Sinodalità, cantiere aperto

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La sinodalità, tema di stretta attualità oggi nella Chiesa – più volte sollecitata da papa Francesco e di recente richiamata dal presidente della Cei, card. Gualtiero Bassetti, come una proposta da fare anche alla società – è stata al centro dei lavori del convegno nazionale interfacoltà Sinodalità: una Chiesa di fratelli e sorelle che camminano e decidono insieme, che si è svolto il 12 aprile a Padova, alla Facoltà teologica del Triveneto, con la partecipazione di 450 persone ed è stato trasmesso in diretta streaming.

Una Chiesa dell’ascolto

convegno teologicoSette teologi e teologhe, provenienti dalle principali istituzioni accademiche italiane, hanno reso pubblico un lavoro triennale di ricerca sulla dimensione sinodale della Chiesa che ha coinvolto una ventina di professori delle Facoltà teologiche del Triveneto (capofila), di Sicilia, Pugliese, dell’Italia centrale, dell’Emilia-Romagna, dell’Italia settentrionale e l’Istituto universitario Sophia, ed è stato interamente sostenuto dal Comitato e dal Servizio nazionale per gli studi superiori di teologia e di scienze religiose della Conferenza episcopale italiana.

Aprendo i lavori, mons. Ignazio Sanna, presidente del Comitato, ha affermato che il termine “sinodalità” indica il percorso e un efficace metodo di lavoro per le diverse istituzioni ecclesiastiche: «Abbiamo bisogno di sinodalità – ha affermato – per essere popolo di Dio e punto di riferimento morale e sociale per il paese».

Una sfida, quella di una Chiesa dell’ascolto reciproco, che è stata sottolineata anche dal preside della Facoltà teologica del Triveneto, mons. Roberto Tommasi, nel suo intervento di saluto. Entrambi hanno salutato e augurato buon lavoro al nuovo responsabile del Servizio nazionale per gli studi superiori di teologia e di scienze religiose, mons. Valentino Bulgarelli, preside della Facoltà teologica dell’Emilia-Romagna, che era presente in sala.

Nel complesso, il convegno ha dato uno sguardo panoramico sulle questioni legate al termine “sinodalità”, parola recente, che non si trova nei documenti del concilio Vaticano II ma che esprime una conseguenza di quanto il Concilio afferma sulla Chiesa e sulle relazioni che la costituiscono e ne rendono possibile la missione.

«La sinodalità dice il modo in cui nella storia la Chiesa vive in quanto popolo di Dio, fatto da uomini e donne chiamati a partecipare alla sua missione – sintetizza Riccardo Battocchio, vicepreside della Facoltà teologica del Triveneto e coordinatore del gruppo di lavoro interfacoltà –. La sinodalità è un esercizio, richiede disponibilità a liberarsi dai blocchi interiori, ma anche culturali, e a ripensare alcuni strumenti attraverso cui si esprimono la partecipazione e il servizio di alcuni alla vita della Chiesa, in modo diverso e con compiti diversi».

«Non si tratta ora – prosegue – di pensare a un’altra Chiesa ma di vivere in questa Chiesa con la consapevolezza di essere tutti chiamati, pur in modo diverso, a partecipare alla missione che Gesù ha ad essa affidato».

Piero Coda (Istituto universitario Sophia e Commissione teologica internazionale) ha evidenziato come la sinodalità vada colta e accolta nel suo significato strategico: non un “adeguamento cosmetico” ma – citando Evangelii gaudium – una necessaria chiamata alla conversione, purificazione e riforma. «La disaffezione nei confronti dei metodi di partecipazione e la tentazione di chiudersi nei particolarismi – ha detto – oggi chiedono una responsabilizzazione delle comunità cristiane e processi di discernimento comunitario».

