Nel progettare il XXXIV Corso di aggiornamento per docenti di teologia, promosso dall’Associazione Teologica Italiana (ATI) sul tema Come abitare il mondo nella speranza? Teologie e pratiche per il Giubileo, un criterio fondamentale è stato quello di recepire un’indicazione di metodo dettata dal magistero del Vaticano II, in particolare quanto emerge al Cap. IV della Prima Parte della Costituzione Gaudium et spes ove al § 44, dopo quelli dedicati a ciò che la Chiesa può e deve fare per il mondo nelle sue diverse situazioni (§§ 41-43), si parla dell’aiuto che la Chiesa riceve dal mondo contemporaneo.
In ascolto del mondo
Si apre qui l’ampio spazio dell’azione dello Spirito Santo: seguendo questa azione scopriamo una tensione tra l’azione dello Spirito nel mondo in e attraverso la Chiesa e l’azione dello Spirito nella Chiesa in e attraverso il mondo. Non c’è solo una versione kerygmatica della speranza cristiana, dialettica nei confronti del mondo, ma anche dialogica, in ascolto del mondo. Se è vero infatti che lo Spirito a Pentecoste è stato donato alla Chiesa, come comunità di testimoni della risurrezione di Cristo, lo stesso Spirito, dalla risurrezione in poi, è presente e operante nel mondo in un modo nuovo rispetto alla sua previa azione nella storia della salvezza a partire dalla creazione.
La speranza, vero filo rosso del Corso di aggiornamento connotato dal riferimento al percorso del Giubileo, può essere compresa non solo dalla Chiesa e attraverso la Chiesa verso il mondo, la storia, la società ma anche dalla storia, dalla società, dal mondo verso la Chiesa, perché storia, società, mondo in quanto salvati da Cristo esprimono attraverso l’azione dello Spirito un travaglio che interpella la speranza cristiana ad incarnarsi qui e ora attraverso il discernimento dei segni dei tempi, quali sono evidenziati nella stessa Bolla di indizione del Giubileo .
Emergono da questo discernimento due indicazioni importanti che portano a riprendere la tensione sorgiva del messaggio cristiano. Il già presente della risurrezione di Cristo, l’inaugurazione già avvenuta, nella Pasqua di Gesù Cristo, dei cieli nuovi e della terra nuova, e il non ancora da cui nasce l’attesa operosa e vigilante del compimento della storia umana, ricapitolata nel suo Capo e Signore Gesù Cristo. E questa tensione si svolge, si sviluppa come la proposta di una fraternità/sororità riconciliata quale anticipazione, prolessi della risurrezione futura.
Due sono le parole chiave di grande densità teologica: speranza come riconciliazione qui, ora, attraverso segni credibili dell’amore del Padre manifestato nel suo Figlio Gesù, e speranza come risurrezione futura perché da essa si alimenta ogni progettualità per il bene dell’uomo senza presumere di esaurire nel presente questa pienezza.
Le quattro sessioni
All’interno di questa proposta si sono svolte le quattro sessioni del Corso a cui hanno partecipato con grande interesse una sessantina di teologi e teologhe, insieme a docenti e studiosi di altre discipline. L’apertura della prima sessione (pomeriggio del 2 gennaio: Il Giubileo tra memoria e profezia) è stata preceduta dal saluto del Presidente dell’ATI, mons. Riccardo Battocchio, e subito a seguire da un primo sguardo a caldo sull’esperienza del Giubileo appena aperto con l’intervento di s.e. mons. Rino Fisichella, che ha desiderato portare un saluto e introdurre i lavori data l’attinenza del Corso con il Giubileo, del quale è il principale coordinatore.
La prima relazione (Quale Giubileo di speranza in Europa? In ascolto della storia, in ascolto dello Spirito) presentata dal Direttore della Rivista del clero italiano, prof. Giuliano Zanchi, ha consentito di allargare lo sguardo sui motivi e le ragioni della speranza in Europa sullo sfondo delle tante criticità che emergono dal vissuto sociale ed ecclesiale contemporaneo. Oltre al pensare le questioni in ballo, l’appello più volte ripreso, anche nel dialogo ampio e vivace che ne è seguito con i partecipanti, non va solo nell’ordine del «pensare» le questioni ma nell’indifferibile e urgente appello alla Chiesa a «fare» ovvero a inaugurare pratiche che raccontino dal vivo la speranza cristiana in rapporto al mondo, sia quello di matrice laica che quello molteplice delle religioni e delle nuove forme di spiritualità.
Nella seconda sessione (mattino del 3 gennaio: Variazioni sulla speranza) la riflessione si è spostata in due direzioni proponendo due incursioni. Da una parte l’inaudito – Sperare contro ogni speranza. Sul principio apocatastasi – del compimento storico nell’apocatastasi quale principio di comprensione dei drammi della storia (la relazione del prof. Francesco Ghia, autore di un recente saggio sul tema) con l’inevitabile punto cieco del rapporto tra azione salvatrice del Dio di Gesù Cristo e libertà dell’uomo nella sua responsabilità verso il male.
