Con la risurrezione i misteri cristiani non hanno finito d’esprimere i loro dinamismi di grazia, né sono poste le ultime condizioni per l’effusione dello Spirito sulla famiglia umana e sulla creazione intera. L’umanità che si è unita, che ha lavata nel suo sangue, che ha fatto apparire dinanzi a lui santa e immacolata nello splendore della risurrezione, il Cristo la introduce ora nella casa del Padre per iniziare con lui una compagnia di gloria, in attesa che ad essa partecipino i suoi fratelli.
Non solo visibilmente (al di sopra dei cieli), ma invisibilmente (al di sopra di ogni creatura), è esaltata l’umanità del Cristo, in mezzo allo stupore dei mondi angelici: il Padre «ha messo tutto sotto i suoi piedi» (Ef 1,22). L’ascensione appare, così, come la contropartita dell’incarnazione: la sua conclusione, l’ascendere nella gloria di Dio dopo il discendere nell’umiliazione della sorte dell’uomo.
Cristo discende e ascende
Il discendere del Figlio di Dio nella condizione umana è lungo e conosce profondità insuperabili: inizia quand’egli assume la nostra carne il giorno di Natale e prosegue con il penetrare nell’oscurità della nostra morte il giorno del sabato santo, quando discende nel cuore della terra a visitare la comunità dei morti che l’ha preceduto.
In quel grande sabato, Cristo, che è Adamo più di Adamo (cf. Rm 5,14), va a incontrare Adamo, l’uomo fatto in vista di lui (cf. Col 1; Ef 1): lo cerca e, in lui, cerca l’uomo, ogni uomo, nella profondità più riposta di lui, fin dentro il «guazzabuglio del cuore umano» (A. Manzoni). Solo lui sa compiere questa penetrazione della vita dell’uomo: «Lui solo infatti sa cosa c’è dentro l’uomo, lui solo lo sa», ha affermato Giovanni Paolo II nel suo Discorso d’inizio pontificato.
Se, come fratello di Adamo, Cristo discende, come Figlio del Padre egli ascende: dopo aver esplorato il cuore dell’uomo scendendo, esplora il cuore del Padre ascendendo. Ma fra quel discendere fraterno e quell’ascendere filiale c’è congiunzione: egli è disceso fino al cuore dell’uomo, per portare l’uomo fino al cuore di Dio: Gesù, col suo ritorno al Padre, ha aperto per sé e per tutti l’accesso al mondo “celeste”, che sarà la sede dell’umanità rigenerata.
Egli ne è il primo abitante, ma un giorno dovrà accogliere l’intera famiglia umana. Con il mistero dell’ascensione di Cristo, il Padre mostra la più grande solidarietà verso gli uomini; si tratta infatti della solidarietà della salvezza piena e definitiva: «Con lui ci ha anche risuscitati e ci ha fatti sedere nei cieli, in Cristo Gesù» (Ef 2,6).
Il Figlio di Dio era disceso dalle regali dimore per cercare la pecora smarrita, l’umanità dissipata nelle nebbie del peccato. Ora, avendola ritrovata, la porta sulle spalle e l’introduce nell’ovile. L’ascensione indica perciò il compiersi del movimento cominciato con l’incarnazione, del gesto dell’agape divina che viene a cercare l’uomo per introdurlo nel vortice glorioso della comunità trinitaria.
Ed è anche la contropartita delle umiliazioni della croce. Il Figlio aveva glorificato il Padre facendosi obbediente fino alla morte, e fino alla morte di croce. Il Padre ora glorifica il Figlio e lo esalta «dandogli il Nome che è al di sopra di ogni nome, affinché al nome di Gesù ogni ginocchio si pieghi, in cielo, sulla terra e negli inferi» (Fil 2,9‑10).
Dalla destra del Padre
Salendo al Cielo e sedendo alla destra del Padre, Cristo ci indica il punto d’osservazione dal quale va visto e giudicato il mondo: questo va compreso dalla parte di chi l’ha creato. La conseguenza è austera per noi: il Signore dell’ascensione c’insegna che il mondo lo si ama trascendendolo, non solo immergendosi in esso; che lo si ama elevandolo, ossia offrendogli prospettive e aperture misteriche.
Il Cristo dell’ascensione ci si offre come misterioso esempio di come si sta dentro il mondo per salvarlo. Il Glorificato c’insegna il paradosso cristiano, che cioè il mondo lo si capisce meglio, anzi fino al suo mistero, vedendolo da lontano. Mai il Cristo, infatti, è stato tanto vicino a noi e al nostro mondo, come ora che egli lo ha lasciato per salire al Padre.
