Fin dall’inizio di questa triste stagione della “pandemia”, mi sono accorto che Giorgio Agamben stava interpretando i fatti – o, forse meglio, alcuni aspetti dei fatti – in modo molto, troppo originale.
Ora, con questo articolo apparso su SettimanaNews, “Una domanda”, ho compreso del tutto dove sta il problema della sua domanda. Ma andiamo per ordine: ricostruiamo la “sua” domanda, cerchiamone il senso, e confrontiamola con un’altra domanda.
La domanda sbagliata sulla barbarie nazionale
Fin dalle prime righe Agamben chiarisce quale sia la domanda che lo tiene agitato da più di un mese. Eccola: “Com’è potuto avvenire che un intero paese sia, senza accorgersene eticamente e politicamente, crollato di fronte a una malattia?” Con questo crollo l’Italia avrebbe superato il limite tra umanità e barbarie. La domanda è, dunque: “Come abbiamo potuto diventare barbari?”.
E la barbarie consiste, per Agamben, in tre cose: nella morte e sepoltura senza esequie di tanti uomini e donne; nella concessione di limitare il nostro movimento e le nostre amicizie e amori; nell’aver affidato alla medicina di separare vita biologica e vita spirituale. Tutto questo, dice Agamben, è avvenuto “soltanto in nome di un rischio che non era possibile precisare”. E questo “principio di distanziamento sociale” diventerà “il nuovo principio di organizzazione della società”. Quindi “ciò che si è accettato di subire non potrà essere cancellato”.
Secondo Agamben tutti siamo responsabili di questo “cedimento”, ma soprattutto lo sono due soggetti, che non avrebbero vegliato sulla dignità dell’uomo. Anzitutto la Chiesa, divenuta “ancella della scienza”, che è la nuova religione, e perciò Agamben ricorda alla Chiesa che Francesco, non il papa, il santo, abbracciava i lebbrosi, che “visitare i malati” è un’opera di misericordia, e che se si abbandona il prossimo si perde la fede.
Ma anche i giuristi hanno le loro colpe, per aver lasciato che il potere esecutivo sostituisse il potere legislativo, determinando una deriva dispotica. Con il timore che lo “stato di eccezione” si mantenga per sempre. E dopo aver ricordato come anche Eichmann, il famoso nazista, avesse compiuto i più terribili crimini dicendo di obbedire alla legge morale, egli chiude il suo articolo con questa frase chiarificatrice: “Una norma, che affermi che si deve rinunciare al bene per salvare il bene, è altrettanto falsa e contraddittoria di quella che, per proteggere la libertà, impone di rinunciare alla libertà”.
La premessa falsa
La domanda, così come formulata da Agamben, impone una interpretazione dei fatti assolutamente univoca. In effetti, se vi fosse una situazione di una qualche incertezza, una vaga sensazione di pericolo, e un governo decidesse di affidare ai medici ogni potere, di chiudere in casa tutta una nazione e di separare drasticamente i vivi dai morti, sottraendo i secondi dal controllo dei primi, e “smaltendoli” nella maniera più disumana, Agamben potrebbe certamente alzare il suo grido scandalizzato e chiedere a tutti, anzitutto alla Chiesa e ai giuristi, di tornare in sé, di non tradire la loro vocazione e missione. Bene.
