Nel suo ultimo libro – Relazionalità creaturale e comunione ecclesiale. Un’ecclesiologia pubblica in chiave analitico-processuale, Cittadella Editrice, 2024 – Massimo Nardello prende seriamente in considerazione i limiti delle visioni ecclesiologiche idealiste, ancora ampiamente diffuse sia nei trattati accademici sia nei comuni discorsi riguardo a cosa sia la Chiesa.
Superare la metafisica essenzialista
Queste visioni propongono un modello ideale che viene compreso in modo astratto e atemporale – ad esempio la Trinità – indicando che esso permette di comprendere per analogia cosa sia la natura soprannaturale della Chiesa e da quel modello poi fanno discendere alcune caratteristiche che ogni comunità ecclesiale deve avere.
Come ben segnala l’autore, queste prospettive «possono ispirare l’esemplarità delle comunità ecclesiali ma risultano incapaci di interpretare la prassi dei credenti (p. 208)». Ad es., una tale visione finirà per «ostacolare o marginalizzare il riconoscimento del dissenso e dei malumori che caratterizzano inevitabilmente i membri di una diocesi, parrocchia, associazione… si rimanderà all’ideale trinitario come risolutivo di ogni problema e, siccome in Dio il dissenso non esiste, si cercherà di silenziarlo (p. 8)».
L’autore mette in luce che questo modo di fare teologia affonda le sue radici in una metafisica essenzialista, che indica il fondamento della realtà in qualcosa che esiste al di là della storia e della cultura e che può essere compreso ed espresso in un insieme di concetti.
Un impianto di questo tipo mostra la propria fragilità in campo teologico quando si prendono in esame i cambiamenti più significativi avvenuti lungo la storia cristiana, ad es., in campo morale la valutazione della schiavitù, in campo sacramentale la comprensione del matrimonio, del suddiaconato e dell’episcopato, in campo trinitario la concezione che subordina il figlio al Padre, e così via. È ben difficile, infatti, per una teologia idealista dare ragione di cambiamenti rilevanti che sono avvenuti nella dottrina e nella morale e ancor più difficile ammettere la possibilità di nuovi cambiamenti.
Benché l’impostazione essenzialista e idealista sia ancora molto presente, oggi essa è criticata da più fronti: sia da chi vuole rispettare la trascendenza divina rispetto alla nostra capacità di formulare concetti, sia da chi vuole recuperare il peso della storia, della cultura e il dramma della libertà da cui non si può prescindere per comprendere ciò che è reale.
Per la cultura postmoderna, la pluralità e la parzialità dei concetti rispetto a ciò che è reale è un dato acquisito e una teologia che si sviluppa su presupposti essenzialisti appare ideologica e poco interessante. Al più può essere considerata un pensiero di nicchia, più o meno coerente al suo interno, ma incapace di confrontarsi con le esperienze concrete delle persone e quindi di entrare in dialogo con la razionalità del proprio tempo.
In sintesi, una teologia idealista ed essenzialista non interessa quasi a nessuno, se non ai pochi affiliati a quel gruppo che condivide quel sistema di pensiero, e non troverà mai spazio nel dibattito pubblico perché sembra incapace di offrire un contributo significativo.
Alfred North Whitehead e Kevin W. Hector
Per uscire da queste secche, Nardello si avvale del contributo di due studiosi che, nel volume, vengono presentati in modo chiaro e sufficientemente conciso, fornendone al tempo stesso una lettura critica: Alfred North Whitehead e Kevin W. Hector.
Del primo autore Nardello aveva già trattato diffusamente nel suo volume del 2018.[1] Qui in modo più breve riprende i principi chiave della «metafisica processuale»: un’intera rivisitazione del modo di concepire la realtà di tutto ciò che esiste, a partire da alcuni concetti assunti dalla meccanica quantistica e ponendo al centro la relazione.
Va sottolineato che questa visione filosofica attribuisce anche alla particella più elementare un certo grado di libertà, soggettività e finalità nel suo decidere di esistere in un modo piuttosto che in un altro, sebbene questa libertà sia bilanciata da un orientamento preferenziale che dipende da ciò che già esiste e dalla società che essa forma insieme ad altre particelle. «La caratterizzazione delle occasioni come dotate di una certa soggettività, che conferisce loro un profilo quasi antropomorfo, è un aspetto decisivo della metafisica whiteheadiana (p. 88)».
