A cinquant’anni dalla promulgazione della notissima – e contestatissima – enciclica Humanae vitae, l’ATISM (Associazione teologica italiana per lo studio della morale) ha dedicato il suo XXVII Congresso nazionale (Torino, 3-6 luglio 2018) a una riflessione sul senso del testo di Paolo VI, indagandone gli apporti teologico-morali e antropologici, i nodi problematici, le questioni aperte.
Il contesto socioculturale odierno
Il contesto socioculturale in cui ci troviamo appare molto diverso da quello della fine degli anni ‘60, soprattutto nell’ambito della sessualità. Si pensi alla galassia del mondo giovanile, oggetto del prossimo Sinodo. La biografia dei giovani di oggi ‒ ha notato Franco Garelli ‒ contempla una pluralità di esperienze sessuali: il sesso è vissuto come un dato di fatto e di diritto, in un contesto sociale che lo esalta come strumento di salute psicofisica e veicolo di felicità.
La sperimentazione sessuale ‒ dilatata dal prolungamento di un’adolescenza interminabile ‒ è non solo ritenuta lecita, ma è consapevolmente perseguita come modalità di crescita e apertura al mondo. L’esperienza soggettiva diventa normativa, il sentire dell’individuo e della coppia è il criterio valoriale di fondo, l’affinità emotiva conta più che la condivisione di ideali o di progetti comuni.
Una tale percezione della sessualità e una tale prassi non possono essere però frettolosamente condannate, non solo perché si tratta di una condotta e di una mentalità ormai ampiamente maggioritarie ma anche perché vi si trova una ricerca di valori (reciprocità, autenticità, totalità…) che va colta e adeguatamente interpretata. Questo per favorire il passaggio ‒ sottolineato da Anna Bertani ‒ dall’emotività, che segue il principio di piacere ed è legata all’immediato, all’affetto, che implica il legame, la fatica del rapporto e quindi il tempo della crescita.
Non vi è dubbio che gli scenari culturali in cui ci muoviamo sono frutto di una molteplicità di fattori. Ciò appare molto evidente nel caso della concezione della sessualità, su cui influiscono in modo decisivo sia la prospettiva delle scienze umane, sia le novità introdotte dalle biotecnologie. È a partire da questa constatazione che Carlo Casalone ha registrato una nuova idea di sessualità, non più pensata come istinto unidirezionale, ma come sistema articolato nel quale la funzione genitale, pur avendo un ruolo essenziale, non è più unica né centrale e l’atto sessuale assume molteplici significati, a volte persino contraddittori fra loro.
Il solco tra sessualità e fecondità si è approfondito: nei paesi occidentali la pratica della contraccezione si è generalizzata a tal punto che il regime ordinario della sessualità è quello infecondo. La domanda ormai non è più se iniziare la contraccezione, ma se eventualmente sospenderla per qualche tempo.
Per un’ermeneutica di Humanae vitae
È del tutto evidente che questo contesto diventa, piaccia o no, l’orizzonte di fondo a partire dal quale oggi, dopo cinquant’anni, interpretiamo Humanae vitae.
Gilfredo Marengo, che ha potuto accedere agli archivi vaticani per uno studio sull’enciclica che apparirà nei prossimi mesi, ha riflettuto sulle ermeneutiche del magistero ecclesiale da Humanae vitae ad oggi. Il peso che il documento ha avuto dipende in gran parte dal suo percorso compositivo, che Paolo VI ha voluto porre nel solco della Gaudium et spes e che riflette soprattutto le sue preoccupazioni rispetto alla diffusione delle politiche antinataliste.
La ricezione di Humanae vitae fatta dallo stesso Paolo VI evidenzia una clamorosa insistenza sul piano pastorale rispetto a quello dottrinale, mostrando che l’enciclica non è riducibile al solo aspetto normativo. Sull’enciclica montiniana, ad ogni modo, si sono riversate tutte le tensioni e i conflitti del primo postconcilio, esattamente così come oggi accade per Amoris laetitia. Interessante il modo con cui Giovanni Paolo II e Benedetto XVI si pongono sulla scia del magistero di Paolo VI insistendo nel primo caso su una fondazione antropologica della differenza sessuale e, nel secondo, su una comprensione rigorosamente teologica dell’amore.