Tutto questo scenario è subordinato, però, ad una ipotesi che non tiene conto della dura realtà. Perché questa domanda, se formulata così, sembra proprio una domanda retorica, una domanda vuota, una domanda campata per aria. Perché i tre “scandali” – i defunti senza esequie, le assenze di libertà e l’imporsi del presidio sanitario – non sono anzitutto la “strategia illusionistica per realizzare un colpo di stato”, in nessun modo possono essere ricondotti a ciò che Agamben, con una formula che dire riduttiva è un eufemismo, ha definito come una azione compiuta “soltanto in nome di un rischio che non era possibile precisare”. Io ho qui una impressione: fin dall’inizio di questa vicenda, quando i suoi contorni e la sua gravità non erano ancora del tutto chiari, Agamben ha preso questa linea di lettura: è una forzatura istituzionale, non c’è nulla di serio, si fa passare una influenza per una peste…
Questa, in quel momento, poteva essere considerata una imprudenza, ma solo all’inizio, come è capitato a qualcun altro, e ci poteva anche stare. Il punto, però, è che oggi Agamben continua a lavorare con questa “premessa maggiore” della sua argomentazione. Il suo sillogismo, così, è diventato il più fallace e il più vuoto di tutta la storia della filosofia. Il filosofo dovrebbe sapere bene che se mette, all’inizio del ragionamento, una premessa falsa, tutto il resto delle sue parole tracolla come un castello di carte. Se tutto ciò che è accaduto, anche nelle sue forme più tragiche, viene letto sotto la luce di una “finzione” – la assenza di un reale pericolo per la vita di decine di migliaia di persone – è ovvio che contenimento, isolamento, distanziamento, presidio sanitario e “lettura medica” della realtà risultano solo come forzature, atti arbitrari, imposizioni dello stato di eccezione, sconfinamento nella barbarie.
Altra domanda, forse quella giusta
La domanda da sollevare, da parte di un filosofo, in una contingenza come questa, non può essere basata su una premessa falsa. Come abbiamo visto, nel testo di Agamben si parte dalla domanda, che è formulata subito, nelle prime righe. Poi se ne illustrano i contenuti, e l’autore è costretto a calare sul tavolo la sua “carta fasulla”. Alla fine si arriva alla conclusione, ed è lì che comprendiamo la debolezza più grande della sua argomentazione. Quando infatti egli scrive che “una norma, che affermi che si deve rinunciare al bene per salvare il bene, è altrettanto falsa e contraddittoria di quella che, per proteggere la libertà, impone di rinunciare alla libertà”. Proprio qui, in questa frase finale, si capisce tutto. Il bene e la libertà sono, per Agamben, concetti senza sfumature, senza mediazioni, senza gradi. Un massimalismo del bene e una totalizzazione della libertà producono solo scandalo senza esperienza.
Che tanto più si rafforza nello scandalo quanto più non può permettersi alcuna esperienza. Per questo, invece, la domanda giusta sarebbe: “Come è potuto avvenire che un intero paese, pur soffrendo eticamente e politicamente, possa riuscire a reggere di fronte a una epidemia tanto grave?”.
Non è un caso che, nello sguardo di Agamben, siano proprio la Chiesa e i giuristi ad essere messi sul banco degli imputati. Quelli che nel suo testo appaiono come “traditori”, in realtà sanno da millenni che nella storia, in ogni storia, c’è un bene massimo e un bene possibile. E che la storia è proprio la difficile mediazione, sofferta e provvisoria, tra questi poli. Anche nella nostra storia di questi giorni, purché si accetti il principio di realtà – ossia l’effettiva pericolosità del virus – occorre “contemperare” livelli diversi del bene. Solo in questo caso può essere cosa ragionevole e anche atto benedetto rinunciare a un bene per conseguirne un altro, rinunciare ad una libertà per garantirne una più importante.
Ovviamente, non tutto ciò che è avvenuto è privo di limiti, di questioni o di domande assai legittime. Ma est modus in rebus. La frase che conclude il testo di Agamben – così drastica e in fondo così disumana – resta del tutto cieca su questo versante accorato e accurato della mediazione, di cui sono ricche le grandi tradizioni, tra cui quella ecclesiale e quella giuridica. E mentre queste sapienze millenarie sembrano garantire un’apertura che può essere capace di restare “maestra in umanità”, la lettura ideologica e congetturale di Agamben appare solo come l’espressione troppo accigliata e troppo nostalgica di una infanzia destinata a restare sempre senza storia.