Una proposta per la società

Due le linee di sviluppo individuate: dare spazio all’apporto dei laici nei processi decisionali e una riforma delle norme di diritto canonico. Senza dimenticare l’importanza della formazione, tema su cui si è soffermato anche Michele Visentin (dirigente scolastico e docente dell’Istituto superiore di scienze religiose di Padova) che ha sottolineato come «non si impara a decidere se non prendendo decisioni», domandando e ascoltando con responsabilità, e che Roberto Mancini (Università di Macerata) ha ripreso evidenziando la dimensione della sinodalità come «stile di Chiesa che si propone anche come servizio alla società, offrendo luoghi di formazione al dialogo».

La sinodalità infatti, pur essendo un termine che appartiene al linguaggio ecclesiastico, è «proponibile anche al mondo globalizzato, segnato da forme di potere dominanti, da logiche di mercato, dalla tecnocrazia, dal sistema mediatico» – ha spiegato Mancini.

solitudine

Ci si pensa autonomi, indipendenti, autosufficienti, mentre la sinodalità ci richiama alla relazionalità costitutiva dell’uomo (e non solo del credente), al senso dell’essere in relazione e quindi capace di sottrarsi al dinamismo del potere, alla logica per cui l’altro è l’avversario, la natura è solo l’ambiente che ci circonda, Dio è del tutto separato dal mondo, la morte è la fine di tutto». Dove oggi le persone sono considerate risorse o esuberi o scarti, Mancini invita ad «abitare le relazioni, a prendersene cura» e a considerare la sinodalità «un dono, che va accolto e chiede fedeltà e che, riconoscendo tutti come figli e figlie di Dio, quindi fratelli e sorelle, può restituire luce e respiro non solo alla Chiesa ma a tutta la società».

Il richiamo alla fraternità è stato sviluppato da Carmelo Torcivia (Facoltà teologica di Sicilia), coniugato con l’atto del prendersi cura del fratello, con il legame di custodia reciproca, e rafforzato con l’invito a uscire dall’ecclesiocentrismo, per non rischiare di restare invischiati in “questioni da sagrestia” o “di curia”: «Occorre spezzare – ha esortato Torcivia – il cerchio della relazionalità settaria, delle azioni introflesse, per costruire comunità parrocchiali in cui abbiano diritto di cittadinanza anche coloro che non sono credenti; così come bisogna rifiutare le logiche formalistiche e di carriere ecclesiastiche».

Serena Noceti (Istituto superiore di scienze religiose della Toscana) si è soffermata sulla complessità dei processi decisionali che sottostanno alle dinamiche sinodali (decision making e decision taking) e ha rimarcato che la struttura decisionale della Chiesa deve diventare «sempre più articolata, polimorfa, flessibile, capace di generare idee nuove, stimolo reciproco, esperienze comuni, critiche costruttive e senso di appartenenza», promuovendo processi decisionali collettivi articolati tra uno, alcuni, tutti; fra le problematiche e le sfide aperte ha evidenziato la necessità di valorizzare la corresponsabilità dei laici e di superare la questione del genere, dove oggi prevale l’autorità dei soli maschi.

Novità  e nodi irrisolti

Di taglio prettamente ecclesiologico e canonistico le ultime due relazioni. Dario Vitali (Pontificia Università Gregoriana), con uno sguardo storico, ha evidenziato il passaggio dal modello “gregoriano” di Chiesa a un modello caratterizzato dalla circolarità fra sinodalità (della Chiesa), collegialità (dei vescovi), primato (del vescovo di Roma); egli ha fatto osservare come il sinodo dei vescovi, in quanto tale, non rappresenti ancora un esercizio della collegialità episcopale.

sinodo vescovi

Tema, quest’ultimo, ripreso da Matteo Visioli (Congregazione per la dottrina della fede) alla luce della costituzione apostolica Episcopalis communio, di cui ha mostrato novità e nodi non ancora del tutto risolti, segnalando come alcune aperture del documento suggeriscano la possibilità di pensare al sinodo dei vescovi come espressione del “magistero ordinario” dei vescovi diffusi nel mondo, insieme col papa, secondo quanto previsto dal n. 22 di Lumen gentium.

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