Il Natale è amato da tutti, anche da chi acciacca poco di Chiesa, perché è un periodo di vacanze. Per i ragazzi, ma anche per gli uffici. Infatti, i calendari, all’inizio dell’anno, sono consultati per sapere i giorni della settimana che ricorrono il 25, 26, 31 dicembre, 1° e 6 gennaio, intercalati da sabati e domeniche. Quando capitano bene, con due/tre giorni di ferie si può allungare il riposo per una decina di giorni.
Per noi preti è un tour di forza. Tra domenica 24 e Santo Stefano celebrerò 9 Messe. Mi viene spontaneo chiedere scusa al Signore per tutte queste volte. Se ad ogni celebrazione aumentassi qualche centimetro di santità, al termine avrei percorso metri.
È singolare che, in una civiltà post-moderna, come la chiamano i teologi e gli storici della Chiesa, persista il ricordo dei misteri cristiani. In realtà, i riferimenti sono formali: fissano i giorni di festa che saranno riempiti di tutt’altro. Come il santo protettore della città: tutti lo conoscono, anche se la sua esistenza sia dubbia. La protettrice della mia città è la Madonna assunta in cielo: essendo già festa, hanno scovato san Savino per il 16 agosto per mettere insieme due riposi.
La pubblicità per il Natale è iniziata già da novembre; qualche anno addietro si aspettava l’8 dicembre. Approfittano del rilassamento delle feste imminenti per promuovere di tutto. Il presepe è fuori moda, a vantaggio dell’albero, offerto in tutte le salse. Di sacro nulla, eccetto qualche accenno alle parole del papa. Quest’anno il suo tema per la giornata della pace il 1° gennaio è: “Nessuno può salvarsi da solo”.
Eppure, le feste religiose hanno significati profondi. Santo Stefano è stato un primo martire, morto per non rinnegare la fede. Il 1° gennaio si celebra la giornata della pace, con la protezione di Maria santissima Madre di Dio. Un’invocazione rara, immessa nella tradizione cristiana dalla spiritualità dell’oriente nel Concilio di Efeso del 431.
Il 6 gennaio è la presentazione di Gesù al tempio, titolo seppellito dalla befana e da babbo Natale. Miti, leggende, devozioni si intrecciano nella storia, perdendo comunque il contenuto sacro: forse l’attenzione ai bambini garantisce una qualche sacralità.
Non tutti conoscono la tristezza che le feste portano con sé per alcuni. Sembra assurdo: eppure, il periodo di vacanze, sconvolgendo la vita quotidiana, cambia il ritmo consueto.
La festa esige vicinanza, affetti, emozioni; essere costretti da soli porta tristezza.
Per chi vive, come me, tra persone accolte e spesso abbandonate, nonostante gli sforzi, nessuna festa è pienamente tale. Nonostante musiche, cibi migliori, il calore umano stenta a nascere.
Il pensiero va a chi vive la solitudine totale, con mancanza di risorse elementari: riferimenti, amici, addirittura una dimora.
Chi ha tutto non ha nemmeno voglia di pensare a chi ha poco o nulla. Continua a inseguire baldorie e stravizi, salvo ritrovarsi nella routine quotidiana che, alla fin fine, si dimostra quasi migliore.
Ne consegue che anche la festa è un dono gratuito che la provvidenza permette. Difficile pregare per un simile dono. Eppure, i momenti di svago sono parte importante della vita.
Infine, esiste la festa del silenzio: un respiro di solitudine se le giornate sono state intense e piene di incontri e di preoccupazioni.
Nella solitudine riemergono pensieri, ricordi, sogni, progetti. Ritrovi te stesso con quanto hai e quanto sei, senza distinzione di cose belle o brutte. Hanno il vantaggio di apparire come fiabe, sfumature fuori dal tempo e dello spazio; una specie di dormiveglia che rafforza pensieri e volontà.
Insomma, il ricordo della nascita di Gesù è un’occasione ottima: ti fa godere e ti allarga l’orizzonte a chi è solo. Inoltre, fa ritrovare sé stessi nel mistero dell’esistenza, mettendo insieme volontà e desideri, razionalità ed emozioni. Ascoltare la ninna nanna “dormi, dormi bel bambino…” durante la messa non è liturgico, ma a me piace, perché risveglia l’infanzia; il coro lo sa e la canta.