La ricostruzione dell’itinerario che ha condotto all’enciclica e della dinamica di ricezione è quanto mai necessario per evitare di ipostatizzare, per così dire, l’Humanae vitae. Il compito della teologia morale è leggere l’enciclica nel suo specifico contesto storico e nei nodi teoretici che essa apre: il nesso fra coscienza e norma, il rapporto fra amore e generazione, il senso della generazione. È quanto ha sostenuto Maurizio Chiodi, che tra l’altro è stato oggetto, per i suoi qualificati interventi sull’enciclica, di veri e propri attacchi mediatici.
La fecondità, per Humanae vitae, è elemento costitutivo dell’amore: il legame tra amore e generazione è un’evidenza pratica inscritta nell’incontro sponsale tra uomo e donna. Questa affermazione, che oggi incontra una incomprensione radicale, non va però piegata immediatamente sulla norma che la significa e la custodisce. In altri termini, non c’è una assoluta e automatica identità fra la verità antropologica dell’amore (il suo essere fecondo) e la norma che proibisce l’artificialità dell’atto contraccettivo.
Con Humanae vitae oltre Humanae vitae
La teologia morale, se vuole essere all’altezza del suo compito, deve saper pensare in modo più convincente questo legame fra amore sessuale e generazione.
È significativo, in questo senso, evidenziare come le coppie credenti abbiano reagito alla norma espressa in Humanae vitae. Se alcune si sono attenute fedelmente, anche se spesso con sacrificio, alla norma magisteriale, molte hanno ignorato del tutto le indicazioni di Humanae vitae non comprendendone la logica o ritenendole inapplicabili. Altre, poi, pur avendole presenti, non sono state capaci di attuarle e magari sono ricorse alla coscienza in foro interno.
A partire da questi dati, Salvino Leone ha proposto di percorrere un cammino di rifondazione della norma che evidenzi maggiormente la distinzione fra atto e mentalità contraccettiva, che valorizzi il sensus fidelium e quella che Newman chiamava la consultazione dei laici in materia di dottrina e, soprattutto, accolga in modo pieno il paradigma personalista rispetto a quello biologico e giusnaturalista.
Una intenzione di fondo condivisa anche da Basilio Petrà, secondo cui l’etica normativa cattolica riguardo all’esercizio della sessualità trova il suo nucleo generatore nell’affermazione che l’unione sessuale è un atto proprio ed esclusivo degli sposi, dell’uomo e della donna uniti in matrimonio e fedeli ai fini del matrimonio. In forza di tale affermazione ogni luogo diverso rende tale uso per se moralmente riprovabile. Una asserzione che si può far forte di quanto Paolo afferma sul matrimonio come unico luogo in cui la sessualità non decade in porneia. Con lui inizia quell’alleanza fra morale e diritto in ambito sessuale e matrimoniale che arriva fino al secolo scorso, quando si fa strada l’idea di una non perfetta e automatica sovrapposizione fra ambito giuridico e ambito propriamente morale.
È proprio all’interno di questa novità, recepita anche da alcune posizioni magisteriali, che si aprono rinnovate prospettive di ricerca e di riflessioni, in grado forse di ridurre la distanza fra la dottrina cattolica e l’ethos occidentale contemporaneo nell’ambito dell’amore sessuale, del matrimonio e della generazione.
Il cammino dell’ATISM
La relazione di Petrà è stata l’ultima tenuta in qualità di Presidente dell’ATISM. Durante il Congresso, infatti, sono state rinnovate le cariche in seno all’Associazione: nuovo presidente per il quadriennio 2018-2022 è Pier Davide Guenzi, finora vicepresidente e prima segretario nazionale. Sacerdote della diocesi di Novara, classe 1964, Guenzi è docente di teologia morale a Torino e a Milano.
Il nuovo vice-presidente è Salvino Leone, della Facoltà teologica di Sicilia, mentre come segretario è stato riconfermato per un ulteriore quadriennio Salvatore Cipressa. A loro il compito, insieme ai delegati di zona, di guidare l’Associazione a realizzare la sua finalità di promozione del pensiero teologico-morale nel contesto della Chiesa italiana.