Un serrato botta e risposta in forma di lettera tra un ecclesiastico e un laico.[1] Il primo è Vincenzo Bertolone arcivescovo di Catanzaro-Squillace, il secondo è il giornalista Nino Barraco. Oggetto del contendere, non l’inferno in sé, quanto piuttosto la sua durata. Sarà davvero eterno?
«Non potrà esserci una “separazione eterna” di Dio dall’uomo», scrive Barraco E argomenta così: se Dio non smette mai di amare l’uomo, come potrà accettare di “perderlo” eternamente? Come potrà Dio essere felice «sapendo che uno dei suoi figli è infelice»? Può il male essere più forte «della risurrezione di un Dio»? L’inferno non segnerebbe, alla fine, «la sconfitta di Dio»? Come può Dio accettare di spartire, per l’eternità, «il suo potere con il potere del male»?
Non sarebbe un fallimento della creazione e della redenzione? E poi, «se ripugna alla nostra umanità la pena di morte, l’ergastolo a vita, perché non credere in un Dio che ci ama di più»? Dobbiamo accettare «l’eternità del male»? No – scrive Barraco –, alla fine «tutto sarà bellezza, e tutto tornerà alla Bellezza». Con una conclusione perentoria: «Non ditemi che Dio si rassegna all’inferno», perché, alla fine vincerà «l’Amore che fa tutto amore!». Credo quindi che «che ci sarà un “dopo” l’inferno… Lo Spirito troverà come redimere l’inferno».
Fin qui l’argomentare del giornalista.
La parola passa a mons. Bertolone, chiamato, a rispondere alla domanda: non c’è contraddizione tra un inferno pensato come eterno e la misericordia di Dio pensata come infinita? Per il biblista Gaetano Di Palma, che apre l’opuscolo, non esiste contrasto tra misericordia e pena eterna, perché è l’uomo a scegliere il suo destino, decidendo se fare o non fare il bene. Egli ha davanti o una vita eterna o un supplizio eterno (Mt 25,46).
E secondo l’arcivescovo? Egli accoglie come «suggestive» le appassionate riflessioni di Barraco, tanto che cita von Balthasar, secondo il quale «è legittimo sperare che l’inferno sia vuoto». Ma ci sono due passaggi invalicabili per pensare che ci possa essere un “dopo” l’inferno, anche se ciò può risultare ostico ad una certa mentalità.
Il primo riguarda l’Evangelo, dove appare chiaro che la comunione con Dio e l’inferno «sono inconciliabili» (parabola del ricco epulone) e «non c’è nessun dopo». La dottrina della Chiesa è costante in questo senso.
Il secondo riguarda la libertà dell’uomo. Se egli rifiuta la salvezza «in modo totale e definitivo, Dio non potrà fare nulla, perché la sua creatura si è autoesclusa liberamente, consapevolmente, convintamente». Se accettiamo che Dio salva l’uomo a prescindere dalle sue scelte, «si annulla la libertà dell’uomo e si cancella l’inferno». È vero «che Dio è amore infinito e vuole tutti salvi, ma rispetta fino in fondo, sì fino in fondo la libertà dell’uomo».
Discorso chiuso, quindi? Sì, risponde l’arcivescovo, perché «teologicamente parlando, non c’è un “dopo” l’inferno». Eppure – prosegue – niente ci impedisce «di sognare l’uomo con i sogni di Dio, di sperare contro ogni speranza».
Si legge con vivo interesse questo libretto, piccolo di dimensioni ma di alto contenuto. I due dialoganti espongono con chiarezza le loro ragioni. Brillanti e seducenti le lettere del giornalista, pacate e incisive le risposte dell’arcivescovo.
[1] Dio non si rassegna all’inferno. Epistolario sull’inferno. La fede di un vescovo, mons. Vincenzo Bertolone. L’ipotesi di un laico. Nino Barraco, Stampa c/o Grafiche Simone sas (CZ) 2020, pp. 86, € 2,00.
Cara Settimana, rivolgerei un invito ai miei colleghi biblisti ancora abili ricercatori: analizzare il senso biblico di “eterno”. Forse significava solo qualcosa di veramente disastroso, radicale, terribile e duraturo, non sempre per sempre. In contrasto con guai e rovine di minor conto e meno terribili. Comunque qualche rovina gravemente penosa e da evitare con un buon uso della libertà e della responsabilità.