Forse è ancor più evidente e invadente della paura. Sembra meno pericolosa e per nulla patologica. È la sensazione dell’attesa, reazione del tutto naturale a ciò che stiamo vivendo in questi tempi.
Siamo “tutti in attesa”, e se l’espressione rimanda alla dolce attesa materna di chi sta per nascere, nell’epoca della pandemia si attende ciò che si teme, o comunque con timore, ciò che non si può sapere in anticipo, né gestire come dipendesse da noi: dall’esito dei tamponi all’incertezza di poter esser curati e di guarire; da chi attende il proprio caro, “prelevato” da casa e senza la possibilità di vederlo e accudirlo, allo stesso malato che ancor più ansiosamente aspetta di tornare tra i suoi; per non dire del senso drammatico di attesa in colui cui manca l’aria da respirare come in chi teme di perdere il lavoro…
Torna l’eco del lamento del salmista: “tra noi nessuno sa fino a quando” (Sal 74,9): fino a quando dovremo privarci di abbracci e strette di mano, fin quando queste maschere che ci rendono irriconoscibili, fin quando questa insicurezza che ci ruba la gioia e la voglia di vivere?
“Andrà tutto bene”, ci raccontavamo con patetica sicurezza alla prima ondata: oggi nessuno più lo osa dire! Realismo un po’ disperato, o demolizione di certezze fin qui accumulate?
D’altronde, “attendere” è verbo tipicamente umano, è la tensione di chi è pro-teso verso qualcosa d’importante che gli manca, verso un desiderio. Ma, mentre l’attesa indica qualcosa che l’uomo può solo aspettare, e i cui tempi d’attesa non dipendono da lui, il desiderio sottolinea di più l’atteggiamento attivo di chi coglie bellezza e verità di qualcosa (qualcuno) e fa di tutto per averlo.
L’uomo è essere desiderante. E, se la paura, come dicevamo l’altra volta (cf. SettimanaNews, 22 novembre, Sentimenti di questo tempo: la paura), è alla radice paura di Dio, così il primo e ultimo desiderio, nascosto dietro ogni desiderio, è quello di Dio. Così per ogni uomo e donna, credente o non credente, anche per chi non lo sa o lo irride, o non c’ha mai pensato o lo trova… troppo spirituale.
L’Avvento che stiamo vivendo è, in tal senso, metafora della vita umana, quale attesa-desiderio del Veniente. In realtà, metter Dio come punto finale d’ogni attesa-desiderio ci può aiutare a verificarne la qualità. Anche nel tempo della pandemia.
Dall’attesa alla pretesa
C’è un modo vero di attendere e uno meno vero o falso addirittura. Laddove vero sta per realistico, corrispondente alla natura di ciò che si attende, e al modo di porsi dinanzi all’atteso. Ad es., aspettarsi che la vita sia senza problemi e la felicità un diritto senz’alcun dovere, o che amare sia cosa spontanea e basti (lasciarsi) andare “dove ti porta il cuore”, vuol dire esser fuori di testa e andare proprio da nessuna parte o in fondo a qualche precipizio.
Ma c’è un’attesa pure nei confronti di Dio che non ci conduce dalle sue parti, come ad es. pensare che Dio debba sempre rispondere alle mie richieste o sia sempre d’accordo con me o si lasci trovare ove io lo cerco o debba intervenire per risolvere in un baleno problemi che in fondo ho creato anch’io…, tutto ciò non solo è porsi fuori della realtà e del vangelo, ma semplicemente è attesa d’un dio-che-non-esiste, se non nelle nostre paure e attese infantili.
Da cui nascono tante pretese adulte. Pre-tesa come imposizione e, in tal caso, imposizione dell’attesa umana su Dio, ovvero la creatura che si fa un dio a sua immagine e somiglianza, e pretende che intervenga (cf. Sal 115,4-8). Arrabbiandosi e accusandolo se non lo fa. Come uno che sta sul binario sbagliato e s’ostina ad aspettare un treno che non passerà mai… La pretesa su Dio genera solo idoli.
Dalla promessa all’attesa
La realtà che stiamo vivendo, invece, ci sta mettendo davanti al Dio vero, che da sempre nelle Scritture sante ode il gemito di chi è solo e oppresso, ma che suscita anche nel suo popolo la voglia di libertà, lo provoca a mettersi in cammino e gli apre davanti un mare. Verso una Terra Promessa. Infatti è il Dio della promessa. Promessa che viene da lui ed è sempre più grande di noi e della nostra misura, bypassa e trascende alla grande ideali, sogni, paure, progetti umani, ed eleva all’estrema potenza la nostra capacità di bene e di felicità…
Eppure questo Dio in fondo non ci piace, perché è lui a prender l’iniziativa, perché quel che ci promette è fin troppo (pare impossibile!), perché risponde non alle nostre attese-pretese, ma alle sue promesse, e poi nei tempi e modi che lui sa, non quando diciamo noi, che intanto soffriamo, e non vediamo alcuna promessa realizzarsi.
Non è facile attendere-desiderare-sperare contro ogni speranza, quando le cose vanno male e noi ci sentiamo fragili e indifesi. Eppure è passaggio indispensabile per non soccombere: proprio allora sperimentiamo tutta la forza e il senso di quel concentrato di attesa-desiderio-speranza, quel mix di realtà presente e di futuro promesso che è la fede. Della fede – come diceva Lutero – che «è una stanza vuota, buia, in cui non si vede e non si sente nulla. Ma in quella oscurità c’è Dio!», il Dio fedele alla promessa, dunque veritiero. Quel Dio che non può esser preteso, ma “solo” atteso.
Mai atteso come in questo Avvento.