Provocato dal dibattito suscitato dall’ultimo libro di Clodovis Boff,[1] mi sento obbligato a riprendere la meditazione sulla mia fede in Gesù di Nazaret, il Cristo, il Messia.
In effetti, mi preoccupa la posizione di Clodovis, inquisitoriamente e ferocemente critica nei confronti di tutti coloro che non vivono e non pensano la fede in Cristo Gesù come lui, al punto da non considerarli più cristiani e tanto meno cattolici.
Teologie della liberazione
Clodovis, in nome della fede cristologica, rifiuta radicalmente, insieme ai suoi errori giovanili, tutti i contributi delle teologie della liberazione, che non sarebbero altro che riduzioni eretiche di Cristo e del Vangelo all’antropologia, alla sociologia e alla politica. Ad esempio, la teologia di Jon Sobrino sarebbe per Clodovis una poverologia[2] (sic!) al posto della cristologia. I poveri prenderebbero immanentisticamente il posto del Cristo.
La “teologia della liberazione” sarebbe responsabile della grave crisi della Chiesa cattolica in Brasile, in cui nemmeno la CNBB (Conferenza nazionale dei vescovi del Brasile) si renderebbe conto della decadenza e del declino di fronte alla crescita esponenziale delle chiese neo-pentecostali.
Il teologo sembra così preoccupato della Chiesa da dimenticare totalmente la chiamata a scoprire i segni del Regno presente e la missione di costruirlo. Clodovis rafforza, con la sua radicale ritrattazione, i segmenti cattolici che non hanno mai accettato il Vaticano II e Medellin, e che fanno opposizione esplicita o silenziosa al pontificato di Francesco.
Mi preoccupa questa polarizzazione intra-ecclesiale, che mi sembra non solo pericolosa a causa della sintonia di molti tradizionalisti con la nuova destra internazionale, sacrificalista e mortifera, ma anche segnata da equivoci teologici e pastorali, con riduzioni metafisiche, soprannaturalistiche e politiche, da una parte, e riduzioni antropologiche, sociologiche e ancora politiche, dall’altra.
Balthasar
Un dibattito così controverso mi porta inevitabilmente a riflettere sulle posizioni e sulle letture teologiche che hanno segnato la mia vita e che potrebbero appartenere a fasi contraddittorie e inconciliabili, mentre, al contrario, coesistono legittimamente non solo nella mia povera biografia, ma anche nella fede professata dalla Chiesa.
Senza rendermi pienamente conto dei commenti di chi mi definiva cattolico conservatore, studiai con interesse von Balthasar, fondatore di Communio – sequestrato da Comunione e Liberazione e Jaca Book -, teologo preferito da san Giovanni Paolo II e amato da Benedetto XVI.
Ricordo la lettura, che risale a più di quarant’anni fa, del saggio Mysterium Paschale. In quel testo von Balthasar definisce il racconto evangelico della morte e risurrezione di Gesù come la testimonianza dell’evento che è la norma normans della fede e della riflessione teologica.
Infatti, se ignorassimo la centralità del Triduo pasquale per la nostra fede, perderemmo la verità dell’iniziativa di Gesù di accogliere su di sé tutto il peccato del mondo, ogni peccato, ogni violenza della storia, la sofferenza e il dolore di ogni generazione, l’abbraccio divino delle vittime e dei carnefici. La radicalità della lettura balthasariana del Triduo include la meditazione del Sabato Santo: Cristo scende all’inferno e lo svuota, superando ogni negazione e negatività – anche la più imperdonabile e scandalosamente disumana – con la gloria amorosa della Croce.
Von Balthasar è stato dunque un teologo estremamente importante nella mia formazione. A quel tempo, compresi vagamente la differenza tra l’approccio di Rahner e quello di von Balthasar e scelsi di privilegiare lo studio dell’opera di quest’ultimo, perché non ero sedotto dall’elaborazione rahneriana, che comportava il dialogo della riflessione teologica con una stampella filosofica, in gran parte col pensiero di Martin Heidegger, quasi riprendendo la metodologia tomistica di sposare Aristotele, la cui ripetuta fedeltà, anche in ambito magisteriale, mi è sempre sembrata fuorviante, dopo la crisi della neoscolastica e l’errore di confondere il logos biblico con l’essere parmenideo-platonico.
