Padre Gerardo Cioffari è membro della Comunità Domenicana San Nicola di Bari, docente di storia della teologia orientale e della teologia russa, archivista della Basilica, direttore del Centro studi storico-teologici nicolaiani e della relativa rivista Nicolaus (qui). Nella giornata in cui la Chiesa cattolica fa memoria di san Nicola di Bari, padre Cioffari risponde qui ad alcune domande sulla figura ed il culto a lui reso da cattolici e ortodossi nell’attuale delicato momento di relazione tra le Chiese (Giordano Cavallari).
- Caro padre, può brevemente ricordare chi è stato Nicola, i tratti del suo carattere e della sua vita di cristiano e di pastore, per quanto è dato saperne?
L’unico testo coevo che abbiamo e che riguarda san Nicola è uno scritto anonimo di 5 o 6 pagine noto agli studiosi come “Praxis de stratelatis” (I fatti dei comandanti militari, talvolta detti “tre generali”). In esso si narrano soprattutto 2 episodi: la liberazione di tre innocenti cittadini miresi dalla decapitazione e la liberazione dal carcere e dalla morte di tre generali (stratelati).
Dal racconto risulta che in quel periodo (330-337) Nicola era il vescovo della città di Mira, in Licia (penisola meridionale dell’attuale Turchia, ad un centinaio di chilometri da Rodi). Egli appare nella narrazione come particolarmente sollecito ai bisogni della popolazione che la provvidenza gli ha affidato in quanto vescovo. Una espressione però lo qualifica esplicitamente. La prima volta che lo menziona, l’anonimo lo definisce “maestro e pastore”.
Di conseguenza, anche se poi l’autore si sofferma sulla sollecitudine ai bisogni concreti, lo lascia intendere anche come maestro. Le Vite più antiche (VIII-IX secolo) dicono che si oppose dottrinalmente alle due eresie dell’epoca, il Sabellianismo (esiste solo Dio Padre, che prende le sembianze del Figlio e dello Spirito Santo) e l’Arianesimo (Il Figlio è un uomo creato nel tempo e che il Padre ha divinizzato).
Dato che l’Arianesimo successivamente divenne l’eresia per eccellenza, la tradizione ha voluto vedere in San Nicola un energico difensore della fede, al punto da dare uno schiaffo ad Ario durante il concilio di Nicea del 325 (ma è pura leggenda).
Le reliquie a Bari
- Puoi ricordarci pure come e quando le reliquie del Santo sono state traslate a Bari?
Le reliquie di San Nicola, dopo oltre 700 anni meta di pellegrinaggi alla chiesa (martyrion) ove era stato sepolto presso Mira, furono portate a Bari da 70 o 80 marinai (nei documenti sono 62, quanti erano forse quelli con diritti civili) il 9 maggio del 1087.
Dopo uno scontro armato fra questi marinai e la guardia dell’arcivescovo di Bari Ursone, quest’ultimo cedette e, invece di far portare le reliquie in Cattedrale (come avrebbe voluto), concesse che si costruisse un tempio apposito in onore di San Nicola nell’area della residenza del catepano bizantino (abbandonata nel 1071 con la conquista normanna).
La Traslazione, a differenze di tante altre (anche famose), a causa dello scontro armato, oltre che per la celebrità europea di san Nicola, suscitò tutta una serie di narrazioni coeve, comprese una francese ed una russa. Uno studioso del Medioevo, Charles William Jones, affermava che è difficile trovare nel vasto mondo delle traslazioni di sante reliquie, un evento meglio documentato della Traslazione di San Nicola a Bari.
- Qual è la storia della basilica e qual è il suo attuale statuto?
La costruzione della Basilica fu affidata dall’arcivescovo Ursone all’abate Elia, monaco benedettino, che aveva portato la pace fra il popolo e l’episcopio. In due anni l’abate Elia, che nel febbraio del 1089 era divenuto arcivescovo a voce di popolo, la rese in grado di ospitare in cripta le reliquie di San Nicola, facendo consacrare la cripta stessa dal papa Urbano II (1° ottobre 1089).
La Basilica fu poi portata a termine nel corso dei decenni successivi. Era comunque a buon punto nel 1098 se fu in grado di ospitare un concilio presieduto dal papa Urbano II (1098). Una bolla del 1105 del papa Pasquale II, richiesta da Boemondo di Taranto, sottraeva la Basilica alla giurisdizione dell’arcivescovo di Bari, il che nei secoli fu causa di eterne liti fra le due grandi istituzioni della città. Intorno al 1150 il governo della Basilica fu affidato ad un capitolo di preti (canonici) che è durato sino al 1951, quando il papa Pio XII l’ha abolito ed ha affidato la chiesa all’Ordine Domenicano.
La cosa è stata possibile perché nel 1929, col Concordato fra Stato italiano e Santa Sede, il primo ha restituito al papa, quella giurisdizione della Basilica che il re aveva specialmente dal 1304, quando il papa Bonifacio VIII l’aveva ceduta al re Carlo II d’Angiò e ai suoi successori. La costituzione ecclesiastica fu redatta dal re Carlo II d’Angiò e includeva anche il rito parigino (in vigore fino al 1603). Oggi la Basilica e la Cattedrale vivono in armonia, perché i Domenicani hanno un’ampia autonomia e l’arcivescovo ha il titolo di Delegato Pontificio.