Il mondo lo si capisce ponendosi, perciò, dalla parte di Dio; lo si ama elevandolo e non deprimendosi in esso; lo si salva portandolo a Dio e non perdendosi fin nelle sue viscere. L’ascensione chiede di elevare l’uomo e il suo mondo a Dio.
Con l’ascensione Gesù non si allontana da noi, ma si avvicina a noi nella maniera più intima e radicale: dalla destra del Padre custodisce la Chiesa e l’intera comunità degli uomini. Egli è vicino a noi in un modo nuovo: è con noi da Dio e con la modalità propria di Dio. È alla «destra di Dio» (Mc 16,19), cioè è ricolmato di potere salvifico dal Padre, perché di lì raggiunga tutti gli uomini e li redima.
Intriso di gloria paterna, Cristo intercede per noi sempre (cf. Eb 7,25): egli è presso Dio in qualità di nostro intercessore. Egli ormai vive interamente per gli uomini perché, alla destra del Padre, vive completamente ed eternamente per Dio (cf. Rm 6,9s). Da questo deriva l’efficacia assoluta della sua intercessione: essendo stato innalzato, Gesù partecipa della potenza (cf. Rm 1,3s) e della gloria di Dio (cf. Fil 3,21), che egli usa, non per intimidirci o per schiacciarci (come accade tra noi), ma per fondare la nostra speranza e per elevarci fino all’altezza del cuore del Padre (cf. Rm 5,9s).
Inizia la salvezza dell’uomo intero
L’ascensione è la glorificazione totale di Cristo: del suo spirito e del suo corpo. Questa glorificazione del suo essere completo è causa e principio della futura glorificazione dell’uomo intero. L’uomo non finirà la sua esistenza e non vivrà la sua eternità da angelo, ma da uomo, quale solo è stato creato, cioè anche nella sua corporeità, giacché il corpo è il luogo nel quale l’uomo incontra Dio e gli uomini.
Il corpo di Cristo risorto e glorificato riguarda la totalità dell’uomo che, da un lato, è completamente penetrato nella sfera della signoria divina e, dall’altro, è tale da mantenere il suo riferimento al mondo e a noi (cf. 1Cor 11,24), divenendo contemporaneo di ogni generazione umana. Con l’ascensione Cristo ha glorificato non solo il suo corpo e quello dell’uomo, ma il “corpo” di tutta la creazione.
Proprio questo fa dell’ascensione il mistero cosmico per eccellenza. Non solo il Cristo glorificato è costituito capo della Chiesa, che è il suo corpo, ma è costituito Signore di tutta la creazione. Capiamo così che l’azione creatrice, costantemente in atto, passa attraverso il Figlio di Dio crocifisso e glorificato, al quale dunque tutte le cose si appoggiano per non cadere nel nulla: «tutte le cose sussistono in lui» (Col 1,17).
Ogni cosa deriva da lui, principio esemplare, la sua natura; e ogni cosa deriva da lui, principio efficiente, la sua stessa esistenza. Giungiamo così a farci un’idea di quanto profondo, vasto e duraturo sia l’«innesto», per usare un’immagine paolina, del creato nel Cristo crocifisso e risorto.
Ogni cosa è un frammento del valore incommensurabile che è in lui radunato; ogni cosa riceve unicamente da lui la sua adeguata significazione. Solo il Glorificato ha la forza di reggere il mondo e di impedire, dunque, che esso cada nel baratro del nulla. L’ascensione sconfigge in radice il nichilismo.
Cristo regge il mondo
Gesù, prima di ascendere al Padre, ha cercato di convincere i discepoli al distacco e, fra l’altro, impressiona molto un’espressione con cui egli ha cercato di farlo: «è meglio per voi che io parta; perché, se non parto, il Paraclito non verrà a voi» (Gv 16,7). Meno male, allora, che egli sia partito verso la destra del Padre, perché lì ha acquistato la forza di elevare tutti in Cielo.
C’è una forza che serve e che consola: è quella che Gesù possiede per salvare noi: è un potere salvifico che fonda la nostra speranza. Quella forza Gesù comincia a mostrarla già all’atto dell’ascendere al Cielo, quando invia i discepoli in «tutto il mondo», chiedendo loro di battezzare «tutte le creature», promettendo di restare con loro «tutti i giorni» (cf. Mt 28,18-20).
Gesù è capace di promettere tutto, di fare tutto, di chiedere tutto: quel «tutto» è la cifra della sua forza di Redentore dell’uomo.