Santuario di Caravaggio: percorsi di donne

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È costume delle parrocchie milanesi concludere il mese di maggio con un pellegrinaggio al Santuario di Caravaggio che monsignor Mario Delpini, attuale arcivescovo della diocesi ambrosiana, ha nominato “il Santuario della povera gente”. Infatti, a differenza di altri famosi spazi sacri di culto mariano a cui si giunge dopo parecchie ore di viaggio, la cittadina bergamasca dista poche decine di chilometri dal capoluogo lombardo e così, in breve tempo e con poca spesa, è possibile approdare a uno spazio sacro venerato da secoli. Di quel luogo, conosciuto negli anni giovanili, mantenevo un ricordo appannato.

Così qualche settimana fa ho deciso di imbarcarmi su un pullman carico di parrocchiani, soprattutto anziani, donne in maggioranza. Durante il trasbordo si mescolavano nella mia mente pensieri e intenzioni: devozione personale ed esigenza di preghiera, sensibilità per luoghi che ricordano miracolose apparizioni e interessi artistici erano accompagnati da affettuose memorie di una nonna che, nelle sere di maggio, conduceva me e mia sorellina in chiesa per la recita del rosario.

Sul cellulare, alla ricerca di qualche nota storico-artistica, lessi un’inattesa attestazione risalente allo scorso settembre: “Il Santuario mariano di Caravaggio protetto dallo scudo blu in caso di guerra”. Una significativa giornata di studi era stata organizzato dalla Croce Rossa Italiana per l’occasione.[1]

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Lasciai quella notizia a latere e all’arrivo, lentamente, mi immersi in meditazioni e preghiere che un’accurata regia organizzativa aveva predisposto per persone giunte da una vasta zona di Milano. Nel mite tramonto di una sera di fine maggio, sotto il bel “cielo di Lombardia, così bello quando è bello” (A. Manzoni, Promessi Sposi cap. XVII), il maestoso santuario immerso nel verde della campagna lombarda favoriva concentrazione e senso di pace.

L’edificio fa memoria dell’apparizione di Maria a una contadina nel maggio del 1432. Una fonte d’acqua spillò sullo stesso luogo. Eventi fecondi, femminili. La preghiera del rosario – circolare come la corona della recita – può apparire monotona. Tuttavia, proprio nel ricominciare l’“Ave” dopo la fine del saluto – “adesso e nell’ora della nostra morte”[2] – non si dà il nietzschiano eterno ritorno dell’eguale ma la speranza di una vita nuova.

Quando invochiamo l’intercessione per il presente e, contemporaneamente, per il momento finale, cogliamo una diversa visione del tempo. Non l’abituale scansione di passato, presente e futuro ma la compresenza di differenti momenti cronologici, come accade “all’autorivelarsi di Dio, sempre qui e adesso”[3].  È ancora il teologo Balthasar che sottolinea come Dio abbia scelto di far abitare la sua Parola in una dimensione umana con l’incarnazione.

Materia, spazi e spiritualità femminili hanno favorito l’evento straordinario della nascita del Figlio. “L’essere-prima della Madre indica lo schiudersi della possibilità che anche noi diventiamo capaci di dire di sì a Dio”.[4] Tale primato di donna – pur nella sua assoluta e irripetibile originalità – è affascinante per chi indaga sull’identità di genere non in astratto o per slogan ma richiamandosi a esperienze personali e vissuti di fede.

La figura di Maria come mediatrice e inter-cedente tra noi e il Padre stimola la preghiera che percorre i passaggi misteriosi (“gaudiosi, dolorosi e gloriosi”) della vita della Vergine, i quali sono, pur in modi diversi, propri dei percorsi di tutte le donne. Inoltre, il suo “stare in mezzo” indica una presenza necessaria nella storia attuale percorsa da polarità conflittuali e scontri gravissimi. Inutile richiamare le infinite richieste di pace che risuonano da anni da pulpiti diversi e le speranze riposte in accordi diplomatici che i signori della guerra abilmente eludono.

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caravaggio2Nei giorni successivi, riguardo quella noticina letta di sfuggita inerente lo “scudo blu” di Caravaggio e mi informo meglio con l’aiuto di un’amica, già docente universitaria di diritto internazionale[5]. Il Trattato di Roma (firmato il 25 marzo 1957), atto di nascita della famiglia europea, aveva previsto la protezione di beni culturali e strutture di culto in caso di conflitto armato.

Confermava in tal modo la Convenzione per la protezione dei beni culturali in caso di conflitto armato, trattato internazionale stipulato all’Aja il 14 maggio 1954 in cui, per la prima volta, viene usata l’espressione “beni culturali” (tra cui quelli religiosi), considerati un patrimonio appartenente a tutta l’umanità e non soltanto ad una delle fazioni che prendono parte al conflitto. Già in precedenza – sempre all’Aja nel 1899 e nel 1907 – due trattati internazionali si erano occupati di tutela di beni culturali in caso di conflitto e, dopo il 1954, un secondo protocollo (marzo 1999) integrerà la Convenzione con disposizioni e precisazioni applicative.

L’articolo 16 del documento così descrive il citato contrassegno: “Il segno distintivo della Convenzione consiste in uno scudo appuntito in basso, inquadrato in croce di S. Andrea in bleu e bianco (uno scudo, formato da un quadrato bleu, uno dei cui angoli è inscritto nella punta dello stemma, e da un triangolo bleu al disopra del quadrato, entrambi delimitati dai triangoli bianchi ai lati)”.

Le immagini di monumenti e chiese devastati dai conflitti in corso, e quotidianamente sotto i nostri occhi, inducono a ciniche considerazioni sull’efficacia di tale distintivo. Tuttavia, lo sforzo di molti che hanno provveduto a riparare opere d’arte e proteggere monumenti da sciagure belliche ci invitano a meglio conoscere e a difendere intese che – da più di un secolo – sono state sottoscritte e che hanno favorito iniziative di ampio respiro umanitario.

Riguardo alcune date di tali documenti. Ritorna spesso il mese di maggio e anche il 25 marzo, festa dell’Annunciazione della Vergine, quando la Chiesa cattolica ricorda l’Incarnazione. Un caso? Chissà…

Certo è che sotto quel cielo di Lombardia “così splendido, così in pace” nel maggio scorso, a Caravaggio, risuonavano preghiere a Maria particolarmente intonate.


[1] https://www.scudoperlacultura.it/caravaggio-lo-scudo-blu-al-santuario-di-santa-maria-del-fonte/

[2] HANS URS VON BALTHASAR, Il rosario. La salvezza del mondo nella preghiera mariana, Jaca Book Milano, 1978 e 1991, pag. 11.

[3] Ivi, 1991, pag. 10.

[4] Ivi, 1991, pag. 10.

[5] Ringrazio la professoressa Gabriella Venturini per l’aiuto prestato in questa breve ricerca.

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