. Non tutti sapevano farsi prossimi. Ma per Gesù l’importante ora è mostrare la vicinanza che si rivela nella sua Madre e in quel discepolo. Li guarda (Gv 19,26).
È un momento di tenebra (Mt 27,45), sì, ma solo finché Gesù parla. Infatti, proprio come ha fatto il Padre all’inizio (Gen 1,3), la parola del Figlio illumina la scena e ci permette di capire che ciò che vi si svolge non è una tragedia irrimediabilmente sottomessa al caos dell’odio, della menzogna e della violenza.
Al contrario, è la configurazione di un cammino che nasce nella fragilità di coloro che non hanno altra forma di potere che quella dell’amore per la Vita e del saper essere prossimi. Quando il Figlio contempla la vicinanza tra la Madre e il discepolo, sembra che stia riconoscendo la vicinanza stessa del Padre a Lui e a tutta l’umanità, una vicinanza che si estende senza misura oltre l’afflizione.
Forse è per questo che Gesù, con la sua parola, invita entrambi a considerare un orizzonte più grande, mostra loro un cammino che inizia proprio assumendo la validità di ciò che essi stessi sono e non devono cessare di essere: donna e figlio, madre e discepolo.
Spetta ad entrambi, come dono loro affidato, prendersi amorevolmente cura l’uno dell’altro come madre e discepolo, e in nessun altro modo, affinché si possa riconoscere in loro l’autentica famiglia: quella che nasce dal fare la volontà del Padre (Mc 3,34s.). Per Maria e il discepolo, ciò che hanno visto e sentito ai piedi della croce si è trasformato in una missione. Capirono che Gesù li chiamava a camminare insieme, a condividere la vita. Sono stati docili e audaci nell’offrirsi a ciò che possiamo ben chiamare la sinodalità che nasce dal Cuore del Figlio.
Prima che il costato venisse aperto, la disponibilità di Maria e del discepolo ha preceduto il sangue e l’acqua che uscirono dal costato ferito. Sono loro, la Madre e il discepolo, i primi a scaturire dallo sguardo, dalla Parola e dalle viscere di misericordia di Gesù. In quanto aderiscono a Cristo, sono la figura e il modello della Chiesa discepola e madre che, unita al Redentore, irriga, ripara e rigenera l’umanità e la terra. È lì che la nostra Congregazione e tutta la Famiglia Dehoniana devono ritrovarsi, ispirarsi e rinnovarsi sempre. È lì che dobbiamo imparare a continuare a camminare.
Che la contemplazione del Cuore di Cristo, insieme a Maria e al discepolo amato, continui a muovere la nostra vita, quella delle nostre comunità e famiglie, affinché in mezzo a questa storia che condividiamo, intimamente uniti a Lui, e con particolare attenzione ai più indifesi, non manchiamo di contribuire all’instaurazione del suo Regno nelle anime e nella società.