San Nicola e l’Ortodossia
- Perché San Nicola è così amato dall’ortodossia slava, russa in particolare?
Il mondo slavo, e particolarmente la Rus’ di Kiev, cioè tutta l’Ukraina, la Bielorussia e gran parte della Russia, si convertì al cristianesimo nel 988 al tempo della più intensa e universale diffusione del culto di san Nicola. Già la tradizione bizantina lo vedeva come il santo dei miracoli a favore dei senza difensori.
La letteratura popolare lo vide come un vecchietto in eterno vagare per le terre russe alla ricerca di gente oppressa dalla povertà.
Così mentre la chiesa ufficiale ha visto in lui il difensore della fede, il popolo ortodosso lo ha visto, secondo la bella leggenda di san Nicola e san Cassiano, come colui che non esita ad inzaccherarsi fino al ginocchio e a sporcare il candido vestito paradisiaco per aiutare un contadino a tirare fuori dalla melma il suo carro.
- La Basilica è da secoli meta di tantissimi pellegrinaggi, specie da Russia, Bielorussia e Ucraina. Qual è lo stato attuale dei pellegrinaggi? Come sarà celebrata la memoria del Santo, in questo giorno di festa?
Dato il rilievo di san Nicola nelle antiche terre russe (Rus’ di Kiev) i pellegrini di queste terre, anche nei 3 secoli in cui Bielorussia e Ucraina sono state parte del regno polacco-lituano, hanno guardato a Bari sempre nella speranza di arrivarci. Bielorussi e ucraini si registravano come “polacchi”, mentre il primo documento di “Moschoviti” risale al 1682.
I registri di san Nicola sono pieni di firme di pellegrini russi (in senso lato) a partire dal 1852. Dopo il 1985 con la Perestrojka di Gorbačev il flusso è stato di migliaia, tanto che la Basilica ha destinato le date del 9/22 maggio e del 6/19 dicembre agli ortodossi russi, perché possano celebrarvi la liturgia ortodossa.
Il giorno della memoria odierna del Santo sarà come quello di tutti gli anni, eccetto che per l’amarezza provocata in tanti cuori sofferenti di pellegrini e fedeli devoti di quelle terre, alleviata dalla speranza cristiana.
- La Basilica è una importante sede di ecumenismo – di fatto – tra cattolici e ortodossi, anche e soprattutto russi: quali sono i riflessi della guerra che Lei sente di poter testimoniare?
La Basilica ha scoperto l’ecumenismo nel 1961, durante il concilio Vaticano II, quando molti prelati ortodossi chiedevano alla Santa Sede di poter celebrare sulla tomba di San Nicola. La Chiesa di Roma, fino al 1958 chiusa ad ogni apertura ecumenica, soddisfece queste richieste ringraziando i Padri domenicani dell’accoglienza fraterna riservata agli ortodossi.
Il grande vantaggio della Basilica consiste nel fatto che la venerazione di San Nicola è superiore a tutte le divisioni. Naturalmente il mondo slavo è più in contatto con la Basilica perché, già nel 1095, circolò in tutte le terre della Rus’ di Kiev un testo sulla traslazione di san Nicola a Bari e vi fu istituita una festa della traslazione a Bari, osservata il 9 maggio in tutti i paesi slavi e in Romania.
Sull’argomento scrissi il mio primo libro, “La leggenda di Kiev”, e ho tenuto varie conferenze a San Pietroburgo, Mosca e Kiev. I greci, invece, con rare eccezioni, considerano la traslazione un furto ai loro danni, e non una liberazione dai musulmani, come invece afferma l’antica fonte russa. Purtroppo, la guerra sta colpendo proprio le terre ove san Nicola è più venerato (Mosca ha 48 chiese di San Nicola, Kiev 25).
Senza volerlo, il patriarca Bartolomeo concedendo a due chiese scismatiche dell’Ucraina l’autocefalia (5.I.2019) ha inasprito i sentimenti d’inimicizia delle varie etnie. Sul piano pratico, la Basilica ha sofferto un crollo dei pellegrinaggi, anche se non come per il Covid. I pellegrinaggi non sono cessati, ma la provenienza è soprattutto dall’Europa occidentale, dove risiedono molte famiglie che avevano lasciato l’Unione Sovietica. I pellegrini russi devono ricorrere a molti stratagemmi per poter arrivare a Bari.
La guerra ha dato un durissimo colpo all’ecumenismo perché ha portato nelle chiese concetti derivati da situazioni politiche. Si giudicano gli ecclesiastici con categorie laiche dominanti nei paesi occidentali che ostentano superiorità morale sulle nazioni non allineate ai criteri dei cosiddetti “diritti umani”.
La cosa ha colpito ancor più duramente il mondo ortodosso, già lacerato da dissidi etnici (specialmente tra slavi e greci) e teologici (sobornost’- conciliarità e primato effettivo nella chiesa), che fatica a trovare la concordia tra le 14 chiese autocefale. Al momento, purtroppo, sia per l’ecumenismo pratico che per quello teologico l’unica preghiera sincera è quella per una unità ecclesiale e per una pace “come Dio la vuole”, visto che anche tra i cristiani le parole unità e pace hanno ormai significati diametralmente opposti.