Sull’aereo di ritorno da Fatima, il 13 maggio scorso, fra le domande dell’ormai tradizionale intervista (concessa anche da precedenti papi), c’è stata quella riguardante Medjugorje. Un giornalista (Mimmo Muolo) ha chiesto al papa: «Che cosa pensa di quelle apparizioni – se sono state apparizioni – e del fervore religioso che hanno suscitato, visto che ha deciso di nominare un vescovo delegato per gli aspetti pastorali?».
Una risposta chiara ed efficace
Papa Francesco ha risposto così alla prima domanda dell’intervista: «Tutte le apparizioni o le presunte apparizioni appartengono alla sfera privata, non sono parte del magistero pubblico ordinario della Chiesa». Questa sua nitida affermazione ha il colore del lampo e il sibilo di un fulmine.
Queste sue parole aiutano a far chiarezza sul tema delle apparizioni che non deve mai diventare più importante della “verità mariana”, la quale consiste in questo: Maria è anzitutto la “madre di Gesù” e, dunque, la “madre di Dio” (è la verità mariana di fondo, base di ogni discorso su di lei e di ogni esperienza di “pietà” nei suoi confronti).
Questa basilare “verità mariana” ha ricordato papa Bergoglio quando risponde al giornalista: «Io preferisco la Madonna madre, nostra madre, e non la Madonna capo-ufficio telegrafico che tutti i giorni invia un messaggio a tale ora… questa non è la mamma di Gesù».
La verità centrale di Maria
L’affermazione ora riportata di papa Francesco è fortificativa dell’amore a Maria ed è invito a riconoscerle nella vita dei singoli cristiani e della Chiesa il ruolo fondamentale che il Dio trinitario le ha riserbato: Maria non è certamente il “centro del cristianesimo” (che è Gesù, sua “essenza”, come ha insegnato Romano Guardini), ma, tuttavia, lei «nel cristianesimo è centrale» (come ha saputo ben dire il biblista p. Aristide Serra).
Questa “centralità” e questa “primalità” che Maria ha nella vita cristiana, è verità rigorosa che, in nessun modo, deve essere messa a repentaglio con forme interpretative del suo mistero che hanno perso il timbro della serietà, della plausibilità, della giusta severità, della grande dignità del mistero… Con il suo «Io preferisco la Madonna madre, nostra madre…» papa Bergoglio tutto questo ricorda.
Si manca di rispetto a Maria
La verità mariana è alta e non può conoscere derive di forme espressive e rappresentative inverosimili che, magari, non hanno nemmeno fili di coerenza con la storia delle apparizioni… Questo vuole affermare papa Francesco quando afferma, con espressione colorata e vivace, che egli non ama «la Madonna capo-ufficio telegrafico che tutti i giorni invia un messaggio a tale ora… questa non è la mamma di Gesù».
Non si vede come poter raccordare e sintetizzare figure altamente improbabili delle iniziative mariane con la concezione che di lei avevano Paolo VI e Giovanni Paolo II quando l’additavano quale «prima e perfetta discepola di Cristo»; né con la presenza essenziale che le attribuiva un teologo severo, come Raimundo Panikkar, quando di lei scriveva: «Tutto è importante: teologia, scienza, cultura, progresso, tutto è molto importante, però, senza Maria, la nostra vita cristiana è monca e qualsiasi concezione che si tenta di dare del cristianesimo diventa fallita»; né con la forte affermazione che riconosce alla madre di Gesù e nostra la misterica e degnissima funzione di essere il miglior «simbolo del cristianesimo», come si insegna al Marianum…
La normale vita cristiana
«E queste presunte apparizioni non hanno tanto valore. E questo lo dico come opinione personale. Ma chi pensa che la Madonna dica: “Venite che domani alla tale ora dirò un messaggio a quel veggente”; no. Nel rapporto-Ruini si] distinguono le due apparizioni. E terzo, il nocciolo vero e proprio del rapporto-Ruini: il fatto spirituale, il fatto pastorale, gente che va lì e si converte, gente che incontra Dio, che cambia vita… Per questo non c’è una bacchetta magica, e questo fatto spirituale-pastorale non si può negare. Adesso, per vedere le cose con tutti questi dati, con le risposte che mi hanno inviato i teologi, si è nominato questo vescovo – bravo, bravo perché ha esperienza – per vedere la parte pastorale come va. E alla fine, si dirà qualche parola».
