La carne e l’anima

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Forse mai come in questo momento della storia possono risultare attuali alcune espressioni che si leggono nella A Diogneto. In questo testo della fine del II secolo l’identità dei cristiani è presentata dall’anonimo autore come frutto di rivelazione. Egli la incentra sul rapporto conflittivo tra l’anima e il corpo – metafora del rapporto conflittivo tra i cristiani e il mondo – inteso come rapporto tra due realtà la cui opposizione non è però reciproca, tutt’altro: è il corpo che odia, mentre l’anima ama.

«In una parola, ciò che l’anima è nel corpo, i cristiani lo sono nel mondo. L’anima è disseminata per tutte le membra del corpo, e i cristiani per le città del mondo. L’anima abita nel corpo, ma non è del corpo; così pure i cristiani abitano nel mondo, ma non sono del mondo. Invisibile, l’anima è tenuta prigioniera nel corpo visibile: così pure, dei cristiani si sa che sono nel mondo, ma la loro religione rimane invisibile. La carne odia l’anima e le fa guerra, benché non ne riceva alcun torto, perché ne viene ostacolata nel godimento dei piaceri: così pure, il mondo odia i cristiani pur senza riceverne alcun torto, perché fanno fronte contro i piaceri. L’anima ama la carne che la odia, e le membra: così pure i cristiani amano coloro che li odiano» (6,1-6).

Può sorprendere, in questa presentazione, l’assenza di ogni riferimento alla prassi cultuale dei cristiani, nonostante fosse già incentrata sia sul battesimo sia sull’eucarestia, come pure a una diversificazione di ruoli ministeriali, anch’essi in gran parte già definiti: su questi aspetti l’intero scritto non entra in dettaglio, limitandosi, riguardo al culto, a sottolineare che non si celebrano sacrifici come avviene tra i pagani, riguardo alla presenza di una gerarchia ecclesiastica, parlando indistintamente di «cristiani».

Se «i cristiani sono nel mondo ciò che l’anima è nel corpo», risulta facile all’autore spiegare qual è lo scopo della loro presenza:

«L’anima è rinchiusa nel corpo, ma è lei che tiene insieme il corpo: così pure i cristiani sono trattenuti nel mondo come in un carcere, ma sono loro che tengono insieme il mondo» (6,7).

Ma anche il “tenere insieme il mondo”, cioè sostenerlo in ogni sua parte, garantendone la stessa esistenza, ha la sua motivazione nella rivelazione che Dio ha fatto loro di se stesso: è infatti da lui che i cristiani lo hanno ricevuto.

«Dio infatti ha amato gli uomini: per essi ha fatto il mondo, a essi ha sottomesso tutto quanto è sulla terra, a essi ha dato ragione e intelligenza, solo a essi ha permesso di alzare lo sguardo verso di lui, essi ha plasmato secondo la propria immagine, a essi ha inviato il suo Figlio Unigenito, a essi ha promesso il regno che è nei cieli, che darà a quanti lo avranno amato» (10,2).

Ma amare Dio – rivela l’autore – ha come conseguenza diventarne imitatore e così, nella concretezza più radicale quale quella illustrata nella pratica della carità, i cristiani sono presentati come coloro che, nel tempo della storia, sono in grado non solo di “tenere insieme il mondo”, ma di unirlo alle realtà celesti, testimoniando così l’avvenuta eliminazione di ogni muro separatorio tra terra e cielo.

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