Un detenuto ha condensato in alcuni pensieri la sua esperienza personale. Essa può tornare utile ai preti costretti all’isolamento da Covid-19.
Nessuno se n’intende come un carcerato, per dura esperienza personale. Tanto più se costui, ora libero, è di nuovo chiuso in una stanza a causa del covid. Sembra il più “autorizzato” a dar consigli sull’isolamento, anzitutto ai suoi ex colleghi detenuti; ma non solo.
Riporto allora (in corsivo e qualche aggiustamento redazionale) il suo… quasi decalogo laico, con un mio commento, ma immaginando di rivolgermi a un prete in isolamento (da covid, non da detenzione).
- «Ricordati che, mentre tu sei recluso, isolato, perfino fossi in infermeria, c’è chi altrove sta nel braccio della morte»
Non è carino consolarsi pensando a chi sta peggio di te. Semmai pensa che ora la vita ti mette nella condizione di com-patire (= soffrire-assieme, non solo commiserare) la solitudine non solo di chi è in terapia intensiva, ma di chi ha perso un amore o la speranza, o non può nemmeno vedere i suoi figli, o di chi è stato tradito o allontanato, o costretto a fuggire dalla sua terra…
Nel tuo isolamento impara, una volta tanto, a farti carico del dolore del mondo non in teoria (come spesso facciamo noi preti), ma in modo molto concreto e con la tua quota di dolore. Non passare tutto questo tempo a piangerti addosso, non sprecarlo cercando conforto nei tuoi “contatti”, come adolescente che non vuol crescere. Accetta questo isolamento provvidenziale per staccarti da quell’autoreferenzialità regressiva che mortifica il tuo essere per-gli-altri.
- «Non fare mai il conto alla rovescia, dimentica ogni possibile data di fine pena perché magistrati e destino possono giocare con te, trovare mille ragioni per spostare più avanti la tua liberazione»
Non litigare con la solitudine, può esser tempo prezioso. Ad es. per fare esercizio d’autonomia, e imparare a stare in piedi sulle tue gambe, libero, e così viver meglio le relazioni. Tutto poi dipende dal significato che le dai: se la solitudine è solo assenza dell’umano, allora diventa insopportabile, se invece la scopri quale presenza del divino si riempie di luce e calore, tu non sei più solo e il tuo cuore diventa «un’isola di Dio, una filiale del cielo» (Rilke).
E ti risuonano nuove, allora, parole già note, ma forse mai sentite così… da vicino e proprio per te: «Tu sei mio figlio, t’ho amato da sempre e per sempre, sei la mia gioia…». Hai mai pianto per queste parole?
- «Le giornate non devono “sembrarti” tutte uguali, “devono” essere tutte uguali. Ogni variazione può complicarti l’equilibrio. Leggi o fai ginnastica o riposati… Ma tutto sia regolato»
Finalmente sei tu che puoi dare una struttura precisa alla tua giornata, approfittane! Datti un ordo, non solo un orario; una disciplina personalizzata, come una norma che s’ispira alla forma che tu vuoi acquisire, quella dei sentimenti del Figlio, il bel Pastore. Con pazienza e regolarità e, una buona volta, facendo le cose con calma e assaporandone il senso.
L’ascetica dei gesti ripetuti, se motivata e costante, apre alla mistica dei gusti evangelizzati. È ascesi umile e “povera”, ma ti regala un po’ per volta un’impagabile ricchezza: il sapore delle cose di Dio e la libertà di far tutto per amore. E questa è sostanza che ti resta, oltre la quarantena!
- «Impara una qualunque cosa che non conoscevi»
Impara, ad es., a cercare Dio anche nella rarefazione relazionale, nell’inattività, nel deserto… Non pare scuola molto frequentata tra di noi. Più in concreto, ho raccolto in questa pandemia lo sfogo di diversi preti, con stress-da-inerzia (pastorale): «ci manca l’apostolato diretto!», mi spiegano.
Ma, se davvero ti manca, perché non sfruttare spazi finalmente liberi, nella tua giornata, per inventare-tentare nuovi approcci, immagini, parabole, sistemi comunicativi, modi più o meno folli e geniali, moderni e inediti, digitali o tradizionali… di annunciare Gesù come la cosa più bella al mondo…? Altrimenti, quello sfogo non è credibile e a te non manca proprio un bel niente. Saprai, penso, che la creatività non è legata al quoziente intellettuale, ma alla passione del cuore.
Basta con quel grigiore mediocre e contagioso (molto più del covid), depresso e deprimente di chi può solo copiare dagli altri perché non ha alcuna passione in cuore. Se sei innamorato del Signore Gesù, troverai il genio di farlo amare.
