Periferie e frontiere come luoghi simbolo per l’esperienza cristiana, dove lasciarsi interrogare da persone in cerca di un percorso di crescita nella fede. È la questione messa a tema nella giornata di studio proposta dalla Facoltà il 10 dicembre. Intervista ad Antonio Bertazzo, vicedirettore del ciclo di licenza e referente per l’indirizzo di teologia spirituale.
In questi anni sentiamo parlare molto di frontiere in riferimento a migliaia di uomini e donne che, per necessità e condizioni sociali, economiche, normalmente per sopravvivenza, tentano di passare la frontiera, di una nazione, di un luogo apparentemente inaccessibile o reso tale dalle autorità che tentano di difendere il paese dallo straniero. Si tratta di immagini forti, quasi apocalittiche.
Su questo tema è incentrata la giornata di studio Spiritualità dalle frontiere. Accompagnare persone lgbt+ promossa dal ciclo di licenza della Facoltà teologica del Triveneto, in programma a Padova martedì 10 dicembre 2024, alle ore 14.15 (partecipazione su iscrizione, info qui).
La proposta si inserisce nell’ambito del seminario-laboratorio di teologia spirituale La spiritualità oggi, condotto dai docenti Marzia Ceschia e Daniele La Pera.
Antonio Bertazzo, vicedirettore della Licenza, spiega così il taglio della proposta: «L’incontro affronterà il tema delle periferie e delle frontiere, come luoghi simbolo per l’esperienza spirituale cristiana: ogni periferia diventa il centro da cui vedere e conoscere la realtà intera. La scelta di porre l’attenzione sull’accompagnare persone lgbt+ proviene dall’esperienza concreta di alcuni dei relatori, che si sono lasciati interrogare e camminano insieme a persone che si riconoscono accomunate da un vissuto personale e cercano un percorso di crescita della fede cristiana e di ricerca spirituale».
A introdurre la questione dal punto di vista culturale-ecclesiale sarà Giampaolo Dianin, vescovo di Chioggia, teologo; seguiranno gli interventi del gesuita Pino Piva, che si soffermerà sul tema della spiritualità dalle frontiere, e di Stefano Belotti, licenziato in teologia, che approfondirà l’antropologia del margine; modererà Antonio Bertazzo.
– Professor Bertazzo, che cosa significa: spiritualità “dalle” frontiere?
La frontiera è un termine che riempie da molto tempo le informazioni diffuse socialmente. Il fenomeno dell’immigrazione, in particolare, ha recuperato una memoria che ci riporta ai confini tra gli stati, alle definizioni territoriali, alle distinzioni di civiltà che l’idea della globalizzazione sembrava aver posto a riposo.
Il termine frontiera, in senso ideale, può essere compreso soprattutto “da chi abita la periferia”, ossia i luoghi dell’allontanamento, dell’esclusione attuata più o meno intenzionalmente a ogni livello, sociale, politico, relazionale…
Senza operare grandi distinzioni, possiamo dire che tutti questi sono i luoghi lontani dal “centro”, ossia da ciò che, per mentalità corrente, ideologia, modelli culturali, sembra essere l’unico criterio di visione della realtà e del mondo.
– Nella riflessione ecclesiale, ma non solo, ultimamente si è ritornati a parlare di frontiere e di periferie. Papa Francesco, in Evangelii gaudium, ha invitato a uscire “dal centro” per “raggiungere tutte le periferie che hanno bisogno della luce del Vangelo” (EG 1,1).
Dalle periferie si potrà intendere con nuova luce anche il centro, ossia il basso, l’alto, il piccolo, il grande, l’ultimo e il primo, il fuori e il dentro… Proprio dalle periferie, luoghi dell’abbandono urbano, rurale, industriale, dove vivono i “senza-potere”, gli esclusi, i poveri, può derivare una visione nuova del mondo rispetto a quella basata sulla prospettiva del cosiddetto centro. Non è un semplice movimento ideologico, ma si tratta di una visione culturale nuova, “un rovesciamento del regime epistemico dominante” che presuppone un’egemonia di un centro su tutto il resto.
Quella delle periferie esistenziali si presenta come un movimento che parte da un’interiorità che si nutre di una visione della realtà a partire dal piccolo, dall’escluso, direi dall’umile, ossia da quello che vede il tutto, il cielo, l’umanità a partire dalla terra, dal basso.
– È un rovesciamento della prospettiva comune…
Si potrebbe dire che si forma una visione di rovesciamento dei modelli esteriori, che misura le quantità del potere, dell’avere, del possesso, per rientrare in quella modalità non egoistica, autocentrata, perfino disincarnata. Nel suo insieme possiamo definirla come una visione spirituale del mondo, ove per spirituale si dovrà intendere come la ricerca della verità delle cose, del mondo dell’esistenza, della persona umana, della stessa storia dell’umanità.
– …ed è una scelta evangelica coraggiosa, oggi.