Siamo messi veramente male! Non è bastato un testo così limpido, così ben argomentato e così puntuale, quale quello del prof. Grillo, per mostrare quello che ogni persona di buon senso poteva capire da sola dopo le prime righe del testo di Agamben, che già si è scatenata una fiumana di commenti negativi al riguardo. PRECISIAMO, visto che la materia è complessa e delicata. Non c’è alcun dubbio che la gestione – italiana, ma in generale europea – della pandemia avrebbe potuto essere più adeguata (ma con il senno di poi sono tutti campioni, e avrei voluto vedere quelli che qui si impancano maestri del diritto come se la sarebbero cavati). Ma vista la potenza diffusiva di questo virus e i suoi effetti devastanti, nessuna persona di buon senso avrebbe potuto procedere altrimenti. Ma siamo arrivati al punto di dover dimostrare che l’acqua è bagnata? Si apre piuttosto una gestione massimamente delicata del tempo che viene e qui ci vorrà molta acribia (ma nessuno nasce imparato…). Questo è verissimo. Ma resto ancora sorpreso che Settimana abbia tempo e voglia di dar fiato a simili vane elucubrazioni. Problematizzare, mettere in discussione, sì, certo. Elucubrare vanamente, anche no.
Lei dice : “Agamben ha esordito male”. Forse lei ha concluso meglio?A suo dire certamente si, sennò non avrebbe articolato tutto il suo discorso concludendolo col punto definitivo al suo discorso. All’interno del bene, all’interno della libertà si possono scindere più beni e più libertà o meglio esistono già più libertà e più beni in una scala di valori più o meno distinguibili a seconda degli accadimenti, dei fatti storici. Nell’ipotesi di una necessità contingente, laddove fra cento, mille anni, Dio chiedesse ad Abramo di sacrificare il proprio diletto figlio noi troveremo ancora la mano dell’Altissimo a fermarci? Ma Lei, signor Grillo, sa già che la mia argomentazione è sbagliata in partenza! Lei sa, si lo sa convintamente, che Dio ormai sa che noi sappiamo che aveva voluto metterci alla prova. Conosce già la nostra cieca obbedienza alla sua onnipotenza e ci fermò,fermò Abramo. Ma andò proprio così? Dio fermò la nostra mano per dirci che aveva compreso che la nostra Ragione aveva compreso che sopra il figlio per noi c’era Lui quale Bene più grande? O forse non comprendemmo, e non abbiamo ancora compreso che Dio sa che non abbiamo ancora un cuore per fermarci a riconoscere il Figlio?
Ridicola argomentazione reazionaria e in malafede contro le ragioni di Agamben. E smettetela di attaccarlo e insultarlo! Ci vogliono ragioni, non paralogismi e sofismi filoregime. Buon lavoro
Caro Grillo, vorrei farle notare, che si potrebbe dire altrettanto sulle premesse del suo ragionamento. Le misure ordinate in Italia sono diverse da quelle di paesi come la Germania, l’Inghilterra (dove parchi e cimiteri rimangono aperti), la Svezia . Qui si è scelto un approccio democratico e di collaborazione con le popolazioni e i risultati non sono peggiori. Il metodo italiano è agli occhi della comunità internazionale il più disastroso, il modello da non seguire.
Lo sarebbe anche agli occhi degli italiani se non fossero annebbiati dalla propaganda che racconta l’Italia come quel paese in cui il virus si è misteriosamente accanito. Non è così. La vergognosa gestione politica dell’epidemia, in particolare in Lombardia, ci dice che l’attenzione alla vita umana è stata soprattutto retorica. Un esempio eclatante è il fatto che i tabaccai siano stati lasciati aperti, quando si sa bene quanto il fumo incida sull’esito delle malattie polmonari. I vecchi e i disabili che si annunciava retoricamente di voler proteggere, sono stati lasciati morire in massa, da soli e senza alcun conforto nelle case di riposo.