- «Non ricordare e non fantasticare, vivi nel presente, anche se è fatto di poco o nulla»
È nel tuo vissuto attuale, gradevole o meno, che l’Eternamente chiamante ti chiama, e ti dona/chiede qualcosa di sempre nuovo, che forse non capisci subito: è normale. Ma non è buon motivo per scappare da quell’evento, anche se non coincide col tuo desiderio. Né per pensare che il tuo presente sia “fatto di poco o nulla”, tempo perso e inutile…
Stai certo: anche tale apparente improduttività è mistero “pieno di grazia”. Accoglila, non maledirla, ti purifica e concentra sull’essenziale, che è il tuo niente riempito di Dio. Non tutti sanno che il nostro è un Dio singolarmente attratto dal nulla, e che fa grandi cose in chi accetta il suo nulla.
- «Ricordati, comunque, che non sei innocente»
Tranquillo, qui non parliamo di colpe (né di complotti), semplicemente dovresti capire che pure tu hai la tua parte in questa infezione, e che sarebbe da imbecilli continuare con stili di vita irresponsabili ed egoisti.
Non possiamo e non puoi neanche tu continuare a correre e correre, per sborracciare messe veloci e gestire riunioni su riunioni, per arrivare – col fiatone – dappertutto e rispondere a tutti, in un mondo, e a volte in una pastorale, segnati dall’eccesso: troppa fretta, troppo rumore, troppa visibilità, troppo social, troppo (don) Narciso…
- «La fede aiuta, ma o ce l’avevi prima o non vale»
Bella predica per chi predica agli altri la fede, e dà per scontata la sua! E rischia anche lui di (ab)usare (del)la fede, e (di) Dio, per ottenere – come fosse un raccomandato – d’evitare le storture e aporie della vita; o s’illude di credere in Dio, ma senz’aver ancora imparato a fidarsi del Padre, o dice di fidarsi di Dio, ma non degli uomini e della vita. Quella fede “non vale”, non è fede…
Ma, se impari a coniugare fede e fiducia, allora guarderai al futuro con la certezza che Dio è fedele e non ti mollerà, perché – buon per te – è fedele alle sue promesse (non alle tue pretese). Non v’è certezza più luminosa di questa, capace di rischiarare la notte più oscura e far compagnia alla solitudine più vuota.
- «Finirà e, quando accadrà, abbassa la testa, ringrazia e vai»
Splendida lezione di stile da parte di chi potrebb’esser anche un po’ arrabbiato con la vita. Quattro verbi gravidi di senso e luce.
Finirà: certo, ma non perché “tutto andrà bene” e te la sfangherai anche stavolta, finirà per te solo quando scoprirai quanto la tua solitudine è stata riempita di grazia e tenerezza divine.
Abbassa la testa: questa pandemia ti ha umiliato? Bene, accetta allora d’esser vulnerabile, d’aver toccato con mano la pochezza della tua fede, d’aver visto in faccia le tue paure, d’aver gridato al Signore la tua impotenza… È in quel grido che nasce la fede verace, anche quella d’un prete.
Ringrazia, perché il tuo limite è diventato la porta d’ingresso di Dio nella tua vita.
E vai: vai a raccontar tutto ad altri, a partire dai tuoi colleghi preti, a chi non sa ancora quanto Dio possa riempire le solitudini e rompere gli isolamenti, l’unico che possa appagare l’infinita sete d’amore del cuore.
- «Prova con la telepatia, ma con una sola persona»
Mi ha sorpreso questo invito, ma se telepatia, in realtà, vuol dire comunicazione metasensoriale di pensieri, sentimenti, umori con qualcuno anche a distanza, allora c’è una telepatia nella vita del prete, quella con Dio (e solo con lui!), anzi, la teo-patia.
Termine invero poco usato, ma che dice il cuore del tuo mistero, se è vero che il prete è «uomo di carne, ma con la prolunga nel mistero» (don Fuschini).
Se tu sei chiamato a rappresentare Dio, non puoi pensare che basti per questo compiere certe azioni (sacre) e magari averne un certo prestigio, come facevano i nostri… padri sbagliati (i preti del Tempio, farisei e scribi); tu sei chiamato ad avere la stessa passione di Dio, il suo identico pàthos, i suoi gusti e desideri, sentimenti e sensibilità, così stupendamente manifestata nella vita terrena del Figlio, specie nella sua passione.
Non accontentarti di studiare la teo-logia, né pretendere la teo-fania, ma chiedi la grazia della teo-patia, d’entrare nel mondo straordinario dell’Eterno. Che ti fa pensare i pensieri di Dio, vedere coi suoi occhi, ascoltare con la sua comprensione, commuoverti con le sue viscere, piangere le sue lacrime, amare col suo cuore, accarezzare con le sue mani… Mistero grande!
C’è qualcosa di più bello?
Sono in isolamento COVID.
Trovo i sentimenti del collega ex detenuto molto ragionevoli.
È un peso che da anche fastidio, ma anche arricchimento. Penso ai miei bravi parrocchiani che se la sbrigano bene e non vedo l’ora di andare a vedere come sta la nostra “casa”.
Siamo tutti nelle mani di Dio che ci pensa e ci vuol bene senza che gli siamo indispensabili.
Molto interessante, grazie, Padre Amedeo, per l’acutezza di questo parallelo tra la vita di un detenuto e di un prete in quarantena.