L’opzione delle periferie, insieme, è una scelta definita come “preferenziale”, totalmente evangelica. Sono i luoghi scelti da Gesù, come testimoniano i vangeli: i villaggi, i poveri, gli emarginati, quelli che non contano. In essi avvengono le relazioni che costruiscono la storia del Maestro e dei suoi discepoli: il Regno è dove c’è l’accoglienza della novità di Dio che incontra l’umanità.
Nello stesso tempo, sono i luoghi dell’esperienza dell’Altro. Gesù lo annuncia e lo potremmo riformulare così: “Padre hai fatto conoscere il mistero della tua Carità ai piccoli e ai poveri…”. Ecco dove l’esperienza spirituale trova la motivazione teologica: è il vivere oggi l’esempio di Gesù, il lasciarsi interrogare da Colui che agisce nel cuore, nella mente, nella volontà di chi si lascia incontrare e sceglie di rispondere in ogni luogo, interiore ed esteriore, nell’imitazione del Maestro.
– Quali sono oggi le frontiere esistenziali e spirituali che maggiormente ci interpellano?
In questo tempo di crisi, di cambiamento d’epoca, così come viene definita la storia dell’umanità di questi anni, si sono moltiplicate le periferie, le frontiere, abitate appunto da persone sempre più escluse da un sistema sempre più egemonico, un centro che si restringe sempre di più. Basta pensare la proprietà e la ricchezza materiale, economica concentrata nelle mani di poche persone, multinazionali, sistemi finanziari sempre meno trasparenti.
Il centro sta divenendo sempre più piccolo e la periferia sempre più ampia, quasi abissale. Ebbene, il sistema sta producendo povertà, in riferimento non solo ai beni di prima necessità per la sopravvivenza, ma anche al tesoro della fiducia in questa esistenza.
– In questo sistema, alcune categorie sono più colpite di altre.
Faccio riferimento alle vittime di ogni guerra, di chi rimane a “combattere per sopravvivere”, dopo la distruzione in nome di ragioni non sempre condivise. Ma anche a coloro che vivono il disagio della mancanza di senso, delle minoranze per motivi religiosi, etniche o di orientamento di genere.
Affiorano categorie nuove di piccoli, di ultimi, di bambini, di poveri, di oppressi. Sono le categorie di sempre che oggi si presentano ancora a definire una nuova cultura che pone interrogativi sulla relazione con l’altro e l’Altro. Ancora una volta l’esterno interroga l’interno per camminare verso una verità di noi stessi.
– Perché la giornata di studio ha scelto di mettere a tema l’accompagnamento delle persone lgbt+?
La scelta proviene dall’esperienza concreta di alcuni dei relatori che hanno risposto al nostro intento di trattare il tema della frontiera.
L’intento – precisiamo – non è l’occasione per “guardare dall’esterno” e definire una categoria culturale. Il rischio spesso è proprio quello di esplorare un fenomeno che è al centro di dibattito sociale, culturale e politico, per ridurlo a una definizione, una classe, un caso da stigmatizzare.
Per noi la scelta nasce proprio dall’esperienza semplice di chi si è lasciato interrogare e cammina insieme a persone che si riconoscono accomunate da un vissuto personale e vivono, cercano un percorso di crescita della fede cristiana e di ricerca spirituale.
– Che cosa intendete fare emergere?
Grazie a questi relatori, che hanno competenza nell’accompagnamento spirituale di persone lgbt+, si vorrebbe porsi in ascolto dei veri percorsi di inclusione di persone che, per la loro storia personale e percezione identitaria, non vogliono sentirsi esclusi dal cammino di ricerca di fede cristiana.
– Quali sono le difficoltà che si incontrano inoltrandosi in questo ambito?
L’ambito di cui parliamo lo possiamo riferire al contesto del gender. Trattando questo tema, si rischia di rimanere nella categorizzazione di persone. È un tema molto ampio e complesso presente come dibattito culturale, ma spesso ridotto a una polemica di tipo ideologico. Infatti, non si tratta di stabilire semplicemente l’identità nel suo orientamento sessuale, per cui si definisce il tipo umano come uomo e donna, in una forma che possiamo dire binaria.
Trattare il tema del gender significa far convergere variabili diverse: uomo e donna, maschile e femminile, relazioni e interazioni non solo interpersonali, ma anche con il mondo, con la realtà stessa.
Per questo, la comprensione del gender compone categorie diverse: quella fisica-biologica, la dimensione psichica, che indica la percezione di sé in accordo o meno con il sesso biologico, la dimensione culturale segnata da modelli che tendono a categorizzare la definizione di uomo e donna.
Il tema è complesso e non si ritrova ancora negli studi del gender un pensiero unico, ma una costellazione di approfondimenti seri, talvolta bizzarri.
– In ambito ecclesiale c’è apertura al dibattito sul tema del gender?
Nell’ambito ecclesiale il dibattito è molto aperto, coerente con una visione antropologica ben precisa.
