Nella recente intervista all’Huffington Post,[1] ripresa quasi per intero dall’Osservatore Romano del 27 dicembre, Massimo Cacciari non usa certo parole diplomatiche per denunciare la banalità a cui la maggior parte dei preti riduce la potenza del racconto neotestamentario. Le loro omelie sono stanche e ripetitive, banali e consolatorie: anche il Natale diventa così «una festa per bambini e adulti un po’ scemi», che non ha nulla a che fare con il dramma dell’incarnazione di Dio.
Nel suo Generare Dio,[2] uscito da poco per Il Mulino, Cacciari offre invece una meditazione serrata su una figura che è sempre stata molto marginale dal punto di vista proprio di Cacciari, che è quello dell’indagine filosofica. È la figura di Maria che, a differenza di Cristo – che ha ricevuto un’attenzione costante dalla filosofia moderna tanto da legittimare l’espressione “cristologia filosofica” (Tilliette) –, non ha ricevuto l’attenzione che merita. In questi giorni – in cui la liturgia ci invita a meditare sul mistero della Madre di Dio – la lettura del saggio di Cacciari può essere un utile antidoto a quella banalizzazione che, non solo lui, denuncia.
L’incarnazione non è una semplice epifania del divino. Il Logos non si dà carne da sé, ma – assumendola – la riceve da una donna. E la donna non è il semplice ricettacolo di un’epifania. Maria obbedisce liberamente alla parola dell’angelo e la sua obbedienza non è rassegnata, remissiva: «ella giunge a volere la volontà divina» (p. 18). In questo giungere vi è l’itinerario di una libertà che si affida, di una decisione mediante cui Maria sceglie di concepire Colui che la sceglie (p. 20).
Cacciari insiste costantemente sulla libertà di un consenso che non annulla la fatica della domanda, ma anzi inaugura – per dirla con Giovanni Paolo II – la peregrinazione della fede: «la fede non è visio facialis. Vince il dubbio, non lo annulla. Rinsalda la ricerca, dà voce all’interrogare, non lo elimina; lo rende, anzi, così esigente da durare fino all’ultimo giorno, fino all’éschaton» (p. 21).
Proprio acconsentendo al mistero di Dio, Maria è donna della meditazione, del symbállein, del raccogliere in sé per divenire parte del mistero che si accoglie (p. 28).
Il «non temere» pronunciato dall’angelo non va interpretato allora come una rassicurazione a buon mercato. È piuttosto l’invito a non fuggire dinanzi al mistero, per quanto trascendente e tremendo possa apparire (p. 27). E, in effetti, il mistero non ha nulla di rassicurante. Del Figlio che porta in grembo si dirà che «è fuori» (exéste: Mc 3,21), mai trattenibile, sempre oltre. All’esodo permanente del Figlio partecipa in modo sommo anche la Madre, a lui legata non da un’armonia celestiale, ma da una «prossimità dolorosa» (p. 45) che accetta e salvaguarda la distanza, che accoglie un cammino non suo – quello del Figlio, appunto – eppure da lei voluto, fino alla fine.
Cacciari mostra come il genio dell’Occidente si esprima in immagini (le Madonne di Mantegna e di Bellini fra tutte) che, in alternativa alle icone dell’Oriente, dicono «potenza umile» (p. 54), comunicano, a un tempo, la dolcezza della consolazione e il dramma dell’abbandono, della kenosi.
La fanciulla di Nazaret «stringe dolcemente e dolorosamente a sé il bimbo che già le appare destinato ad altro» (p. 62); Maria è la donna della com-passione che genera il Figlio dell’Altissimo destinato all’esodo da sé, alla morte – e alla morte di croce (Fil 2,8).
La potenza espressiva delle icone dell’Occidente sta nella loro ostinata rappresentazione dell’incarnazione (p. 80), della verità della carne assunta e patita dal Logos, nella persuasione che si tratta di un evento realissimo. In tal senso Maria è garante della verità della carne e della kenosis di Dio, contro ogni tentazione gnostica: ella non è semplicemente il simbolo dell’anima che genera Dio, ma una caro con il Figlio. «Uniti nella carne essi esprimono insieme lo svuotarsi del divino, in quanto estrema, insuperabile rivelazione della sua stessa essenza. E nei loro tratti, allora, dovranno simbolizzarsi kenosi, humilitas, malinconia perfino, coscienza del loro essere invincibili nella stessa pena e del valore escatologico del proprio terreno apparire» (p. 101).
Maria, nella meditazione di Cacciari, appare soprattutto come la donna della kenosi. Sulla scia di von Balthasar, è questa l’ottica con cui si guarda all’accoglienza, alla fede di Maria, tanto che si può dire che «la morte di Dio passa attraverso il suo Sì» (p. 102). Assai suggestiva è l’interpretazione di questa kenosi come «il manifestarsi, l’incarnarsi di una originaria paupertas (pauper-puer), di un’iniziale in-fanzia, di una divina nube» (p. 43). Maria e il Figlio, nel dramma del loro sì, nella comunione di un cammino di uscita da sé, manifestano la suprema povertà e proprio così rivelano l’origine, la purezza dell’inizio.
Certo, la meditazione di Cacciari non dà ragione di tutte le sfaccettature dell’icona di Maria, ma nel suo rigore filosofico, persino nella sua severità, appare come un contributo salutare per restituire spessore – per ridare carne – a una figura troppo spesso presentata in modo esangue e disincarnato. Insomma, un utile antidoto alle banalità pseudodevozionali, un invito pressante a pensare la vera grandezza della Madre di Dio.
[1] http://www.huffingtonpost.it/2017/12/25/i-cristiani-sono-i-primi-ad-aver-dimenticato-il-natale_a_23316262/
[2] https://www.mulino.it/isbn/9788815273680