Quando Agamben parla di “rischio che non era possibile precisare” usa un eufemismo per risparmiarsi ulteriori attacchi dei moralisti e per cercare un’empatia con un popolo smarrito di cui evidentemente, da intellettuale non organico, si sente responsabile (che cosa singolare di questi tempi, no?) .
Continua infatti a pensare che i dati del CNR da lui citati inizialmente sarebbero quelli reali in un paese normale, come è confermato dai dati degli altri paesi colpiti.
L’Italia in questa cosiddetta pandemia, caro Grillo, è un unicum in Europa sia per tasso di mortalità sia per la modalità autoritaria e asfissiante della gestione. Lo capiremo, come capiremo meglio le parole di Agamben, nella cosiddetta fase 2 quando i nostri politici si scateneranno con mascherine e dispositivi elettronici.
Che la premessa sia falsa o vera è tutto da dimostrare, e lo dimostreranno solo il tempo e i numeri. Alla fine si scoprirà che il tasso di letalità di questo virus è inferiore all’1 %. L’Italia ha esercitato queste misure drastiche di contenimento per la sua incapacità di gestire l’emergenza e per sopperire alle carenze di una sanità distrutta. E si, in alcuni ha generato barbarie. Basta vedere solo i tanti casi di caccia all’untore, o le prevaricazioni delle forze dell’ordine.
Eichmann tentò di usare l’etica di Kant per difendere omicidi di massa che non erano difendibili in nessun modo. Peraltro l’etica kantiana ha come seconda formulazione (derivante dalla formula fondamentale) dell’imperativo categorico: “Agisci in modo da trattare l’umanità nella tua come nell’altrui persona sempre come fine e mai semplicemente come mezzo”: può il comportanento degli ufficiali nazisti essere rispondente a questo imperativo morale? Assolutamente no!
Per quanto riguarda la posizione di Agamben, si potrà forse discutere se lo Stato, la Chiesa e altre istituzioni abbiano il diritto di limitare la libertà del cittadino, in nome di un bene più alto: è una questione non facile da risolvere. La libertà di ogni cittadino, in quanto persona, va infatti difesa fino a che non si lede la libertà di altri cittadini. Il rispetto della persona, intesa un senso etico e giuridico, deve in ogni modo essere sempre il fine a cui tendere anche dello Stato, della Chiesa e delle altre istituzioni.
Rimango allibito nel leggere un articolo scritto male ed articolato ancor peggio, secondo il mio punto di vista Agamben ha perfettamente ragione un bene non può salvare un bene ne tantomeno può una libertà sottratta salvare la libertà. La premessa iniziale “se vi fosse una situazione di una qualche incertezza, una vaga sensazione di pericolo, e un governo decidesse di affidare ai medici ogni potere, di chiudere in casa tutta una nazione e di separare drasticamente i vivi dai morti, sottraendo i secondi dal controllo dei primi, e “smaltendoli” nella maniera più disumana” è vera, ed è quello che sta succedendo adesso, e non solo rappresenta la realtà odierna ma è anche disumana in tutta la sua realtà….
Che sia vera bisognerebbe provarlo. Le uniche prove che abbiamo – salvo colpi di scena che lei potrebbe forse prometterci – ci dicono che è una congettura purtroppo falsa. E da una premessa falsa non si potrà mai giungere a una conclusione vera.
Grazie prof. Grillo
Condivido totalmente la riposta ben articolata e che mette in luce la fragilità della “tesi” del filosofo G. Agamben.
D’altra parte la posizione di Agamben era già bene delineata il 26 febbraio nel suo intervento ” L’invenzione di un’epidemia. Il principio di realtà, l’obbedienza alla storia (incarnazione) è parte della stessa Rivelazione. Questo dovremmo ricordarlo nel dibattito aperto all’interno della Chiesa circa la sua posizione di fronte al dramma del CODIVID-19 e le sue ricadute .
Con stima auguro ancora Santa Pasqua
Andrea Caelli