Della teologia di K. Hector, invece, Nardello presenta l’approccio analitico che pone attenzione alle dinamiche linguistiche di trasmissione della fede. Nel continuo evolvere delle culture e dei linguaggi, ogni comunità credente è guidata dallo Spirito a riconoscere ciò che in determinate espressioni è corretto, in quanto lo avverte come adatto ad esprimere la propria fede. Questo processo è chiamato «resoconto cognitivo»: come è facile intuire anch’esso, come la metafisica processuale, presuppone un continuo sviluppo ma questa volta l’enfasi è posta sul linguaggio e sulla comunità credente.
Cercando di integrare i contributi dei due autori scelti, Nardello abbozza le linee di un’ecclesiologia di comunione che pone la relazione al centro dell’essere e del vivere della Chiesa, fino ad affermare con uno slogan: «la Chiesa è relazione e viceversa (p. 189)».
Il fondamento di questa proposta ecclesiologica non è direttamente la Trinità, come avviene in teologie idealiste, ma un’interpretazione metafisica del cosmo e di Dio secondo la quale tutto ciò che esiste è frutto di relazione. Si tratta, dunque, di un’elaborazione teologica che tiene come filosofia di riferimento quella di A. Whitehead.
Su questo impianto di fondo, il contributo di K. Hector è utilizzato per indicare alcune linee guida che aiutano a comprendere l’intreccio tra dinamiche relazionali, linguaggio e adesione di fede.
Per raccogliere in sintesi con le parole di Nardello: «la Chiesa è un processo sociale, cioè l’espressione più alta di quella relazionalità che gli esseri umani sono chiamati a vivere in modo libero e consapevole attraverso le loro interazioni corporee, di cui quelle linguistiche rappresentano l’emergenza (p. 189)».
Il tentativo di fondare un’ecclesiologia di comunione non idealista è riuscito?
Il testo di Nardello offre spunti interessanti e promettenti, elaborando un modello teologico che inscrive la Chiesa nelle dinamiche relazionali creaturali, e quindi tipiche di ogni uomo e ogni donna, e, ancor prima, di tutto il cosmo, senza per questo sminuirne le particolarità.
Due rilevanti criticità
Al tempo stesso, a nostro parere, rimangono due criticità rilevanti. In primo luogo, attribuire una certa soggettività e libertà a tutto ciò che esiste, a partire dalle particelle elementari, è un’opzione non dimostrabile. Peraltro essa prende le mosse da alcuni concetti della meccanica quantistica, ma non ne condivide né il metodo né i presupposti (la fisica esclude questa soggettività).
Nardello è consapevole del limite e afferma: «La metafisica di questo autore (Whitehead)… non va valutata nei termini rigorosi di verità o falsità, ma in quelli di utilità o inutilità (p. 83)». Questo aspetto di utilità va approfondito, altrimenti rischia di far intendere che è lecito utilizzare qualunque visione o metafora che risulti utile (a quale scopo?), al di là del suo aspetto veritativo. Il concetto di utilità, se non chiarito, si presta a tante interpretazioni, come ad es. è utile per uno scopo politico sviluppare una certa ideologia e diffonderla nella società.
Il secondo limite riguarda la complessità dell’apparato concettuale messo in campo. Benché Nardello scriva in modo chiaro e lineare, rendendo agevole la lettura, questo testo sicuramente non può essere divulgativo ma è rivolto a specialisti. L’autore è consapevole di questo limite e nelle ultime pagine del volume spiega i motivi della sua scelta.
A nostro parere, tuttavia, dato che uno degli scopi di tutta la proposta è rendere la teologia capace di partecipare al dibattito pubblico, sarebbe più utile far riferimento a modelli meno complessi e tuttavia capaci di interpretare le dinamiche relazionali e comunicative tra persone.
Il progetto di Nardello è più ambizioso perché colloca la Chiesa in una comprensione complessiva del cosmo, di Dio e della società umana, ma per fare questo si appoggia alla visione cosmologica e di teologia filosofica di Whitehead, che risulta tutt’altro che condivisa in ambito pubblico.
A nostro parere, sarebbe più utile limitare il campo alle relazioni umane, assumendo alcuni concetti chiave dalle scienze sociali e psicologiche che sono ampiamente condivisi, per poi integrarli in un modello teologico capace di rendere ragione delle specificità della Chiesa.
Al di là di questi limiti, il testo di Nardello si presta a una lettura scorrevole per il lettore esperto ed è capace di far pensare, ponendo con chiarezza problemi, concetti e argomentazioni e soprattutto mostrando un tentativo coraggioso di fondare un’ecclesiologia su basi non idealiste.
[1] Massimo Nardello, Dio interagisce con la sua Chiesa. La fedeltà ecclesiale alla rivelazione divina alla luce della teologia del processo, EDB, Bologna 2018.