Dall’altra, la ribattuta sul piano intramondano di prassi di fraternità e sororità inclusive in cui il singolo possa dirsi senza remore e censure per attestare nella sfera pubblica «stati nascenti» di apertura al nuovo che il mondo invoca e che la pratica del Vangelo vuole propiziare (la relazione del prof. Vincenzo Rosito sul tema: Fiducia e fraternità alla prova. Prospettive di teologia pubblica). Il dibattito che ne è seguito è stato molto acceso con un ampio numero di interventi e sulla questione dell’apocatastasi e sulle forme della fraternità in rapporto ai codici ecclesiali.
La terza sessione (pomeriggio del 3 gennaio: Pratiche di speranza nella Chiese) ha decentrato l’attenzione della riflessione su alcune peculiari dinamiche della vita ecclesiale. Due gli ambiti, il primo quello della prassi penitenziale in rapporto all’esperienza del perdono e all’accoglienza del dono dell’indulgenza nel tempo del Giubileo (prof. Marco Busca, Vescovo di Mantova: Quale penitenza, perdono, indulgenza? ) con una serie di domande sulla persistente richiesta di itinerari penitenziali vicini alla storia dei credenti alle prese con una prassi rituale che, seppur riformata dal 1974, non è ancora riuscita ad iscriversi in un più ampio e articolato vissuto penitenziale della Chiesa nelle sue forme rituali e non. In particolare la dimensione che sembra essere ancora latitante è la dimensione ecclesiale nel vissuto del penitente.
La seconda relazione si è inoltrata nel sentiero impegnativo e promettente sul piano sociale ed ecclesiale della giustizia riparativa con una relazione lucidissima e articolata della prof.ssa Donata Horak (docente di diritto canonico ed esperta nel settore): I tempi di riconciliazione: la sfida della giustizia riparativa. I campi di applicazione di questa prassi, già da lungo sperimentata nella giustizia civile e penale di vari stati compreso quello italiano, propongono ampie possibilità di intersezione con tanti tipi di reato e pena contemplati dal Diritto Canonico vigente. Ne è seguito un confronto con i partecipanti davvero carico di domande, tanto sulla prima come sulla seconda relazione.
Nella concretezza della vita
L’ultima sessione, (mattina del 4 gennaio: Pratiche di speranza dal e per il mondo) ha confermato attraverso le due relazioni il valore dell’ipotesi di fondo del Corso con quel riferimento al § 44 di Gaudium et spes. Cosa il mondo con le sue variegate teorie e prassi sull’economia (prof.ssa Raffaella Petrini: Speranza per un’economia più umana? Tra cura e ospitalità) e sull’ecologia (prof. Bruno Bignami: Quale speranza per la creazione? Tra ecologia e creazione) ha da dire alla Chiesa e come questa è capace di intercettare il valore di queste proposte seguendo il metodo dell’assumere, purificare ed elevare.
In queste due direzioni la speranza cristiana in un mondo nuovo ha intercettato più immediatamente le speranze delle popolazioni che vivono oggi nel pianeta con la richiesta di una maggiore giustizia nella distribuzione delle risorse, di legalità e trasparenza nell’amministrazione della cosa pubblica (anche all’interno delle istituzioni ecclesiastiche), di rispetto dei diritti dei lavoratori alle prese con la selvaggia deregulation del neoliberismo imperante e della cura dell’ambiente e salvaguardia del creato aprendosi alle nuove frontiere di alcune buone prassi innovative e presenti anche in Italia nel tessuto ecclesiale (il riferimento è alle comunità energetiche). Sono questi i contesti da cui emerge e può emergere ancora meglio una pluriforme testimonianza profetica che spesso, quando si palesa, non viene colta anzi viene marginalizzata.
I partecipanti, specialmente in questa ultima sessione, si sono messi in ascolto manifestando, anche nel dibattito, il loro apprezzamento per questo scambio fecondo e promettente tra alcune discipline umanistiche e scientifiche e la teologia. Un campo intermedio di utile dialogo e confronto tra questi due poli, come è stato sottolineato dai relatori, è la dottrina sociale della Chiesa, vero tesoro ancora troppo ai margini di una più compiuta avventura della riflessione teologica contemporanea. Ma se nella vita dei cristiani la virtù della speranza non vuole decadere in utopie irrealizzabili e consolatorie ma vuole camminare nella storia ha bisogno di avere piedi ben appoggiati nella concretezza della vita con uno sguardo attento a cogliere e incarnare le richieste che vengono dai segni dei tempi.