Oggi molte persone che hanno vissuto per diversi anni nei contesti ecclesiali non danno più per scontata la loro scelta di fede in Cristo, stimolate anche dal fatto che vi sono molti individui non religiosi o non cristiani che vivono con passione la loro vita, sono capaci di relazioni interpersonali appaganti e si sentono pienamente realizzati.
L’identità della Chiesa e le aspettative delle persone
Se la decisione della fede non è per nulla ovvia, lo è ancora di meno quella di appartenere in modo effettivo ad una comunità cristiana. La cultura post-moderna invita a pensare che ciascuno possa e debba essere l’unico ed esclusivo protagonista della propria esperienza umana anche sotto il profilo spirituale.
Questo mette in discussione la legittimità di istituzioni religiose come quelle ecclesiali che non si limitano ad offrire idee e servizi, ma che si propongono di orientare in certa misura le convinzioni e le scelte personali dei loro aderenti. Così, non di rado, la scelta di appartenere effettivamente alla Chiesa cattolica è intesa come un abdicare alla propria libertà intellettuale e decisionale, e quindi alla propria realizzazione personale.
A fronte di queste sfide così complesse che tendono a spopolare le comunità cristiane, talvolta si cerca di attirare chi è lontano dal mondo ecclesiale cercando di far collimare l’identità della Chiesa con le presunte aspettative degli uomini e delle donne post-moderni.
Si trasmette quindi il messaggio che, nella parrocchia, nell’associazione o nel movimento, si sta bene, perché si vivono relazioni buone, si fanno delle cose interessanti e si aiutano persone in difficoltà, nella speranza che queste motivazioni siano sufficienti per convincere qualcuno ad entrare in queste realtà ecclesiali.
In realtà, chi ha un po’ di esperienza di vita ecclesiale alle spalle sa molto bene che le cose non sono quasi mai così positive a causa di conflitti, incomprensioni, criticità organizzative, e così via. Qualunque coinvolgimento effettivo nella vita di una comunità comporta spesso il farsi carico di situazioni onerose e talora il pagare un prezzo molto alto sul piano del benessere personale.
Dunque, se ciò che dovrebbe spingere le persone ad aderire alla Chiesa cattolica è il fatto di trovare un bell’ambiente, si deve concludere che probabilmente questa motivazione orienta preferibilmente verso altre organizzazioni, pure non religiose, che sono caratterizzate da una maggiore leggerezza e maturità organizzativa.
In realtà, la ragione per appartenere alla Chiesa non può essere trovata nelle qualità delle comunità cristiane, ma piuttosto nella fede in Gesù e nel desiderio di beneficiare della sua azione di salvezza.
Non può mancare la proposta di fede in Cristo
Dunque, l’invito ad entrare in una comunità cristiana non può essere slegato dalla proposta di fede in Cristo, perché in caso contrario, almeno alla lunga, non funziona. A questo riguardo, così scrive il padre J.M.-R. Tillard:
«Nella sua realtà di comunione attualizzata concretamente, la Chiesa appare quindi già abitata dalla presenza della res del Regno, cioè dalla sua realtà profonda, ma nel buio, nell’umiltà, nella fragilità della condizione di credenti ancora in cammino. Forse è necessario sottolineare il fatto che, se questa relazione della Chiesa comunione alla realtà del Regno si attualizza in modo eminente nell’eucaristia, essa viene vissuta anche nello svolgersi della vita quotidiana. […] La Chiesa è nell’umanità la comunità che è retta dal già del Regno, l’Agápe. In contrasto con i regimi di questo mondo la sua potenza viene dalla carità e dal servizio ricevuti dal Signore, che passano in essa» (J.M.-R. Tillard, Chiesa di Chiese. L’ecclesiologia di comunione, Brescia 1989, 73-74).
Dunque, la ragione per entrare in una comunità cristiana non è il fatto che essa sia un ambiente sano, alieno da conflitti distruttivi o popolato di gente interessante e matura. Si diventa membri della Chiesa perché questo è il modo di vivere in Cristo e di fare esperienza insieme ad altri fratelli e sorelle del regno di Dio che egli ha realizzato con la sua vita, morte e risurrezione.
In effetti – come rileva Tillard – le comunità sono rese capaci dallo Spirito di essere il luogo in cui si attua la signoria divina, sebbene custodiscano questo dono nella fragilità che contraddistingue ogni realtà umana. Per questo esse non sono semplicemente luoghi di umanizzazione, in cui si è aiutati a trovare il senso della vita e a sperimentare relazioni arricchenti, ma il contesto in cui, per l’azione di Dio, si può già vivere anticipatamente qualcosa della condizione definitiva di beatitudine nell’amore che ci attende nell’eternità.
Questa identità della Chiesa le conferisce delle caratteristiche che vanno ben al di là delle migliori qualità che possono caratterizzare una qualunque organizzazione umana. Se qualsiasi gruppo di persone, anche non religioso, dovrebbe comunque stare dalla parte dei bisognosi e dell’ambiente, la Chiesa può e deve andare ben oltre. Essa ha la capacità di esprimere l’amore di Dio nel mondo su un piano ulteriore rispetto a quello della giustizia e della solidarietà, un piano che non è neppure concepibile per chi non è cristiano.
Tale piano è dato dall’universalità – o cattolicità – della Chiesa, cioè dalla sua capacità di accogliere al suo interno tutti coloro che hanno fede in Cristo a prescindere dal fatto che abbiano determinate qualità o caratteristiche, o che siano sufficientemente in sintonia con gli altri credenti. In effetti, dal punto di vista umano, non può sussistere una comunità di persone che non si sono scelte in base a un qualsiasi criterio elettivo.
Eppure, la Chiesa vive proprio in questo modo «cattolico» da duemila anni. Proprio la sua faticosa e sofferta unità di persone diverse, che di per sé non dovrebbero riuscire a vivere insieme, dimostra che davvero la signoria di Dio ha iniziato a realizzarsi in questo mondo e ad abbattere ogni possibile muro di divisione tra gli esseri umani.
La Lettera a Diogneto è illuminante a questo riguardo.
Il valore aggiunto, e che valore!, che auspichiamo la gente trovi in Parrocchia, è un incontro con Gesù.
Chiediamoci quali e quante manifestazioni nascondono spesso un bisogno spirituale di cui si è totalmente inconsapevoli. Penso che oggi siano bizzarre al punto da essere irriconoscibili e spesso mi chiedo cosa ci sia effettivamente dietro alcuni
comportamenti. Sicuramente incontrare un Sacerdote o un laico che aiuti questo processo di autocomprensione può fare la differenza: se la persona sotto sotto riconosce il suo bisogno dell’ amore divino allora si aprirà all’ incontro salvifico con Gesù.
Divorziati risposati, persone LGBT sono sempre stati esclusi. Molto di recente qualcosa è cambiato ma fino all’arrivo di papà Francesca la signoria di Dio è stata tenuta in scacco dalla signoria del clero. Personalmente la vita in parrocchia è un elemento limitante della mia libertà. E non sono paturnie ma è la verità. Le parrocchie sono luoghi che diventano limitanti purtroppo perché non adeguate alla varietà umana e nonostante papa Francesco se non c’è un prete illuminato alla guida l’ambiente diventa irrespirabile.
A me pare che nella Chesa manchi una tensione escatologica (https://iltuttonelframmento.blogspot.com/2020/12/cattolicesimo-borghese5.html) che le permetta di vivere nella signoria di Dio ben delineata da Nardello.