Riflettendo sulle letture del Natale, mi ha colpito il dettaglio «non c’era posto per loro». Il pensiero è andato non solo alle vicende della famiglia di Nazaret, ma a quanti, oggi, non hanno “posto”. A livello internazionale, ebrei e palestinesi, ucraini e russi, popoli affamati e sfiniti, ma anche ai nostri che conosciamo.
Quanti aspettano nei pronti soccorsi: appoggiati sulle barelle, in attesa di un posto nel reparto. Chi è ricoverato nelle RSA, senza futuro, guardando il soffitto della camera, in attesa di morire. Chi è senza casa, chi senza lavoro, chi non sa cosa vuole dalla vita. Chi non riesce ad approdare in un paese civile.
Una moltitudine immensa, dimenticata e disprezzata.
Nel frattempo, scrive l’antropologo: «La superproduzione mitologica di oggi, infatti, è figlia primogenita della connessione permanente in cui siamo gettati. Dal labirinto wireless che ci cattura, e che rende flat il nostro vivere ma anche il nostro essere. Moltiplicando esponenzialmente relazioni, informazioni, possibilità, conoscenze, esperienze, competenze, immagini. […] Dalla bistecca al sushi. Dall’elettrico all’hitech. Dalla straripante eccedenza delle maggiorate al glamour penitenziale di una bellezza anoressica. Dalla solida materialità di un immaginario che sognava oggetti, persone, cibi pieni. Alla liquida immaterialità del nostro tempo incantato dalla seduzione dell’inconsutile. Dalla fascinazione del vuoto» (N. Niola, I miti d’oggi, Bompiani 2012).
L’età post-moderna, come la chiamano i nostri teologi e storici della Chiesa, invoca la gratitudine per quanto Dio, senza nostro merito, ci ha concesso.
Salendo le scale, guardo chi, da quando è nato, non può salire nemmeno un gradino: una frustrazione permanente finché vivrà.
Gesù fu fortunato: avere avuto una famiglia, essere nato sano, aver avuto il tempo di meditare la sua missione, averla potuta diffondere. La sua fortuna non l’ha tenuta per sé. L’ha tradotta in un messaggio di pace, di rispetto, di fratellanza, combattendo pregiudizi, ma anche “verità” incrostate da ambizioni umane. Per questo riuscirà a donare la sua vita, anche se crocifisso ingiustamente.
Non una lezione e una testimonianza, ma una donazione, senza distinzioni, a cominciare dai più fragili.
Offrire posto a chi non l’ha non è una delega da affidare a qualcuno, ma celebrare la divinità di Cristo, lodando Dio per i privilegi concessi.