Che senso ha studiare teologia oggi? In un mondo dominato dalla tecnica e dall’intelligenza artificiale vale ancora la pena spendere tempo ed energie per approfondire questioni «fuori moda», legate a Dio e alla fede? A cosa serve?
Probabilmente le prime risposte a tali interrogativi – magari anche da parte di chi sta leggendo – potrebbero essere queste: «nessuno, no, a niente». Tre affermazioni perentorie che chiudono ogni discussione e non permettono il confronto e la riflessione. Non voglio fare lunghi discorsi, ma semplicemente affrontare la questione della teologia condividendo qualche pensiero, non imponendo una verità dogmatica, nella speranza di offrire un’occasione di approfondimento e di dialogo costruttivo.
Pensiero e azione
Quello della teologia non è un terreno minato come qualcuno potrebbe pensare né tanto meno un campo riservato a chi ancora intende abbracciare una vita di consacrazione religiosa, ma è invece un’opportunità di crescita, sia da un punto di vista cristiano, per chi lo è, sia da un punto di vista umano. Non si studia teologia solamente per accrescere il proprio bagaglio di nozioni e di conoscenze nel campo della dottrina, quanto per apprendere delle categorie di riferimento che possono aiutarci a stare dentro la storia e a leggerla dal punto di vista di Dio.
Papa Francesco, al numero 5 di Veritatis Gaudium, la Costituzione Apostolica del 2018 circa le Università e le Facoltà ecclesiastiche, scrive così:
«gli studi ecclesiastici non possono limitarsi a trasferire conoscenze, competenze, esperienze, agli uomini e alle donne del nostro tempo, desiderosi di crescere nella loro consapevolezza cristiana, ma devono acquisire l’urgente compito di elaborare strumenti intellettuali in grado di proporsi come paradigmi d’azione e di pensiero, utili all’annuncio in un mondo contrassegnato dal pluralismo etico-religioso. Ciò richiede non solo una profonda consapevolezza teologica, ma la capacità di concepire, disegnare e realizzare, sistemi di rappresentazione della religione cristiana capace di entrare in profondità in sistemi culturali diversi».
Sono convinto che la strada maestra per fare questo sia quella del dialogo, esperienza prima e fondamentale per avanzare nel processo di conoscenza reciproca, di accettazione e di crescita. Lo studio della teologia può essere una chiave, accanto ad altre, per aprire a un cambio di prospettive e di punti di vista. Studiare teologia non è rinunciare alla ragione per leggere ogni cosa solo con gli occhiali della fede, ma è piuttosto provare a tenere insieme fede e ragione.
Passione per l’umano
Sant’Agostino esprime questo importante rapporto con il binomio intelligo ut credam e credo ut intelligam, ovvero «ragiono per credere e credo per ragionare». Ciò significa che la ragione svolge un ruolo propedeutico nei confronti della fede, ma allo stesso tempo essa viene anche alimentata e vivificata dalla fede.
Studiare teologia significa allora mettere in dialogo fede e ragione per «scrutare i segni dei tempi e interpretarli alla luce del Vangelo, così che, in modo adatto a ciascuna generazione, possa rispondere ai perenni interrogativi degli uomini sul senso della vita presente e futura e sulle loro relazioni reciproche» (Gaudium et Spes, 4).
Nessun uomo può permettersi di ignorare quello che succede, non ci si può estraniare dalla storia, nemmeno in nome della fede, perché questo fa nascere l’indifferenza; chi si interessa di teologia non vive sotto una campana di vetro, in un contesto asettico e indifferente, ma coltiva la passione per l’umano, quell’umano a cui anche la teologia si interessa.
Don Stefano Zeni, presbitero della diocesi di Trento, è Direttore dell’ISSR «Romano Guardini» di Trento. Pubblichiamo il suo intervento nel giorno in cui con la prolusione di Andrea Riccardi (storico, fondatore della Comunità di Sant’Egidio) dal titolo «Il grido della pace», l’ISSR «Romano Guardini» inaugura l’Anno Accademico 2022/2023 (cf. qui).
La teologia si interessa dell’umano? Va benissimo! Ma quando è l’umano che non si interessa della teologia come la mettiamo? Forse in tali ambasce, ancora una volta, ci viene incontro la Scrittura con la sua sapienza. Il pensiero corre all’abusato, starei quasi per dire consunto, brano di 1Pt 3, 15. Salta agli occhi che qui “il dare ragione” è dare ragione della speranza che è nel cristiano. Se il cristiano (teologo o meno) non nutre più tale speranza nessun umano avrà domande da porgli.