Questo importante passaggio dell’intervista papale, soprattutto nella sua prima riga, può essere così commentato. Un cristiano è “equipaggiato” da Cristo di tutte le risorse per la salvezza: la parola di Dio, i sacramenti, la grazia, la guida dei pastori, il primo dei quali è Cristo che, dalla destra del Padre è ancora (e più di quando era con noi) maestro, sacerdote e pastore del popolo di Dio, pellegrino verso la soglia dell’ultima Patria…
Ci devono bastare il Dio trinitario, le due Madri (Maria e la Chiesa), la rivelazione, i sacramenti, i pastori, i fratelli di vita e di battesimo, le divine forze della fede, della speranza e dell’amore, la comunità beata che intercede per noi in Cielo, la comunità angelica che Dio mette anche a disposizione della famiglia degli uomini… Tutto il resto (comprese le apparizioni) viene dopo; tutto il resto non è nell’ordine del privilegiamento e, tanto meno, della necessità…
Elogio alla Commissione-Ruini
Per la Commissione su Medjugorje, presieduta dal card. Ruini e istituita da Benedetto XVI e che da papa Francesco è stata confermata (quanto rispetto di lui per Ratzinger…), le parole più grate: «Una commissione di bravi teologi, vescovi, cardinali. Bravi, bravi, bravi. Il rapporto-Ruini è molto, molto buono…». «Poi – confida Bergoglio con la sua spontaneità disarmante –, c’erano alcuni dubbi nella Congregazione per la dottrina della fede e la Congregazione ha giudicato opportuno inviare a ognuno dei membri del congresso, di questa “feria quarta”, tutta la documentazione, anche le cose che sembravano contro il rapporto-Ruini».
Una decisione saggia
Di fronte all’intrapresa ora ricordata, doverosa e saggia è stata la decisione di papa Bergoglio da lui stesso riferita nell’intervista: «Io ho ricevuto la notificazione: ricordo che era un sabato sera, in tarda serata. Non mi è sembrato giusto: era come mettere all’asta – scusatemi la parola – il rapporto-Ruini, che era molto ben fatto. E domenica mattina il prefetto della Congregazione per la dottrina della fede ha ricevuto una lettera da me, in cui gli chiedevo di dire che invece di inviare alla “feria quarta” inviassero a me, personalmente, le opinioni. Queste opinioni sono state studiate, e tutte sottolineano la densità del rapporto-Ruini».
Questa “confidenza” del papa la lasciamo senza accompagnarla con alcun commento, se non con due domande:
1) Con quale dignità ecclesiale, con quale diritto ecclesiale, con quale giustificazione teologica, con quale stile ecclesiale ci si permette di organizzare iniziative di soluzione a un problema, come quello di Medjugorje, in parallelo con un progetto di analisi e una prevista risposta di soluzione ad esso del papa?
2) In nome di che cosa una Congregazione che, per l’alta e delicata materia che tratta, dovrebbe essere la più legata e subordinata alla guida pontificia si avventura (di questo si tratta…) per vie solitarie che non possono portare da alcuna parte, col solo risultato di creare confusione e gravi perplessità di natura comportamentale da parte di un organismo, squisitamente pontificio, che manifesta di non collimare con la linea di un papa?
Il senso ultimo dell’intervista del papa è stato ben colto dal padre servita Salvatore Maria Perrella, preside del Marianum di Roma, che è stato membro della Commissione-Ruini, quando ha detto nell’intervista da lui resa al quotidiano Avvenire del 18 scorso: «Il papa vuole preservare la purezza della devozione mariana».
Una tristezza molteplice
– Quando finiremo di ascoltare discorsi teologicamente strampalati, come quello che s’è dovuto subire sulla possibile contemporaneità di un “papa attivo” e di un “papa contemplativo”?
– Quando si auto-scioglierà l’assurdo “tribunale permanente” che, di mano in mano, si pone in atteggiamento di giudizio nei confronti del papa per le sue parole e le sue scelte pastorali, ad esempio in quelle contenute nell’Amoris laetitia?
– Quando sarà deposta l’arrogante pretesa di predisporsi, se del caso, a giudicare (questa è la tentazione: “giudicare”…) sulla retta dottrina del pontefice? Ma che cosa dobbiamo ascoltare di più mediocre di queste cose?
– Quando evaporerà la brutta aria da “prove di Conclave”, creata da parte di taluni, che si mostra più che altro con manifestazioni non serie di incredibili martiri disposti a salvare la “casa della Chiesa” che, per loro, sarebbe in pericolo di crollo?… Ma questi poveri ecclesiastici non mostrano, piuttosto, il “complesso di Atlante” che li porta a pensare di dover mettere le spalle sotto i pesi della Chiesa sentendosi “salvatori” di essa, da nessuno scelti a tanto e, meno ancora, dallo Spirito?
– Quando assisteremo alla fine del comportamento di una parte della curia (che fortunatamente comprende uomini di Dio e di Chiesa splendidi e perfino santi) che dimostra, purtroppo, meno la dovuta e quieta disponibilità a servire il ministero petrino e più, invece, l’agitazione urtante per sentirsi toccata nella detenzione di “poteri” che non le spettano? Il “servizio” non è la parola diametralmente opposta a quella del “potere”?
– Perché non rileggere il libro sul potere di uno dei più grandi pensatori del Novecento, “padre sapienziale” sia di Ratzinger che di Bergoglio, che è il teologo Romano Guardini? È un libro di teologia politica? No, è anche un sottile libro di ecclesiologia. È un libro datato, del 1950? No, perché è un libro iscritto nelle vene della storia della Chiesa e non è irretito nella trama convulsa e inaffidabile della cronaca effimera e vanesia…