Tutti Santi e tantissimi morti

di:
spiritualità

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«A Lui che nell’erba del campo/ la spiga vitale nascose,/ il fil di tue vesti compose,/ de’ farmachi i succhi temprò,/ che il pino inflessibile agli austri,/ che docile il salcio alla mano,/ che il larice ai verni, e l’ontano/ durevole all’acque creò;// A Quello domanda, o sdegnoso,/ perché sull’inospite piagge,/ al tremito d’aure selvagge,/ fa sorgere il tacito fior».

Il Dio che tutto governa, natura e santi

Il perché dell’erba, della spiga, dei pini e salici e larici e ontani, va chiesto, scrive il poeta Alessandro Manzoni, solamente A Lui, a Dio che tutto volle e tutto dispose in un creato ordinato.

Concepito nel 1830 e ripreso nel 1847, che Manzoni interruppe, insoddisfatto del risultato, alla quattordicesima strofa, l’Inno Ognissanti – rimasto allo stadio di frammento – indugia sull’immagine del fiore e della natura vegetale; esso, nel suo silenzio e nella sua solitudine ignorata da ogni sguardo nutrito di orgoglio, spiega, con semplicità e innocenza assolute, davanti al suo unico spettatore, Dio, la «pompa del ricco suo velo»: ecco lo splendore colorato della sua corolla, che viene donato ad un cielo vuoto, dove nessuno coglie il sacrificio di quel dolce profumo e l’inutile bellezza di quei colori.

Meditare su tutti i santi, come il poeta c’invita a fare il primo giorno di novembre, è cogliere il senso di ogni dettaglio dell’insieme. Ma, per farlo, occorre la semplicità di spirito. Come disse papa Francesco il 1° novembre 2020: «In questa solenne festa di Tutti i Santi, la Chiesa ci invita a riflettere sulla grande speranza, che si fonda sulla risurrezione di Cristo: Cristo è risorto e anche noi saremo con Lui. I Santi e i Beati sono i testimoni più autorevoli della speranza cristiana, perché l’hanno vissuta in pienezza nella loro esistenza, tra gioie e sofferenze, attuando le Beatitudini che Gesù ha predicato e che oggi risuonano nella Liturgia (cf. Mt 5,1-12a). Le Beatitudini evangeliche, infatti, sono la via della santità».

Il mese di novembre propone, nel calendario cristiano, due grandi meditazioni: Ognissanti e Commemorazione dei fedeli defunti, ovvero lo sguardo su tutti coloro che sono stati chiamati a realizzare le Beatitudini, e l’occasione provvidenziale per meditare sui “novissimi”: morte, giudizio, inferno e paradiso, con particolare attenzione allo stadio intermedio di tanti che stanno scontando le pene dopo la remissione delle colpe (quello che la Chiesa chiama purgatorio).

Una marea di morti con covid-19

I nostri morti per i più svariati motivi, se ci sono cari, hanno un volto e un nome. Ma quanti sono i morti senza volto. Ormai quasi non li contiamo più i morti con covid-19. Varie stime pongono le vittime della pandemia di Covid-19 tra i 15 e i 20 milioni. Solo in Calabria i deceduti dell’anno 2021 – distinti in 3 gruppi differenti, ovvero deceduti ricoverati in un reparto di terapia intensiva; deceduti ricoverati in un reparto ospedaliero ma non in terapia intensiva e deceduti non ricoverati né in terapia intensiva, né in altro reparto ospedaliero – sono tantissimi. I numeri ottenuti solamente dalle cartelle cliniche assommano a 8.436 vittime molte delle quali andate via in solitudine o in isolamento.

I morti in mare. Ci sono poi, ancora, i morti in mare. Adesso abbiamo anche la nuova denominazione del Ministero del mare e del Sud, per ricordarci i tanti, troppi, morti in mare sulle coste meridionali italiane, porto sicuro dei tanti approdi di profughi, rifugiati e cercatori di terre di sopravvivenza.

Il Ministro che ha ricevuto in dote un dicastero del Sud e delle politiche del mare dovrà confrontarsi con il ministero delle Infrastrutture e delle mobilità sostenibili, ben sapendo che dai porti sicuri dipende, come ci ha insegnato l’esperienza del 2018, anche l’arrivo dei migranti sulle nostre coste.

Se, secondo Neodemos, nei prossimi decenni la migrazione sarà l’unico motore della crescita demografica nei Paesi ad elevato reddito, poiché il numero di decessi supererà progressivamente quello delle nascite; e, al contrario, l’aumento della popolazione nei Paesi a basso e medio reddito continuerà a essere guidato da un eccesso di nascite rispetto ai decessi. Tutto questo induce a più di una riflessione.

La vita tormentata della poetessa Alda Merini – percossa anche da un internamento in manicomio dove si praticava l’elettrochoc (prima della Legge Basaglia) – è ben consapevole che la morte senz’amore non è mai un vivere quieto.

Del resto – osserva la poetessa – quando non c’è la via dell’amore che ripara, il rischio è appunto quello del suicidio: «Se la morte fosse un vivere quieto,/ un bel lasciarsi andare,/ un’acqua purissima e delicata/ o deliberazione di un ventre,/ io mi sarei già uccisa.// Ma poiché la morte è muraglia,/ dolore, ostinazione violenta,/ io magicamente resisto.// Che tu mi copra di insulti,/ di pedate, di baci, di abbandoni,/ che tu mi lasci e poi ritorni senza un perché/ o senza variare di senso/ nel largo delle mie ginocchia,/ a me non importa perché tu mi fai vivere,/ perché mi ripari da quel gorgo/ di inaudita dolcezza,/ da quel miele tumefatto e impreciso/ che è la morte di ogni poeta» (Alda Merini, Elogio della morte).

La poetessa quasi fa eco a Salvatore Quasimodo: «Sradicato dai vivi,/ cuore provvisorio,/ sono limite vano» (S. Quasimodo, Al tuo lume naufrago, vv. 5-7, da Erato e Apòllion)».

Carlo Bo vedeva qui compendiato il senso stesso della ricerca umana e religiosa di Quasimodo, il quale sta meditando religiosamente sui morti e sulla morte: la condizione di ontologica di precarietà in cui versiamo, in quanto invischiati nella nostra finitudine – dolente ed effimera sostanza – se presa in balìa del tempo che tutto macera e inghiotte, fa rischiare la disperazione.

Scriveva ancora Quasimodo: «Pèrdimi, Signore, ché non oda/ gli anni sommersi taciti spogliarmi,/ sì che cangi la pena in moto aperto:/ curva minore/ del vivere m’avanza» (S. Quasimodo, Curva minore, vv. 1-5, da Òboe sommerso)».

Leonardo Sinisgalli addita, in questa valle di lacrime, la luce del Risorto: «Ci è toccata questa valle, questa valle/ abbiamo scelta per tornarci a morire./ Dove Gesù risorgerà con molta pena/ noi speriamo ardentemente di sopravvivere/ nel cuore dei compagni,/ nel ricordo dei vicini di casa e di campo» (da Pasqua 1952).

Forti di questa verità, ci resta una salda consapevolezza, così sintetizzata da Erich Fromm: «Morire e tremendo, ma l’idea di morire senza aver vissuto è insopportabile».

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