In riferimento al documento della Congregazione per l’educazione cattolica del 2019 – Maschio e femmina li creò –, la questione è stata sintetizzata in questo modo: “no all’ideologia, sì alla ricerca; no alla discriminazione, sì all’accompagnamento; no all’“antropologia del neutro”, sì all’“antropologia delle differenze”. Una questione ancora aperta.
Segno di questo stato di discussione è quel documento della Congregazione della fede, il Responsum circa la benedizione delle unioni di persone dello stesso sesso, così discusso e non accolto in modo uniforme dalle comunità cristiane del mondo. Ma anche papa Francesco, che chiede di fare studi sulla ideologia del gender, mentre la considera il pericolo più brutto di oggi (1-2 marzo 2024, convegno Uomo-donna immagine di Dio. Per un’antropologia delle vocazioni, organizzato dal Centre de Recerche et d’Anthropologie des Vocations).
– Quali sono le risorse che possono essere messe in atto in questo campo?
È una domanda di non facile soluzione a breve termine. Si notano comunque positivi movimenti di accoglienza, di accompagnamento di persone lgbt, in riferimento alla richiesta avanzata nella sintesi nazionale della fase diocesana (2021-23) in preparazione del Sinodo. Ma ogni diocesi, almeno in Italia, si sta rendendo presente e attiva promuovendo momenti e attività di incontro e di ascolto, definendola una pastorale di inclusione. Mi sembrano dinamiche nuove anche se non conosciute da tutti.
– Quali ricchezze possono emergere nello scambio e nel dialogo?
Credo che la ricchezza maggiore sia quella di mostrare un volto di Chiesa accogliente.
Il principio della cura sta divenendo ormai come l’unica arma che abbiamo per coltivare relazioni buone. Fondamentale è che tutti siamo guardati con lo sguardo di misericordia di Dio che è Padre e Madre e che rivolge a tutti l’invito a riscoprirlo come il Dio della vita che ha cura di tutte le sue creature.
L’atteggiamento di alzare muri, per definire il puro e l’impuro, non è mai stato del Signore Gesù. Questo apre a un dialogo con situazioni e ambiti diversi. Nella frontiera, è sicuro che il Maestro ha già preceduto tutti.
Purtroppo il panorama culturale di questa problematica ha ceduto ad una visione che chiamerei da una parte moralistica e dall’altra quasi materialistica, mettendo al centro il problema al posto della persona. Se il problema è l’oggetto principale ne nasce la necessità di trovare soluzioni: il problema per definizione si aspetta una risoluzione, altrimenti è fonte di inquietudine e di impotenza.
Sto seguendo delle riflessioni pertinenti sulla morte dello psichiatra Eugenio Borgna, che sembra del tutto assente nel mondo delle comunicazioni, e mi rendo conto che persone come lui, purtroppo, sono di fatto le prime a vivere le periferie culturali. Lui ha affrontato le problematiche del dolore, delle malattie dello spirito, della stessa pazzia, non come problemi da risolvere, ma come storie di persone. Penso che se questi argomenti, così scottanti, non hanno un’attinenza con il vissuto delle persone, a maggior ragione quando c’è di mezzo la fede, continueranno ad esser presenti soltanto nei dibattiti, creando frammentazioni, scontri ideologici e tristezza.
Vero, non a caso uno dei suoi ultimi libri aveva il titolo profetico di Agonia della psichiatria. In fondo la psicanalisi e’ nata dalla diaspora, era un viaggio alla ricerca di se stessi, oggi basta una sigla, una A, un diritto da reclamare a voce alta (chi ti ascoltera’ poi, se l’altro reclama se stesso a voce alta uguale) un farmaco..
Ogni stagione ha i suoi pro e i suoi contro passera’ anche questa.
Purtroppo l’esigenza di vita delle persone non può aspettare. Queste parole sicuramente belle arrivano ahimè troppo tardi e ormai si può solo salvare il salvabile. Tante persone LGBT+ credenti sfiancate da parole offensive da una parte e da atteggiamenti inutilmente attendisti dall’altra nella maggior parte dei casi sono diventate agnostiche o atee e in piccola parte si sono costruiti cin grande fatica e ricerca il proprio cammino di fede, in quasi totale autonomia senza praticamente più contatti con la chiesa ufficiale.
Di questa ecatombe spirituale sono responsabili le chiese e quei cristiani che per troppo tempo e ancora oggi alzano muri su muri impedendo a molte persone di conoscere la bellezza di Dio.
Io penso che ormai sia troppo tardi per chi è adulto il mostrare questo volto accogliente. Spero lo sia per i giovanissimi che non si sentano cacciati o esclusi e riescano a mantenere un rapporto con la fede di tipo comunitario, cosa che negli anni passati è stato quasi sempre impossibile avere. Il futuro credibile della chiesa passa anche attraverso questa capacità di essere cristianamente e non farisaicamente accogliente.