La teologia sistematica tradizionale ha difeso la concezione della complementarità di genere tra maschio e femmina, come espressione dell’intenzione di Dio per l’umanità. Questa concezione è ben presente negli scritti personali e catechistici di Giovanni Paolo II, meglio noti come “la teologia del corpo”.
Questo modo di vedere il genere presuppone una visione metafisica della natura umana che è mondo essenzialista. Non solo la natura umana è intesa come immutabile e universale, ma i due tipi di umanità – maschio e femmina – sono compresi come esempi di una natura statica, comune ed eterna.
Antropologia bipolare
L’antropologia cristiana tende ad avvalorare una visione bipolare: l’essere umano è diviso in due tipi distinti, ciascuno con differenze proprie che sono normative. Questa antropologia di complementarità afferma che i sessi si completano a vicenda, non solo a livello di riproduzione, ma nell’intera gamma dell’esistenza umana: sociale, intellettuale, psicologica, spirituale.
C’è un modo di essere maschile e un modo di essere femminile, e questa complementarietà è riscontrabile nella costituzione corporea. Pertanto, si suppone che gli uomini (cioè i maschi) siano, per natura, esseri attivi, razionali, intenzionali e autonomi la cui direzione si estende verso il mondo; le donne, invece, sono esseri passivi, intuitivi, emotivi, la cui naturale inclinazione è verso l’interno.
Questa visione bipolare dei sessi porta a una comprensione ugualmente bipolare dei loro rispettivi luoghi, vale a dire, il mondo e la casa. Ci sono una serie di problemi che sorgono in merito a questo tipo di concezione. Infatti, è assurdo affermare che ciascuno è incompleto in se stesso, come se fosse nato “metà-persona” e poi solo quando troverà il suo complemento di genere sarà intero.
Queste cosiddette caratteristiche “complementari” che si presume siano immutabili, universali e naturali, sono in realtà proiezioni maschili sull’identità, a partire dall’esperienza che gli uomini hanno avuto con le donne. Sono dualismi che si basano su una biologia obsoleta ed essenzialista.
Complementarietà dei sessi e papa Francesco
È interessante che papa Francesco tenta di superare il concetto di “complementarietà” nel senso restrittivo (½ + ½ = 1) con quello dell’armonia (1 x 1 = 1).
«Riflettere sulla complementarietà non è altro che meditare sulle armonie dinamiche che stanno al centro di tutta la Creazione. Questa è la parola chiave: armonia. Tutte le complementarietà il Creatore le ha fatte perché lo Spirito Santo, che è l’autore dell’armonia, faccia questa armonia» (Discorso del santo padre Francesco ai partecipanti al Colloquio Internazionale sulla complementarietà tra uomo e donna, promosso dalla Congregazione per la dottrina della fede, 17 novembre 2014).
Per questo motivo il papa aggiunge che, «quando parliamo di complementarietà tra uomo e donna […], non dobbiamo confondere tale termine con l’idea semplicistica che tutti i ruoli e le relazioni di entrambi i sessi sono rinchiusi in un modello unico e statico.
La complementarietà assume molte forme, poiché ogni uomo e ogni donna apporta il proprio contributo personale al matrimonio e all’educazione dei figli. La propria ricchezza personale, il proprio carisma personale, e la complementarietà diviene così di una grande ricchezza. E non solo è un bene, ma è anche bellezza». Questa complementarietà non determinata è una buona strada ma è ancora insufficiente.
Il problema nel concetto di “complementarietà” è che pensa la relazione non come originaria ma derivata. Se l’intero è dato da due metà, significa che queste due metà in sé stesse “non sono”. È questo il modo con cui Platone nel suo Simposio narra dell’origine del maschio e della femmina, e del terzo genere.
Uomo e donna non sono due metà che insieme formano l’intero “Adam” (da cui l’idea di complementarietà). Uomo e donna esprimono nella loro realtà già piena l’intero “Adam”. Uomo e donna esprimono l’intero. Solo in questo senso sono parti dell’intero. Se è così, però, devo pensare la relatio (cioè l’intero) ontologicamente “prima” dei relata che la esprimono.
Verso un’antropologia non duale
Una corretta visione antropologica dovrebbe privilegiare la relatio sui relata, l’esistenza sull’essenza, la singolarità sul generico. In altre parole, Dio non pensa prima a qualche “essenza” astratta, eterna, immutabile come l’umanità in senso generico, e poi crea secondariamente specificazioni individuali di quella natura umana universale, alcuni maschi e alcune femmine, alcuni in questo momento e alcuni in un altro momento, alcuni in questo posto e altri da qualche altra parte.
La diversità degli individui esistenti – creature umane e non umane – è ciò che Dio desidera creare. Dio crea individui e non essenze da rivestire, ciascuno con il suo abitino: azzurro per i maschietti e rosa per le femminucce. Il desiderio divino di creare è il piano di Dio, il suo progetto. Questo è l’intero, l’armonia di cui parla papa Francesco. Con termini giovannei è il Logos in cui tutto sussiste (Gv 1,3). Con termini paolini è il Cristo che è la realtà di tutte le cose (Col 2,17).
L’inconveniente è stato il ritenere il VT un testo scientifico e dedurre l’antropologia dalla teologia (“antropologia teologica”). Oggi abbiamo capito che non è scientifico; allora cerchiamo di interpretare la Bibbia e di fare teologia tenendo conto di quanto le scienze umane (antropologia, psicologia, sociologia…) hanno imparato sull’uomo e sulla donna.
se l’AT non è un “testo” scientifico, certamente però ha intenzioni teologiche e in tal senso viene letto dai credenti, ebrei cristiani e musulmani: dove mai dovremmo cercare la visione dell’umano secondo Dio se non anzitutto nella Bibbia?
Finalmente con Bergoglio e i suoi (la ché) scopriamo il pensiero di Dio… Fino ad oggi da Abramo a Benedetto XVI tutti scemi? A me pare il contrario!
La prima osservazione è che si dice “complementarità” è non complementariEtà. Farò seguire una proposta di articolo… chissà se lo pubblicherete.