Estetica teologica
Al contrario, l’approccio di von Balthasar rinunciava alla filosofia come supporto prioritario della teologia e dialogava con le arti e il misticismo.
Ampio e sinfonico è l’elenco degli autori con cui si relaziona: i Padri della Chiesa, i protestanti come Karl Barth e gli ebrei come Martin Buber, i musicisti e i poeti, i romanzieri e i teologi: Paul Claudel, Charles Péguy, Georges Bernanos, Karl Ranher, Henri de Lubac, Erich Przywara e l’insostituibile mistica Adrienne von Speyr, collaboratrice e protagonista della sua teologia.
La sua teologia risponde, come tutta la Tradizione cattolica, alla domanda classica del Catechismo di tutti i tempi: “Perché Gesù è morto?”.
All’epoca del seminario, tuttavia, lessi con profondo interesse le poesie e gli scritti di Pedro Casaldáliga, Helder Câmara, Leônidas Proaño, Carlos Mesters, Leonardo Boff e vidi solide analogie con le testimonianze profetiche di Primo Mazzolari, Lorenzo Milani, David Maria Turoldo, Ernesto Balducci, Giorgio La Pira, Giuseppe Dossetti…
Arrivato in Brasile, il manuale di Clodovis “Come lavorare con il popolo” è stata la prima lettura, mentre iniziavo ad accompagnare la lotta delle famiglie contadine per conquistare terra e dignità.
Il Gesù periferico
Lungo il cammino, divenne inevitabile interrogarmi sul posto periferico che la vita pubblica di Gesù occupa nella teologia di von Balthasar: non è altro che un prologo, un’introduzione profetica a ciò che conta davvero: la Pasqua di Cristo. La vita pubblica è posta tra parentesi, senza ispirare l’imitazione di Gesù, senza orientare la sequela, per affrontare, in sua compagnia, i nemici della vita di tutti i tempi, ma nella specificità del nostro tempo.
Insomma. Deve esserci una vita prima del Sacrificio. E non può mancare la testimonianza delle denunce contro il Tempio, il Palazzo e il Mercato, il porre al primo posto i poveri e gli esclusi: perché furono proprio la pratica e le parole di Gesù a provocare i poteri di quel tempo. Tutto questo viene prima del Martirio per amore. Agape che perdona perché “non sanno quello che fanno” (Lc 23,34).
La Pasqua di Gesù, che è la vittoria definitiva sul peccato e sulla morte, si rinnova nella testimonianza martiriale dei suoi accoliti, coloro che accettano il suo invito a seguirlo. Questa Pasqua si ripete nella liturgia e nella vita in ogni tempo della storia: “Fate questo in memoria di me” (1Cor 11,24).
Così, qui nel Maranhão, ho scoperto il senso liberante dell’umanità di Dio, che ci rende evangelizzatori della Pasqua, complici della redenzione e della liberazione dei piccoli e dei poveri.
Così – incontrando i popoli e i poveri oppressi ma che sanno insorgere in difesa della Vita – alla classica domanda del Catechismo di sempre ‘perché è morto Gesù?’ ho dovuto aggiungere, guidato da José Comblin e Sandro Gallazzi, due domande assolutamente necessarie e indispensabili: ‘perché l’hanno ucciso?’ e ‘chi l’ha ucciso?’.
Inevitabili interrogativi di fronte al genocidio che oggi continua, in Africa, nel Mediterraneo, nell’Europa dell’Est, nell’Abya Ayala, la nostra Grande Madre. Domande inevitabili di fronte alla violenza diabolica del capitalismo e all’urgenza di proclamare, di nuovo e nonostante tutto, la vittoria di Gesù di Nazareth, il Risorto.
[1] Boff Clodovis M. , Adorno Leandro Rasera, La crisi della Chiesa cattolica e la teologia della liberazione, Ecclesiae, Campinas, 2023
[2] ‘pobrelogia’, neologismo scorretto di Boff, che mescola latino e greco. Corretto in portoghese sarebbe ‘ptocologia’, che potrebbe essere anche un neologismo italiano.